Un po’ d’anni fa tutti i ragazzi, che magari non ne avevano mai vista una, al comando: “fai la faccia da bavosa” replicavano con un’espressione a gote gonfie e bocca rivolta verso il basso, in qualche modo somigliante.
Guardate le foto e cercate di ricordare… Potere dei media, un pesciolino che tutto sommato molto popolare non lo era mai stato ebbe il suo quarto d’ora di notorietà grazie all’imitazione che ne faceva un noto comico televisivo, per poi ritornare nell’oblio. Provate a rivolgere la stessa frase a un quindicenne di oggi e ascoltate che vi risponde…
Le bavose per il biologo sono blennidi, una numerosa famiglia di pesci di piccola taglia (oltre 350 specie) che vivono di solito appoggiati al fondo o al massimo fanno brevi nuotate nelle immediate vicinanze. Hanno corpo allungato e cilindrico, un’unica pinna dorsale lungo la schiena (i gobidi e i callionimidi ne hanno due, i tripterigidi tre), soprattutto li distingue il fatto di essere nudi, prive delle scaglie che di solito proteggono la pelle dei pesci. La mancanza di scaglie è compensata dalla produzione di un muco particolarmente denso e abbondante, la bava che non passa inosservata a chi maneggi il pesciolino dopo averlo pescato, e che giustifica il nome comune.
Sono diffuse in tutto il mondo, hanno colonizzato anche acque temperate, ma sono una famiglia particolarmente legata agli ambienti di reef; anzi i biologi marini concordano nel considerarla una delle famiglie di pesci tipiche dei reef, la cui presenza è immancabile e necessaria.
Il subacqueo spesso non le nota nemmeno, a meno che sia abituato a osservare con attenzione il minimo movimento. In questo caso la pazienza di solito è premiata: tra le bavose esistono pesci magnifici e simpaticissimi, capaci di grandi performances davanti al fotografo. Sono territoriali, non si spostano mai di molto, basta avere pazienza e aspettarle al varco, diaframmare in modo da avere il pesce perfettamente a fuoco e lo sfondo sfocato, e lo scatto di effetto è garantito. Un loro comportamento tipico, quello di entrare con la coda in buchi stretti e di fare capolino con quella faccia un po’ così, con occhi indipendenti e mandibola rilassata, può essere occasione per scatti umoristici.
Le bavose si riproducono deponendo le uova nella tana, e di solito il maschio le difende fino alla schiusa.
Molte sono erbivore, la famosa bocca rivolta verso il basso e armata di denti a pettine è efficace nel raccogliere alghe filamentose, che crescono sul reef. Le alghe sono nemiche dei coralli, dove crescono troppo, tendono a ricoprirli e a soffocarli con la produzione di composti tossici: quindi i pesci erbivori sono preziosi alleati del reef, tengono sotto controllo le alghe e fanno spazio per la crescita di nuovi coralli. Se questo ruolo è ovvio per grossi erbivori erranti, come pesci chirurgo, coniglio o pappagallo, nessuno considera le piccole bavose che però sono tante, da buoni animali territoriali si dividono il fondale a scacchiera, e ognuna tiene pulito il suo settore di reef, la sua colonia di corallo, in ultima analisi la sua casa. Magnifico esempio di come nel reef tutte le vite sono collegate tra loro, il corallo dà rifugio alla bavosa e ne riceve pulizia. Le simbiosi probabilmente sono più comuni di quanto si pensi, e il ruolo di piccoli erbivori come le bavose va rivalutato.
La bavosa azzannatrice
Ma accanto a questi infaticabili brucatori, il reef nasconde anche blennidi che hanno evoluto una strategia alimentare carnivora che li pone a metà tra il parassitismo e uno strano comportamento predatorio. Sto parlando della temibile bavosa azzannatrice, o bavosa dai denti a sciabola! Non è uno scherzo. L’evoluzione di questi tranquilli pesciolini ha portato un gruppetto di loro a sviluppare i denti canini fino ad avere vere e proprie zanne sporgenti, a fatica nascoste dalle labbra eternamente piegate in un sinistro sorriso.
La bavosa dai denti a sciabola, sinuosa e sorridente, si avvicina agli inesperti pesciolini giovani, nuota tra loro con un certo sforzo (i blennidi non hanno vescica natatoria, perciò sono più pesanti dell’acqua e come subacquei inesperti nuotano sempre a testa verso l’alto, tradendo la fatica). Ai piccolini, insidiati dall’alto da cernie, lutianidi e dalle incursioni dei carangidi, dal basso da pesci falco, scorfani e murene, non pare vero di vedere qualcuno più goffo di loro. Innocuo! Manco per scherzo… Alla minima distrazione la bavosa/vampiro è pronta, scatta, morde, strappa una scaglia, un pezzo di pinna, al limite solo un boccone di gustoso muco ricco di proteine e polisaccaridi, e via nel suo buco, da dove riemergerà il sorriso zannuto che non incoraggia certo il morsicato a protestare!
Si può fare di meglio. Una di queste bavose azzannatrici, avvantaggiata da una somiglianza di base, ha evoluto una livrea identica a quella del pesce pulitore. Mimetizzata in questo modo non si limita ad avvicinarsi di soppiatto, è accettata dalle sue vittime, che credendo di trovarsi al cospetto del prezioso labride, abbassano la guardia e si sottopongono volontariamente all’umiliazione di essere… squamate. L’imitazione non è perfetta, differenti rimangono la forma e posizione della bocca del blennide, e anche il nuoto di avvicinamento, sebbene ricordi molto da vicino la danza del pulitore, è un poco più goffo, scomposto. Come sopra, sono di solito i pesciolini giovani e inesperti a cadere vittime, quelli più scafati riconoscono il falso pulitore e lo evitano.
In alcuni casi le zanne hanno addirittura evoluto ghiandole velenifere, che danno alla bavosa la facoltà di infliggere ai suoi aggressori un morso molto doloroso. Queste bavose velenose sono ovviamente evitate dai predatori: non usano il veleno per cacciare (si nutrono per lo più di plancton) ma solo per difesa.
Il più strano tra i blennidi è probabilmente la bavosa serpente, dal corpo sottile e allungato come quello di un’anguilla, lungo una cinquantina di centimetri.
Per finire, un’annotazione. Se molte specie sono ampiamente distribuite lungo l’Indopacifico, parecchie bavose invece hanno una distribuzione ristretta, limitata a gruppi di isole. Spostandoci verso est nell’arcipelago Indonesiano, attraversando il mare delle Molucche e il mare di Banda, profondi e percorsi da correnti molto forti, ci imbattiamo in moltissime di queste specie, notiamo un grande cambiamento da una sponda all’altra del mare, addirittura da un’isola all’altra. La sistematica è ancora da chiarire, sicuramente nei prossimi anni nuove specie endemiche riceveranno un nome e il dovuto riconoscimento. Le bavose, inconsapevoli di questo, continuano a brucare imperturbabili, mentre noi dovremmo incominciare a studiarle con più attenzione per le informazioni che ci possono dare sulle correnti, le maree, e i collegamenti che esistono tra le diverse aree.
Testo e foto: Massimo Boyer