La “malattia del buco” è, insieme ai fantomatici “puntini bianchi”, una delle malattie più famose in campo acquariofilo.
Molte sono le specie esposte a questa malattia: pesci appartenenti alla Famiglia dei Ciclidi (grossi Ciclidi, Astronotus sp., Aequidens rivulatus, discus, ecc.), Anabantidi, Ciprinidi, ecc.
Da sempre si favoleggia sulle origini di questa patologia e sulle possibili terapie.
Conosciuta con l’acronimo HITH (Hole In The Head, buco in testa) o, meglio, FHLLE (Freshwater Head and Lateral Line Erosion, erosioni nella testa e sulla linea laterale in acqua dolce) o MHLLE (Marine Head and Lateral Line Erosion, erosioni nella testa e sulla linea laterale in acqua marina), si tratta di una sindrome.
Questo significa che non c’è un’unica causa scatenante ma, diversi fattori possono concorrere a determinarla.
Estesa lesione ulcerativa sull’opercolo branchiale di un Astronotus adulto.
Probabilmente non da HITH ma molto simile nella struttura. (foto dell’autore)
L’esordio della malattia è abbastanza subdolo.
Si presenta, all’inizio, con piccole aree depigmentate della pelle disposte lungo la linea laterale, spesso in prossimità della testa, in corrispondenza delle strutture sensoriali tipiche della linea laterale (cellule altamente specializzate chiamate neuromasti).
A questo stadio il pesce colpito può comportarsi normalmente oppure presentare una certa anoressia e letargismo (sonnolenza, stanchezza nei movimenti e nelle reazioni).
In un secondo tempo, si assiste alla comparsa di piccole lesioni puntiformi sulla testa del soggetto colpito; queste lesioni si allargano fino a formare veri e propri crateri la cui profondità può essere tale da coinvolgere gli strati muscolari sottostanti, fino ad arrivare all’osso e da cui può fuoriuscire del materiale biancastro; tutto ciò può facilmente infettarsi con funghi e/o batteri dando luogo a complicanze secondarie anche gravi, addirittura mortali.
L’origine di questa patologia è controversa. Secondo alcuni autori, alla base ci sarebbe una carenza di sali minerali e vitamine, dovuta ad un’alimentazione povera e sbilanciata. È stata riscontrata una certa rilevanza nella carenza di Calcio, Fosforo, vitamina C e D.
A questa situazione viene associato un problema di igiene ambientale, scarsa qualità dell’acqua, alti livelli di nitrati (dovuti spesso al sovraffollamento, filtrazione inadeguata, cambi periodici dell’acqua insufficienti, ecc).
Secondo altri autori, all’origine di tutto ci sono dei flagellati appartenenti al genere Hexamita (Hexamita salmonis) e al genere Spironucleus (Spironucleus elegans); questi, normalmente presenti nell’intestino dei pesci, possono diffondersi in tutto l’organismo in seguito ad una situazione di stress (sbalzi di temperatura, alimentazione errata, condizioni ambientali non adeguate, ecc.).
La loro diffusione nel corpo del pesce li distribuisce alla milza, reni, vescica natatoria, cavità peritoneale ed infine nelle lesioni crateriformi della sindrome della malattia del buco.
Mentre Hexamita è un flagellato che colpisce principalmente i salmonidi d’acqua dolce (trote, salmoni, per citarne alcuni), Spironucleus infetta soprattutto i pesci d’acquario.
Astronotus adulto. HITH avanzata. Lesioni estese sulla testa e sulla linea laterale.
Secondo altri studiosi del problema, dato che queste lesioni comparirebbero soprattutto su individui vecchi, la sindrome avrebbe come causa scatenante un crollo del sistema immunitario del pesce; questa situazione favorirebbe la proliferazione dei flagellati, soprattutto in ambienti sovraffollati o con condizioni ambientali poco idonee.
Tralascio l’ipotesi che la causa di questa sindrome sia l’insieme di sostanze tossiche rilasciate da alcuni carboni attivi in particolari situazioni, si tratta di un’idea circolata nel mondo acquariofilo diversi anni fa e tralasciata perché sembrerebbe priva di fondamento…
Lesione sovraoculare in un Astronotus adulto.
La verità sta spesso nel mezzo e quindi l’ipotesi più accreditata sembrerebbe essere la seguente: le lesioni crateriformi sarebbero causate principalmente da squilibri e carenze minerali, la presenza dei flagellati nell’intestino determinerebbe il malassorbimento di queste sostanze durante la digestione.
Questo sarebbe provato dal fatto che i flagellati in questione non sono sempre stati riscontrati nelle lesioni crateriformi, mentre la loro presenza è più consueta a livello intestinale.
Il trattamento di questa patologia dovrebbe, quindi, essere incentrato sul miglioramento delle condizioni di vita del pesce colpito.
La forma marina è caratterizzata da lesioni che cominciano sulla testa, espandendosi in dimensioni, profondità e area di superficie.
Sono tipicamente associate a lesioni della linea laterale.
Sono colpiti principalmente soggetti appartenenti ai generi Acanthuridae e Pomacanthidae.
I pesci spesso si nutrono e si comportano normalmente tranne quando le lesioni raggiungono estensioni o profondità considerevoli.
Le cause sono ipotizzabili in: inadeguata nutrizione, carenza di acido ascorbico, un reovirus (un particolare virus) è stato isolato da un caso, ma non è stato identificato come causa principale.
Il trattamento è puramente empirico, ed è indirizzato alla rimozione della probabile causa (il miglioramento delle condizioni igieniche della vasca resta l’approccio più sensato).
Il pesce colpito può guarire anche se residuano vistose cicatrici.
Lesione frontale da probabile hith in un Discus adulto.
Occorre:
– una riduzione della popolazione della vasca (soprattutto se sovrafollata),
– un aumento della frequenza dei cambi dell’acqua,
– una dieta più completa e bilanciata,
– un integrazione nell’alimentazione con calcio, fosforo e vitamina D.
Il trattamento da sempre proposto come cura per questa situazione (generalmente prevede l’uso di un antibiotico: il metronidazolo) ha ragione di essere messo in atto solamente in quei casi in cui viene dimostrata la presenza dei flagellati nelle lesioni. Dato che questa non è sempre scontata, un trattamento d’ufficio (fatto cioè senza una diagnosi certa della loro presenza) può portare dei benefici in un numero limitato di situazioni mentre è più facile rischiare di creare una batterio-resistenza. Questo significa ‘abituare’i batteri all’antibiotico e stimolare in loro una resistenza al farmaco tale da renderlo progressivamente meno efficace o addirittura inutile.
Oltre a questo aspetto, una causa che determina facilmente la batterio-resistenza è spesso determinata dall’uso non proprio corretto degli antibiotici. Dosi sbagliate o durata del trattamento non corretta possono, da una parte, vanificare il trattamento in corso e, dall’altra, vanificare definitivamente l’uso futuro dell’antibiotico stesso.
Purtroppo succede sempre più spesso che i pesci arrivino già imbottiti di farmaci dai paesi d’origine, questo per assicurare la vendita di un numero sempre maggiore di pesci. Spesso, quindi, la batterio-resistenza, i pesci ce l’hanno già; questo non toglie che l’uso di antibiotici e chemioterapici dovrebbe essere effettuato sotto controllo medico e non sperimentato così, per ‘sentito dire’. In questo modo si rischia la salute dei pesci e, in alcuni casi, la salute dell’acquariofilo.
In generale si può quindi affermare che, come in molte altre situazioni, la prevenzione aiuta a ridurre il rischio di manifestazione della malattia. La comparsa della malattia non è, spesso, dovuta ad un errore ‘recente’ di allevamento ma è il capolinea di un problema che, magari, è iniziato tanto tempo prima, mi viene da immaginare quei grossi pesci che condividono la vasca, negli anni, con varie altre specie, adattandosi di volta in volta a condizioni ambientali assai differenti. Proprio per questo motivo il miglioramento delle condizioni di vita non è portatore di benefici immediati ma predispone ad un miglior stato di salute del pesce che, con molta calma, può anche portare alla scomparsa delle lesioni che spesso esitano in cicatrici.
Prevenire è sempre meglio che curare.
Dott. Gianpiero Nieddu
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