Stefano Valdesalici ci porta con lui nel continente africano e, attraverso le sue parole, ci fa rivivere il suo viaggio in Kenya alla ricerca dei killifish.
Killifish africani e dove trovarli
I killifish dell’Africa sono una specie ancora poco studiata e nuove specie o forme vengono regolarmente descritte. Un problema particolare è costituito dalle aree protette dove è difficile fare un campionamento, se non impossibile per diverse ragioni.
Ho deciso di provare a vincere questa sfida e tentare di trovare e raccogliere Nothobranchius in alcuni parchi nazionali del Kenya. Gli acquaristi normalmente non possono raccoglierne in questi parchi e di solito i turisti non possono nemmeno scendere dalle macchine, a parte quando arrivano o vanno via dai loro alloggi.
Suggerii quest’idea a Giuseppe Amato, che immediatamente accettò di accompagnarmi in questo viaggio. Poi contattai il mio caro amico Olivier Hamerlynck, che era col Kenya Wetlands Biodiversity Research Team (KENWEB) ai National Museums of Kenya all’inizio del settembre 2011. Avevamo già collaborato in precedenza sui killifish quando si trovava nella parte a sud del Rufiji, in Tanzania, dove lavorava con gli osservatori locali sull’impatto pianificato della diga della Gola di Stiegler su pesci e pesca, ricerca che è stata poi pubblicata (Hamerlynck et al. 2011). Fu entusiasta dell’idea e mi mise in contatto con i direttori dei National Museums.
Successivamente, essi mi misero in contatto col Kenya Wildlife Service, l’unica agenzia che poteva rilasciare permessi nei parchi. Stabilimmo quando ci saremmo andati (durante i primi giorni del 2012) e comprammo i biglietti aerei. Preparai anche i documenti per richiedere i permessi da ritirare in Kenya e la mia richiesta formale di ricerca.
Nel frattempo, provai a reperire informazioni su tutti i luoghi di raccolta locali di pesci già conosciuti (ringrazio anche il mio amico Béla Nagy) e altre aree che non erano ancora state esplorate (Seegers et al. 2003). La nostra idea era quella di preparare un piano di riserva per la raccolta di pesci al di fuori i parchi, in caso i nostri permessi non fossero arrivati in tempo.
Ciò destava qualche preoccupazione. Il Sud del Kenya è stato ben studiato, mentre il Nord è difficile da visitare a causa dell’instabilità politica causata da disaccordi con la Somalia. I giorni passavano e a metà dicembre non avevamo ancora notizie e cominciai a preoccuparmi. Avvisai l’agenzia viaggi con cui avevamo noleggiato una macchina, prima via mail e poi via telefono, che ci sarebbero potute essere delle variazioni nel nostro itinerario quando saremmo arrivati a Nairobi.
Ero già d’accordo con i Museums di invitare uno dei loro tecnici più esperti, Joseph Gathua, a unirsi a noi per la durata del nostro viaggio e che l’avremmo pagato una diaria per il suo supporto. Ma il giorno della nostra partenza i documenti non erano ancora arrivati. Decidemmo di partire lo stesso e attuare il nostro piano di riserva.
Sulle tracce dei killifish africani
Giorno 1
Mi alzai alle 3 del mattino. Mia moglie Francesca si dovette alzare anche lei per accompagnarmi all’aeroporto. Il nostro primo aereo doveva partire alle 6:00 da Bologna per Amsterdam. Arrivammo all’aeroporto con abbastanza anticipo, tanti baci e poi salii a bordo. L’orario della partenza arrivò e passò, e restammo seduti sull’aereo fermo per ore. Alle 8:30 scesi dall’aereo e tornai al terminal per ritirare i miei bagagli, ma non lì non c’erano. Corsi al banco del check-in dove cercai di prenotare un nuovo volo. Intanto, avvisai Francesca del problema e scoprii che Giuseppe era già arrivato ad Amsterdam! Alla fine trovai un volo per Istanbul con un volo di collegamento per Nairobi, che sfortunatamente sarebbe arrivato la sera tardi. Ok, si parte!
Dopo questi due voli arrivai finalmente a Nairobi, dove Giuseppe mi stava aspettando. L’autista del taxi (consigliato da Olivier) stava dormendo da qualche parte nella sua auto, e non riuscivamo a trovare un’altra auto con un autista. Dopo mezz’ora di attesa di fronte all’aeroporto, ne salta fuori uno e finalmente si va. Le strade erano deserte a quell’ora.
Dopo un’altra mezz’ora arrivammo a casa di Olivier (che si trovava in Europa), la cui guardia notturna ci stava aspettando. Dormimmo nella guest house e tre ore dopo eravamo già svegli e impazienti. Kezia, la domestica di Olivier ci preparò caffè e toast, dopodiché eravamo pronti per partire. Ci fu a malapena il tempo di fotografare un bellissimo camaleonte di Jackson e i fiori in giardino, quando udimmo suonare al cancello ed era il nostro autista! Caricammo i bagagli e raggiungemmo i Museums.
Aspettammo all’ingresso e dopo un po’ arrivò Joseph. Entrammo nel museo ed avemmo occasione di visitare parte della collezione ittiologica. Poi caricammo l’attrezzatura per la raccolta e partimmo alla volta di Kisumu, Kenya occidentale, sulle rive del Lago Vittoria.
Il nostro lungo viaggio ci portò alla Great Rift Valley. Dopo aver visto l’impressionante fossa tettonica da distante, riuscimmo a fermarci a un punto panoramico preposto per turisti e kenioti per apprezzare questa enorme formazione geologica. Ma l’area era troppo piena di venditori e troppo turistica per i miei gusti, una delusione. Ci rimettemmo alla guida. La strada era quasi deserta, il cielo sopra di noi era azzurro con poche nuvole bianche, e ci trovammo negli ampi spazi aperti che io amo tanto.
Quando arrivammo a Kericho, ci fermammo per berci una tazza di tè in un’area circondata da piantagioni di tè e chapati (una sorta di piadina, che ci avrebbe accompagnato per tutto il viaggio). Le strade eccellenti vicino a Nairobi si trasformarono in sentieri sterrati man mano che guidavamo allontanandoci dalla grande città.
Dopo aver lasciato quest’area, raggiungemmo finalmente la pianura alluvionale attorno al Lago Vittoria e prima di arrivare ad Ahero ci fermammo vicino a pozzanghere promettenti ai lati della strada. Lanciammo le reti e bingo! Riconobbi una femmina di Nothobranchius!
Continuammo a pescare e catturammo anche dei maschi! Questi notho appartenevano a una o più specie non identificate che vivono tutt’intorno al lago e fino a sud, nel centro della Tanzania. Naturalmente attirammo adulti e bambini che arrivarono a frotte, intrigati da ciò che facevamo, così gli tenemmo una lezione sui pesci annuali. Giuseppe mi prendeva in giro, ma le persone sembravano felici e interessate.
Un po’ provati dopo il lungo viaggio (400 miglia), arrivammo finalmente a Kisumu. Questa cittadina in riva al lago così piena di persone e cose ci fece sentire un po’ confusi, ma mi piacque. Trovammo un hotel, cambiammo l’acqua ai pesci nei contenitori, e allestimmo per alcuni di loro un piccolo acquario per la deposizione delle uova con della torba sul fondo. Cenammo al buffet self-service dell’hotel, pulito e discreto, prima di andarcene a dormire.
Giorno 2
Il giorno dopo ci alzammo presto e partimmo verso Busia, situata sul confine del Kenya con l’Uganda. Dopo 200 km (passato l’Equatore!), arrivammo al fiume Sio
dove provammo a localizzare alcune pozze, ma quelle che trovammo erano enormi (in realtà con rami del fiume che le alimentavano) e non potemmo prendere alcun Nothobranchius. Lungo le rive
raccogliemmo una specie di lampeye (una specie non identificata di Micropanchax sp. delle Poecilliidae)
e gamberetti Caridina nilotica. Chiedevamo a tutte le persone che incontravamo se ci fossero pozze per raccogliere dei campioni, ma non trovammo nulla di promettente perché c’era troppa acqua! Nella pozza più promettente (abbastanza isolata) raccogliemmo solo Barbus e un maschio di Pseudocrenilabrus con degli avannotti in bocca.
Un po’ delusi, tornammo indietro verso Kisumu e ci dirigemmo a destra verso il Lago Vittoria, volendo andare a Odienya. Lungo la strada ci fermammo a tutti gli specchi d’acqua per controllare se ci fossero killifish. Quest’area è composta da una vasta pianura alluvionale periodicamente soggetta a inondazioni, i cui bordi sono chiaramente visibili per la presenza di alti argini e cartelli!
Arrivammo a Odienya (o meglio, alla spiaggia di Odienya), che in effetti è un piccolo villaggio vicino al lago. Pescammo in piccoli specchi d’acqua lungo la strada,
ma raccogliemmo solo Barbus, Pseudocrenilabrus, Ctenopoma e Clarias.
Il lago è enorme e sembrava davvero calmo e placido, bellissimo e rilassante.
Eravamo delusi di non aver preso nulla di interessante, e continuammo il nostro viaggio, raggiungendo alla fine Kericho poche ore dopo il tramonto. Ci fermammo allo stesso hotel dov’eravamo già stati in precedenza, cambiammo ancora l’acqua ai pesci raccolti, cenammo, e riposammo in un ampio salone con un caminetto e una tv con schermo grande (solo canali sportivi) e poi andammo a dormire.
Giorno 3
Il giorno successivo iniziammo presto e ci sembrava di avere le allucinazioni, con piantagioni di tè ovunque. Ci fermammo per fare rifornimento a Narok (che porta alla strada per la Riserva Nazionale del Masai Mara, che è troppo turistica), e ci dirigemmo verso il sud di Nairobi, fermandoci per rifornire le nostre provviste a Emali (per comprare banane in un mercato popolare) e poi svoltammo a destra verso Oloitokitok, vicino al confine tanzaniano e proprio di fronte al Monte Kilimanjaro.
Ci fermammo vicino al Parco Nazionale di Amboseli per controllare tutte le pozze che vedevamo lungo la strada, ma non trovammo nulla di interessante, in altre parole nessuna traccia di Nothobranchius. Ci spostammo poi a piedi dalla strada principale, quando Giuseppe avvistò una carcassa di zebra (o meglio, metà zebra). Giuseppe ha paura dei leoni, ma lo rassicurai che quest’area era davvero troppo brulla e l’erba troppo bassa e se ci fosse stato un leone l’avremmo visto di sicuro. Al tramonto, la nostra unica consolazione fu di vedere il bellissimo Monte Kilimanjaro, scuro tra le nuvole contro un tramonto dorato.
Ci fermammo a passare la notte al Cedar Lodge, in cui qualche volta mancano elettricità e acqua, ma non mi interessa, dato che il proprietario è affabile, il cibo buono e la guardia notturna Masai è simpatica.
Giorno 4
Il giorno dopo visitammo il Parco di Amboseli, dove potemmo ammirare elefanti, ippopotami, gru coronate, bufali, struzzi, zebre, e la mia prima coppia di ghepardi. Attraversammo una piccola collina, dove potemmo goderci tutti i laghetti del parco (dove non si poteva pescare!). Visitammo anche un villaggio Masai, dove dopo il rito di intrattenimento, volemmo comprare alcuni oggetti di artigianato locale: braccialetti, statue, ecc. (comprai solo braccialetti, per tornare a casa con un’enorme scorta da distribuire a tutti i miei amici!). All’uscita del parco avemmo un incontro ravvicinato con un elefante, che si avvicinò fino a pochi metri, fu molto carino ed eccitante!
Proseguimmo a sud verso Taveta, alla guest house dove avevamo lasciato i nostri bagagli e continuammo fino al Lago Jipe. Per arrivarci attraversammo diverse strade, passando sotto a un castello inquietante (e bizzarro) su una collina (il Castello di Grogan, ora un hotel). Sfortunatamente, non c’erano zone umide, pianure alluvionali o altri ambienti adatti al Nothobranchius. L’unico animale interessante era un elefante che è solito uscire dal parco (eravamo nella zona di un campeggio sulle rive del Lago Jipe) a 500 metri dal Parco Nazionale dello Tsavo, quindi non ci accorgemmo della sua presenza e continuammo a pescare finché non vedemmo degli abitanti locali scappare via e lo vidi girarsi a una ventina di metri, e il mio cuore batteva forte, ma riuscii a scattare delle belle foto.
Decidemmo di ritornare a Taveta quando il sole tramontò, per cenare e dormire.
Giorno 5
Al mattino Giuseppe e io visitammo la cittadina, e trovammo un mercato poco lontano, che visitammo con curiosità (visto che si trovano pochi visi pallidi qui), facemmo dei buoni acquisti e ce ne andammo.
Avevamo appuntamento con un amico thailandese, Arthit, che lavora all’ambasciata di Nairobi e che voleva venire a pescare con noi i Nothobranchius. Dopo qualche incomprensione, alcuni sms e una chiamata riuscimmo finalmente a incontrarci (portò con lui un’amica di nome Stacey). Eravamo quindi vicini a Matope sulla strada per Mombasa ed eravamo diretti verso un posto conosciuto per i Nothobranchius elongatus e N. microlepis. Qui, dopo alcuni tentativi in cui acchiappammo solo Barbus e ciclidi, riuscimmo a prendere dei Nothobranchius elongatus, ma nessun N. microlepis.
Sono abbastanza sicuro che le uniche volte in cui sono stati presi siano state durante le inondazioni e più lontano in un’altro posto a nord della strada principale. Ma non avevamo tempo di controllare. Avendo sistemato i pesci, proseguimmo sulla strada verso Mombasa e arrivammo verso sera. Mombasa è talmente snervante che non potrei mai viverci.
Verso le 10 di sera arrivammo a Diani, provammo a fermarci al primo resort maga, ma era al completo, provammo con un secondo e trovammo posto. Dopo una meravigliosa doccia e un’ottima cena (il resort era gestito da un italiano), dormimmo bene.
Giorno 6
La mattina dopo Giuseppe combattè con un babbuino che era entrato in stanza per prendere non si sa cosa (forse era abituato a ricevere cibo dai turisti). Facemmo una ricca colazione, una piccola gita su una bellissima spiaggia (la tipica spiaggia da cartolina dell’Oceano Indiano, un posto che mia moglie avrebbe sicuramente apprezzato), e ci spostammo a sud verso Ramisi. Arrivammo a mezzogiorno e raccogliemmo solo Nothobranchius palmqvisti in una pozza residua.
È plausibile che i N. melanospilus che vivevano in questa pozza fossero tutti morti. Essa veniva usata dai ragazzini locali come fonte di proteine, e furono felici di aiutarci a prendere alcuni ciclidi di una certa taglia che vi erano ancora presenti. Provammo a pescare in altri bellissimi laghetti nella zona, ma non riuscimmo a trovare nulla eccetto alcuni ciclidi e un sacco di insetti acquatici.
Ritornammo a Diani e dopo un succo di frutta e verdura (provato da Giuseppe), salutammo Stacey e Arthit che dovevano tornare a Nairobi, dovendo lavorare il giorno dopo. Potemmo fermarci a metà strada, avendo ancora due giorni prima di prendere il nostro aereo.
Arrivammo a Makindu poche ore dopo il tramonto. La Camp David guest house non è esattamente il massimo (specialmente per le persone che sono state al ristorante), ma dormii bene.
Giorno 7
Il giorno dopo dovevamo prendere l’aereo di sera a Nairobi. Ma la strada era bloccata e ci dissero che era in corso uno sciopero con molti manifestanti, quindi visitammo il tempio Sikh. Makindu ha una grossa comunità Sikh che compone la maggioranza della popolazione, perché parenti e discendenti dei costruttori della Lunatic Line (1896), la linea ferroviaria che collega Mombasa all’Uganda. Dopo una visita al tempio Sikh e un’altra colazione (avevamo appena mangiato alla guest house), decidemmo di provare una rotta alternativa attraverso Wote. Anche qui provammo a cercare la presenza di Nothobranchius, ma senza successo, visto che l’area è caratterizzata da colline e montagne.
Arrivammo a Nairobi nel primo pomeriggio, ci fermammo ai Museums per lasciare Joseph e conoscere il capo della collezione ittiologica dei Museums (Dorothy Wanja Nyingi).
Dopodiché, andammo a casa di Arthit (in un bellissimo e super controllato quartiere) che sembrava qualcosa di alieno in Kenya. Usammo la sua casa per cambiare l’acqua ai pesci e per farci delle lunghe docce. Arthit fu davvero gentile e ci accompagno in macchina a cena e poi in aeroporto. Cenammo in un ristorante dentro un centro commerciale “carino” (se si può definire carino un centro commerciale), dove trovammo l’unico negozio di acquari di Nairobi. Durante la cena ci fu una scenetta divertente con donne che saltarono sulle sedie a causa di un grosso topo, che (poverino) fu ucciso dalla guardia di turno.
Arrivammo all’aeroporto, passammo i controlli, per poi salutare Arthit che sperava di tornare ancora a pescare con noi un’altra volta da qualche parte nel mondo, e ci dirigemmo al nostro gate. Dopo alcune ore di attesa e un paio di voli, arrivai a Bologna, stanco (perché avevamo percorso più di 2000 chilometri in una settimana, coprendo l’ovest e il sud del Kenya due volte, avanti e indietro), ma felice di vedere che Francesca era già lì ad aspettarmi. Mi chiese subito com’era andata e le dissi che il Kenya era bellissimo, ma troppo turistico. Spero di poterci tornare un giorno con più tempo e passare alcuni giorni in spiaggia dopo aver fatto una buona pesca anche nei parchi la prossima volta.
Stefano Valdesalici
Bibliografia
Hamerlynck, O., Duvail, S., Vandepitte, L., Kindinda, K., Nyingi, D.W., Paul, J.-L., Yanda, P.Z., Mwakalinga, A.B., Mgaya, Y.D. & J. Snoeks 2011. To connect or not to connect – floods, fisheries and livelihoods in the Lower Rufiji floodplain lakes, Tanzania. Hydrological Sciences Journal 56 (8): 1436-1451.
Seegers, L., De Vos,L. & Okeyo D.O., 2003. Annotated Checklist of the Freshwater Fishes of Kenya (excluding the lacustrine haplochromines from Lake Victoria). Journal of East African Natural History, 92(1): 11-47.