La sopravvivenza di questa specie straordinaria, che vive a stretto contatto con la barriera corallina indonesiana, potrebbe dipendere dall’imminente convegno CITES in Sudafrica. I pesci cardinale di Banggai vengono prelevati dal loro habitat a centinaia per soddisfare la domanda del mercato acquaristico. Fotografia di Michael Patrick O’Neill, Alamy Lo scenario tropicale è da cartolina. Una palma su una spiaggia bianca deserta, circondata da acque turchesi, che si imprime nella mia memoria mentre scendo dalla barca con tutta l’attrezzatura da sub. A meno di due metri di profondità, mentre nuoto in mezzo a nuvole di pesci di barriera multicolori, si snoda un letto di coralli. Sto seguendo Alejandro Vagelli, biologo marino della Rutgers University e direttore del Center for Aquatic Sciences degli Stati Uniti, mentre si muove a zig zag sopra la barriera. Un semplice gesto di Vagelli e mi accorgo di un gruppo di minuscoli e graziosi pesci, il più grande arriverà a tre centimetri, che guizzano con agilità tra gli aculei di una serie di ricci di mare. Le placide baie di 34 isolette nall’arcipelago Banggai, in Indonesia, sono l’unico posto sul pianeta dove è possibile vedere il pesce cardinale di Banggai. Questi pesci devono il loro nome al fatto che il primissimo pesce cardinale ha evocato nella mente dei suoi scopritori gli abiti scarlatti di un cardinale, ma questa specie in particolare ha macchie argentate, strisce nere, pinne blu e nessuna traccia di rosso. Sono così fortunato da essere una delle pochissime persone al di fuori degli isolani ad aver visto il pesce cardinale di Banggai nel suo habitat naturale, che secondo un’indagine del 2015, condotta da Vagelli in collaborazione con la Fondation Franz Weber -un’organizzazione svizzera che finanzia progetti di conservazione in tutto il mondo- comprende meno di 25 chilometri quadrati. “Si tratta di una delle distribuzioni più ridotte mai documentate per un pesce marino”, mi spiega Vagelli, una volta risaliti sulla fatiscente imbarcazione del dipartimento della pesca che, insieme alle piroghe dei locali e ai pescherecci, è l’unico mezzo di trasporto disponibile. Eppure la mia gioia nell’aver osservato questi pesci è mitigata dalla prospettiva di vederli presto scomparire in natura. Il motivo è che vengono catturati per il mercato degli acquari più rapidamente di quanto riescano a riprodursi. Nonostante la specie si riproduca anche in cattività -una delle poche che ci riesce, tra i pesci di barriera- i nuovi nati riescono a soddisfare solo una piccola parte della domanda insaziabile degli amanti degli acquari. È per questo che al convegno della CITES (Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, l’ente che regola il commercio della fauna selvatica), a fine settembre in Sudafrica, verrà vagliata una proposta per garantire maggior protezione ai pesci cardinale di Banggai. “Se verrà approvata”, dice Vagelli, “qui potrebbero riuscire a sopravvivere”. In caso contrario, “nel giro di pochi anni scompariranno del tutto in natura”. Il pesce Santo GraalEra il 1994 quando l’ittiologo Gerald Allen del Western Australian Museum di Perth, esperto dei pesci di barriera indo-pacifici, visitò l’arcipelago di Banggai. E fu il primo scienziato a osservare e documentare questa specie nel suo habitat naturale. Capì subito che “è solo una questione di tempo prima che questo pesce faccia il botto sul mercato acquaristico”, come scriveva su Marine Habitat Vagelli nel 2013. E Allen aveva ragione. Nel giro di un anno i pescatori locali erano già alla ricerca dei cardinali, “il Sacro Graal dei pesci ornamentali” secondo Vagelli, per soddisfare gli hobbysti di tutto il mondo. All’inizio del 2001 venivano catturati almeno 2000 pesci ogni giorno, più di 700mila l’anno. “Oggi”, prosegue Vagelli, “si tratta ancora di un numero a quattro cifre”. Ma in natura, secondo un censimento del 2015, non ci sono che 1,5 milioni di esemplari. “Sono molto facili da catturare”, conferma Sarli Yakil, un pescatore locale specializzato nei pesci cardinale di Banggai, mentre mi unisco a lui e ad altri abitanti del villaggio diretti a una barriera poco profonda per cercarli, a bordo di canoe di legno. I cardinali di Banggai tendono a unirsi in gruppi stabili in acque calme e poco profonde, ed è per questo che per catturarli basta radunarli nelle reti e poi metterli nei contenitori destinati al venditore. Nel giro di un minuto si riesce a radunare anche un centinaio di cardinali. Yakil li vende ai commercianti di Bali in “partite” di cento pesci, pagati circa cinque centesimi l’uno. “Ma molti dei miei pesci muoiono prima di raggiungere Bali”, aggiunge. Circa la metà, di quei cento, non ce la fa. I commercianti esportano i pesci attraverso una serie di intermediari fino a raggiungere i mercati europei e statunitensi, un viaggio che, secondo Vagelli, ne uccide un ulteriore 25%. I sopravvissuti finiscono nei negozi di animali, dove vengono venduti al prezzo di 25-50$ ciascuno. “Di questi tempi è difficile trovare i cardinali di Banggai”, racconta Yakil, che ha notato il crollo drammatico nel numero di pesci. Lui e gli altri pescatori devono investire più tempo, carburante e denaro per frugare nelle acque più basse alla ricerca di nuove popolazioni. In questo modo Yakil guadagna solo 70$ al mese e per mantenere i cinque componenti della sua famiglia ora deve affidarsi di più alla pesca tradizionale e alla raccolta dei chiodi di garofano selvatici. Un rapido declinoSecondo i dati di Vagelli, tra il 1995 e il 2005 le popolazioni di pesci cardinale di Banggai sono crollate del 90%. “In alcune aree”, spiega, “sono già estinti localmente”. Secondo Monica Biondo, biologa marina della Fondation Franz Weber e collaboratrice di Vagelli, un declino simile significa che dieci anni fa i cardinali “avrebbero facilmente raggiunto i criteri per essere inseriti nell’Appendice II della CITES, che esige una regolazione severa del commercio che parte in Indonesia attraverso quote ben precise e permessi”. Ma non è andata così. Nel 2007, nonostante nella Lista Rossa IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) il cardinale di Banggai fosse già “minacciato”, la CITES non ha concesso alla specie la protezione speciale. “Quell’anno”, dice Biondo, “l’Indonesia si è opposta alla proposta portata avanti dagli Stati Uniti per inserirlo nell’Appendice II, dicendosi in grado di gestire il commercio in modo sostenibile”. Nei successivi convegni CITES non ci sono state altre proposte, fino a quella che verrà valutata a fine settembre. Secondo Vagelli, la pretesa indonesiana di riuscire a gestire il commercio in modo sostenibile è poco onesta. Era il 2009 quando a Bone Baru, il villaggio di Yanki nelle isole Banggai, è stato costruito un centro per la conservazione con l’obiettivo di aiutare a proteggere i cardinali di Banggai. Ma come riporta Budiwan Apok, funzionario del dipartimento della pesca dell’arcipelago, non è mai stato avviato. Lui sospetta sia stato costruito come specchietto per le allodole, perché il governo indonesiano non ha mai avuto l’intenzione di prendere seriamente la gestione di questa specie. “Nessuno al governo è davvero interessato al pesce, o alle persone che vivono qui”, aggiunge. L’edificio oggi è coperto dalla vegetazione e sta andando in rovina. Ratna Kusuma Sari, vice direttrice della delegazione indonesiana CITES, non ha voluto commentare la questione del centro per la conservazione. Secondo Apok tutti i cardinali di Banggai a Bone Baru -nei pressi di quella che era un tempo una delle popolazioni più numerose- sono stati catturati. L’ultima speranza?La tappa successiva del mio viaggio mi ha portato da tutt’altra parte, a Monaco, casa di una delle più grandi popolazioni di cardinali di Banggai in cattività. “Abbiamo fatto riprodurre con successo intere generazioni di questa specie a partire dal 1996”, mi racconta Nadia Ounaïs, direttrice dell’Oceanographic Museum of Monaco (nel 2010 questa specie era anche su uno dei francobolli della città, per celebrare il lavoro di questo istituto). Con le centinaia di pesci nelle vasche per la riproduzione, più gli altri in esposizione, secondo Ounaïs al museo nascono circa 150 pesci l’anno, il che rende il loro programma di riproduzione tra i più efficaci. “Basta appena per rimpiazzare le morti naturali nella loro collezione”, fa notare Vagelli, “per non parlare del fatto che è insufficiente per soddisfare il mercato degli acquari”. Per questo, continua l’esperto, l’imminente convegno CITES è così importante. I 183 firmatari valuteranno la proposta dell’Unione Europea di inserire il pesce cardinale di Banggai nell’Appendice II, che ne limiterebbe il commercio. Secondo la Food and Agriculture Organization statunitense, la IUCN, il World Wildlife Fund e il Segretariato CITES, il cardinale rientra nei criteri scientifici e biologici per far parte dell’Appendice II. Tutti loro sostengono la proposta, ma secondo Kusuma Sari il suo paese, l’Indonesia, si opporrà ancora. “Siamo contrariati perché l’UE non ha seguito il protocollo”, ha spiegato in un incontro con i rappresentanti dei governi locali e i pescatori il 23 agosto a Salakan, su una delle isole dell’arcipelago. “Avrebbero dovuto consultarsi con le autorità scientifiche indonesiane prima di sottoporre la proposta”. Biondo, la biologa che ha contribuito alla stesura della proposta per fornire a questi pesci maggior protezione internazionale, dice che “l’UE si è consultata con l’Indonesia” e l’ha anche invitata a supportarla. Ma “l’invito non è stato accolto”. Se la proposta verrà approvata e l’Indonesia vorrà continuare a esportare i pesci, dovrà provare che il commercio non danneggia la specie. Per riuscirci dovrà condurre un censimento dettagliato, che secondo Sari richiederebbe “troppo tempo e denaro”. Questo preoccupa l’UE e le ONG come la Fondation Franz Weber, che si sono offerte di fornire supporto tecnico e finanziario. Ma l’Indonesia vuole vedere i fondi ancor prima di considerare il suo supporto alla proposta, dice Sari. Anche in quel caso, non sarebbe pronta a farlo fino al prossimo congresso CITES, nel 2019. Ma i pescatori e le autorità locali nell’arcipelago di Banggai non condividono la posizione del loro governo nazionale. Molti, come Yakil, pensano che la protezione internazionale contribuirebbe a rendere più sicure le loro fonti di sostentamento future. All’incontro di agosto, a Salakan, le due unità amministrative dell’arcipelago (le “reggenze”) hanno firmato una lettera come portavoce dei locali, chiedendo al governo di dare il suo completo supporto all’inserimento della specie nell’Appendice II. Bosman Lanusi, che rappresenta le reggenze di Banggai a Giacarta, dice che da dieci anni provano a inserire la specie nell’Appendice II, “ma senza successo. Ora le cose devono cambiare. Come rappresentante della gente di Banggai, sollecito le autorità a inserire il pesce [nell’Appendice II] alla conferenza in Sudafrica. In caso contrario, lo perderemo per sempre”. Fonte: National Geographic
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