Una guida, non solo per immagini, alla sua realizzazione
In principio era solo un vecchio acquario che, una volta dismesso, venne spostato in giardino invece di finire la sua storia in un cassonetto dei rifiuti, il suo successivo allestimento all’aperto, pur nei suoi notevoli limiti, si rivelò una idea azzeccata.
La vasca risultò piacevole da osservare ed interessante da curare. Purtroppo un brutto giorno il vetro frontale collassò e mi ritrovai in un attimo coi pesci, boccheggianti e “sdraiati” sull’erba, ospitati in tutta fretta in un contenitore d’emergenza …
Di fronte la disastro testimoniato dall’immagine non fu difficile prendere la decisione di, finalmente, allestire un piccolo laghetto sulla base di due fondamentali, quanto semplici, requisiti:
• Nessuno scavo (a causa del posizionamento),
• Dimensioni ridotte
Il “guscio di resina” (della capacità di 900 litri lordi) è stato fornito da “Giardini d’Acqua” e, nell’ immagine qui sopra, è mostrato – ancora vuoto – nel posto in cui verrà allestito.
Il suo riempimento non si è dimostrato così diverso da quello di un acquario: lavaggio della sabbia, posizionamento nel “guscio”, messa a dimora delle piante (in buona parte in vaso), riempimento vero e proprio …
NOTA: un simile invaso (per dimensioni e tipo ovvero non essendo interrato) può essere installato anche su una terrazza di medie dimensioni avendo – ovviamente – cura di verificare la tenuta del piano di appoggio anche se la notevole impronta “in pianta” e la ridotta altezza della colonna ‘acqua suscitano meno preoccupazioni rispetto, ad esempio, ad un acquario tradizionale di pari cubatura.
Ma nonostante i migliori sforzi di Leonardo, Stefania e miei …
Il risultato, in realtà abbastanza atteso, è stato una “macchia fangosa” in cui era addirittura difficile riconoscere una ninfea in vaso!!
Era necessaria, contrariamente ai propositi iniziali che non lo prevedevano, l’installazione di un “sano” sistema filtrante, ed il prima possibile
Con l’avvio del filtro, e col passare del tempo, le cose hanno preso finalmente ad andare per il verso giusto.
Ma basta con chiacchiere e notiziole. Madre natura, quando ne ha l’opportunità, ha un intrinseco “motore” davvero potente in grado di trasformare rapidamente la succitata pozza fangosa in qualcosa di deliziosamente armonico, come testimoniano le immagini seguenti (scattate nel lasso di tempo che va da Maggio ad Agosto 2010): ecco come è andata.
Piante di Pistia stratiotes galleggiano – lungo il bordo – sulla superficie di un’acqua, finalmente, limpida e cristallina. Questa pianta non sopporta, all’aperto, neppure il più mite degli inverni italiani e quindi verrà ricoverata all’interno verso la fine di settembre o l’inizio di ottobre.
Al contrario Vallisneria gigantea, che beneficiando della una forte irradiazione mostra una crescita che a tratti risulta “esplosiva”, si è dimostrata in grado di sopportare freddi anche molto intensi.
Pesci rossi che, muovendosi attraverso Egeria densa, rovistano il fondo alla ricerca di particelle di nutrimento, le cose hanno – infine – iniziato ad andare come ci si aspetta che andassero!
Passa il tempo, questa vista laterale testimonia il procedure degli eventi. È l’ora di osservare i dettagli più da vicino, credo ne valga la pena:
I nuovi nati – in foto evidenziati dai cerchietti rossi – appartengono a Pseudorasbora parva che riproduce in numeri incalcolabili, la cosa a lungo andare potrebbe diventare un problema ma, indubbiamente, la riproduzione testimonia che in acqua tutto funziona come dovuto.
Anche le piante prosperano, in foto si vedono (da sinistra a destra): Nymphaea sp, Papiro (Cyperus sp.), Equisetum sp., Hybiscus coccineus oltre ad un piccolo, probabilmente, Echinodorus non meglio identificato, ci sono poi due piccole Pistia stratiotes oltre ad altre ninfee.
L’angolo opposto mostra, a sua volta, altre piante di Equisetum oltre a Zanthedeschia aethiopica, un ulteriore Hybiscus coccineus, un Iris Pseudoachorus ed altro ancora.
Ma il vero obiettivo (almeno il mio vero obiettivo) è ottenere la fioritura delle ninfee nella cornice di un piccolo laghetto ben gestito e curato. È stata dura ma alla fine ci sono riuscito, GRANDE!!!
Per concludere una breve immagine di commiato: il laghetto, come visto dalla camera da letto, ripreso nel giardino nella luce brillante di un inizio di primavera.
Breve trattazione degli aspetti tecnici
Paragonati a quelli di un acquario i servizi tecnici di un laghetto sono infinitamente più semplici, e, in certo qual modo, più economici. Ho scelto un filtro esterno dotato di una potente pompa ed ospitante una lampada UV.
I materiali filtranti constano di sole spugne (poste all’interno del filtro, mentre l’azione pre-filtro è svolta dalla gabbia, in rete di plastica a maglie piccole, che protegge la pompa stessa fermando i detriti più grossolani).
Per finire, direi ovviamente, non sono previsti ne illuminazione (tranne uno piccolo spot, che illumina la vasca con luce radente, usato quando il giardino è vissuto nelle ore notturne) ne riscaldamento!
Minimi i dettagli da menzionare:
Sebbene il filtro (corpo principale) sia posizionato fuori dalla vasca la pompa del medesimo è posta all’interno del laghetto lavorando quindi completamente sommersa.
Il tubo – di sezione molto più grande rispetto a quelli usati in acquario – che riporta l’acqua in vasca è posizionato in modo che il getto colpisca gentilmente la superficie increspandola e muovendola e contribuendo, quindi, a mantenere più elevato il livello di ossigeno in acqua specie nei giorni caldi dell’estate.
Sul corpo del filtro c’è un “interruttore di flusso” (ovviamente occorre staccare l’alimentazione elettrica per utilizzarlo) che consente di deviare, manualmente, il flusso dell’acqua e quindi di pulire, strizzandoli a mezzo di una pompa manuale, i materiali filtranti.
Il tutto (cosiddetto “lavaggio in contro flusso”) defluisce attraverso una via di servizio aperta dal menzionato interruttore e la pulizia avviene senza neppure aprire il filtro stesso … GRANDE!!!
Insomma pochi, e piccoli, accorgimenti per un grande risultato!
Le piante del laghetto.
Ho impiegato, specie nella fase iniziale per contrastare il possibile sviluppo delle alghe, svariate sppecie piante che corroborate dal sole estivo si sono sviluppate, quasi senza eccezioni in modo assolutamente rigoglioso:
• Pistia stratiotes: nota come lattuga (ma anche cavolo) d’acqua, originaria del continente americano (ma ormai cosmopolita, ed in certi ambienti infestante) riproduce per stoloni (getti laterali della pianta madre) colonizzando ogni possibile spazio messo a sua disposizione. Predilige il sole pieno.
• Egeria (o Elodea) densa: nota anche con il nome comune di “peste d’acqua” per la sua velocità di crescita gradisce, anche lei, una forte illuminazione e- almeno per la mia esperienza – patisce la temperatura dell’acqua troppo elevata (tipica dei mesi centrali dell’estate).
• Vallisneria gigantea: presente in natura in differenti parti del globo vive tanto in acque stagnanti che a forte movimento, spesso colonizzando fondi sabbiosi/argillosi. Mi ha colpito, avendola sempre considerata una pianta “d’acquario”, per la sua rusticità, ma soprattutto, resistenza al freddo, nell’inverno che ci stiamo lasciando alle spalle ha superato una nevicata ed una gelata, quasi completa, della superficie dell’acqua.
• Nymphaea sp.: si tratta di un ibrido in grado, pur perdendo tutte le foglie che rispunteranno coi primi caldi, di svernare all’aperto al contrario, ad esempio, delle specie tropicali che richiedono il ricovero, e riposo, dei bulbi in ambiente meno freddo.
• Cyperus sp.: ovvero il papiro noto sin dal tempo degli antichi egizi. In natura raggiunge altezze considerevoli in vasca/laghetto molto meno ma va considerata, con attenzione, la notevole forza delle sue radici che giudico tra le concause della rottura del vetro – vedi sopra -che ha dato origine a questa storia. Se non controllato è incontenibile, teme il freddo (che ne brucia le “cime”) ma al ritorno del caldo, già dai primi tepori primaverili, è in crescita rigogliosa.
• Equisetum sp.: dal caratteristico fusto sottile, eretto e segmentato di colore generalmente verde scuro (ma che può virare sino al beige/marrone) è noto per il suo portamento come “coda di cavallo”, la sua presenza sulla terra sembra risalire addirittura al carbonifero, come testimoniano numerosi resti fossili di quell’epoca. L’Equiseto ha, anche, molteplici altre proprietà che lo vedono utilizzato nella cosmesi e nella medicina naturale.
• Hybiscus coccineus: originario dell’America settentrionale raggiunge in natura dimensioni di alcuni metri, se “costretto” in vaso resta ben più piccolo è caratterizzato da un bellissima, vistosa fioritura (che ho avuto il piacere di osservare solo una volta) contraddistinta, però, da una durata brevissima.
• Zanthedeschia aethiopica: anche nota, impropriamente, come Calla palustre origina dalle zone umide del Centro-Africa. Ha sofferto abbastanza il freddo inverno appena trascorso e sono curioso di osservare la sua ripresa (mi auguro!) col pieno ritorno del caldo.
• Iris Pseudoachorus: il “Giaggiolo acquatico” è caratterizzata da lunghe foglie a forma di “lamina” e da vistosi fiori gialli che sbocciano dall’inizio della primavera sino ad estate inoltrata. In natura colonizza le zone umide ed i bordi dei canali ed origina dalle zone temperate dell’Europa ed Asia occidentale.
Fioritura di Hybiscus coccineus.
I pesci del laghetto
Questo è stato un argomento controverso: il (mio) primo obiettivo sono state le “Koi”, ovvero le Carpe giapponesi, ma una volta realizzato che l’invaso era troppo piccolo, almeno nell’ottica di un allevamento prolungato, ho dirottato verso i meno nobili, ma parimenti colorati, pesci rossi tra cui due provenienti dalla vasca da cui tutto ha preso l’inizio.
Ai Carassius auratus ho, poi, aggiunto alcuni pesci dei nostri fiumi (sia nativi che introdotti). La scelta iniziale è stata Rhodeus amarus, Alburnus alburnus e Pseudorasbora parva ma solo l’ultima specie si è correttamente e confortevolmente acclimatata in vasca.
Vediamole brevemente:
• Rhodeus amarus (Bloch, 1782): pesce di piccola taglia (max 9,5 cm) spesso con una gibbosità dorsale più o meno marcata, è caratterizzato da una linea laterale (organo del “senso” dei pesci) incompleta. La colorazione varia dal grigio verdastro sino al nero con sfumature rosate ed una fascia verde-azzurra sui fianchi. Caratteristico nelle femmine, solitamente più grandi del maschio, è l’ovopositore che – nel periodo della riproduzione – può raggiungere una lunghezza superiore a quella dell’intero corpo!
• Alburnus alburnus (Linnaeus 1758): la comune Alborella, quasi ubiquitaria – in origine – in Europa. Raggiunge una taglia di 10/12 cm ha corpo snello ed allungato con dorso grigio verde e ventre grigio argentato, con bocca piccola. È veloce nuotatore e si è dimostrato – purtroppo per lui, ottimo saltatore – specie se impaurito – con conseguenze spesso ferali.
• Pseudorasbora parva (Temminck & Schlegel, 1846): noto anche come Cebacek presenta una colorazione grigio/bronzea con – nei maschi in fase di riproduzione – bei riflessi violacei. Popola tutti, o quasi, i corsi d’acqua con corrente moderata, poca profondità e fondi indifferentemente, sabbiosi o ghiaiosi, in zone ricche di vegetazione non disdegna però laghi collinari, risorgive e fiumi di fondo valle. Si tratta di una specie, di origine asiatica, alloctona (introdotta accidentalmente in fase di ripopolamento dei corsi d’acqua nostrani) in rapida diffusione, a causa delle elevata prolificità, a scapito delle specie autoctone, specie quelle più piccole (cui si sostituisce agevolmente).
Concludendo ecco i link alle rispettive schede di dettaglio su www.fishbase.org:
• Rhodeus Amarus
• Alburnus Alburnus
• Pseudorasbora Parva
Tocco conclusivo è stato l’inserimento di un giovanile di Acipenser Ruthenus (conosciuto comunemente come Sterletto o Sterleto). Acipenser ruthenus: probabilmente la specie più diffusa tra gli Acipenseridi europei che popolava, in origine, vaste zone della Siberia ed i principali affluenti del Mar Caspio occidentale, Mar d’Azov e Mar Nero.
Lo Sterleto vive anche nel Danubio e sembra essere stato introdotto in altri bacini fluviali/lacustri europei. È l’unico Acipenserinide – dunque una specie potamodroma – a vivere esclusivamente in acque dolci.
La sua ridotta taglia, se paragonato ad Acipenser transmontanus (c.d. Storione bianco) che supera i sei metri, ne rende possibile l’allevamento amatoriale sia in vasca che all’aperto: al netto, ovviamente, di quanto andrò ad aggiungere …
Con lui – lo ammetto – non ho avuto assolutamente fortuna il primo esemplare è, in modo del tutto inaspettato, saltato fuori dalla vasca (ed ancora mi domando il perché) ed è stato rinvenuto troppo tardi mentre il secondo è semplicemente … scomparso!!!
Io sospetto che il colpevole sia (stato) uno dei Martin Pescatore che avevano l’abitudine di appollaiarsi sul filo del telefono che corre, fuori dal giardino, lungo il muro di cinta.
Scomparso lo storione anche i Martin Pescatore stessi hanno levato il disturbo, direi che è un pò troppo per pensare ad una semplice coincidenza!
Esemplare di Acipenser ruthenus intento a perlustare il margine del laghetto, in immagine la vasca è “nuova” e presenta ancora un aspetto “plasticoso” ed eccessivamente luccicante, col passare del tempo un sottile – salutare – stato di alghe ha coperto il tutto conferendo all’ambiente un tono assolutamente più naturale (e ben più gradevole alla vista, credo).
Concludendo se ne avete la possibilità non negatevi un’esperienza come quella che ho appena descritto: non ve ne pentirete!!!