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La vasca da 750 litri:I cambi d’acquaI cambi d’acqua sono la vita (la “nuova linfa”,) di ogni vasca non importa quanto la stessa sia sofisticata tecnologicamente, nella vasca che sto descrivendo dopo una fase iniziale di estrema attenzione necessaria per capire la reazione del “sistema acquario” ho raggiunto un soddisfacente equilibrio (tre necessità dei pesci e mia fatica) attestandomi sulla sostituzione di 180 litri (netti) ogni 15 giorni. Il volume rimosso sale a 210 litri – e oltre – in caso di intervalli più lunghi. Il generoso dimensionamento dei filtri (vedi sopra) mi ha permesso – in condizioni di forza maggiore – di eccedere i limiti sopra menzionati; fermo restando che è una prassi che sconsiglio fortemente ho avuto – se non altro – la conferma che il set-up (e le dimensione/potenza dei filtri installati) era corretto. In quei rari casi sono arrivato a cambiare (a fronte di una capienza netta di circa 600 litri) ben 400 litri in una unica soluzione facendomi forte (per evitare almeno lo “shock termico”) della presenza di un miscelatore – a servizio del tubo “di mandata” – collegato all’impianto idrico di casa. L’arredamentoArgomento, come noto a tutti ciclidofili coinvolti nell’allevamento dei pesci della Rift Valley, a due facce: da un lato i materiali usati sono estremamente rustici limitandosi a ghiaia/sabbia e rocce/sassi, dall’altro la loro disposizione/foggia/dimensione (al fine di assicurare una vita “di qualità” agli ospiti) è di estrema importanza. A tal riguardo rimando alla “territorializzazione della vasca” discussa in precedenza. Aggiungo che l’uso di materiali “cavi” (come ad esempio i foratini) consente di realizzare strutture (che poi sarà meglio occultare …) anche significative con buon risparmio di peso ed offrendo eventuale rifugio ad esemplari giovani, femmine e piccoli che venissero rilasciati in vasca, discorso analogo (con ulteriore enfasi sul risparmio peso/necessità di “occultare”) riguarda i tubi in PVC. Alcune (non tutte) di queste pietre sono state effettivamente usate per arredare la vasca. La popolazioneQuesto è un pozzo senza fondo, per definizione le vasche dei ciclidofili sono sovraffollate, tale situazione è stata addirittura teorizzata in modo cattedratico (c.d. principio di “overcrowding”, in italiano sovraffollamento) ma esistono comunque alcuni capisaldi minimi che – almeno quelli! –vanno comunque rispettati. Ed allora: • Evitare i mix con pesci provenienti da altre aree, in subordine scegliere pesci dalla presenza non invasiva (e monitorare bene che sia così) • Salendo di “sofisticazione” evitare i mix tra esponenti di differenti laghi, in subordine privilegiare l’accoppiata Malawi/Vittoria: a riguardo della quale posso però, ed in prima persona, testimoniare esperienza contrastanti, nessun problema con Pundamilia nyererei in una vasca di M’buna e – al contrario – grosse difficoltà con Astatotilapia nubila in una vasca di haps e neppure troppo invasivi. • Top del top è dedicare una vasca ai soli M’buna oppure Haps (cosa che ci metterà al riparo da quasi tutti i problemi di convivenza non legati a territorialità/aggressività). Tra i pesci di altri biotopi che (se necessario) si possono aggiungere ad una vasca Malawi cito – in certo qual modo “forzatamente” – i loricaridi più robusti e più liberamente i Synodontis, sia fluviali che lacustri. Ricordano (vedi la voce illuminazione, che sono pesci con specifiche e peculiari esigenze in termini di luce). L’alimentazioneSceglieremo l’alimentazione (tra fiocchi, pellets, surgelato, fresco, vivo) in base alle esigenze dei ciclidi del Malawi e quindi, nel loro ambito, in base alle specie specificatamente ospitate: una alimentazione troppo proteica può condurre ad avere in vasca degli M’buna marcatamente abbondanti in taglia (in natura praticamente non eccedono i 10/11 cm) o, che è peggio, alla perdita di esemplari a causa del blocco intestinale ingenerato da un regime alimentare inadatto. Nella mia vasca ho allevato (quasi) esclusivamente Haps quindi ho sentito il problema (“bloat”, nome gergale della malattia in questione) in maniera molto limitata mentre – al contrario – posso segnalare il gradimento elevatissimo delle larve di zanzara nere (vive, che raccoglievo nei piccoli specchi d’acqua del giardino) da parte di Copadichromis ed Aulonocara, in particolare i selvatici che sono rientrati con me dal lago (Copadichromis borley, Aulonocara sp. “Chipoka” e Aulonocara stuartgranti “Cobuè”). Malattie (per favore, no!) e cure: …In merito – più che mai – è impossibile generalizzare essendo troppe le variabili; mi limiterò ad alcune affermazioni generali, la prima delle quali è (forse) ovvia: “trattare” una simile vasca, nella sua interezza, è costoso in termini (di quantità) di principio attivo utilizzato e – in certo qual modo – dannoso nei confronti dei pesci (ancora?) sani e/o non aggrediti dalla patologia in corso. Da quanto sopra discende la necessità di avere almeno una vasca di quarantena e cura che dovrà avere, molto probabilmente, una dimensione superiore alla norma in funzione della taglia degli occupanti della vasca principale. Aggiungo che i medicinali vanno sempre somministrati a ragion veduta (ovvero sapendo bene contro cosa si “combatte” ad evitare, nel tempo, l’insorgenza di ceppi “resistenti” ai farmaci), nelle dosi/tempistiche/modalità suggerite. Per finire segnalo che un robusto cambio d’acqua è prassi obbligatoria prima della somministrazione di un diverso medicinale, ad evitare pericolose mescolanze. Personalmente (in questa vasca e nelle altre, e non da ieri) non uso biocondizionatori di alcun tipo e, più in generale, tutti i prodotti chimici sono da me considerati una sorta di “estrema ratio”. Quando avevo pesci – in altre vasche! – che necessitavano di acque “tenere” realizzavo da me un artigianale estratto di “black water”: una prassi funzionale ma faticosa, che mi ha portato (non potendo più ottemperare alle necessità di certi pesci) dal desistere dall’allevare certe specie (ma questa è una storia diversa). La manutenzione nel tempo e l’affidabilità del sistemaAvere una vasca che sia semplice e poco faticosa da mantenere è fondamentale per mantenere nel tempo l’entusiasmo che porta a non “bigiare” i propri compiti con – a lungo andare – uno scadimento della qualità della vita in vasca e della soddisfazione che ne discende accudendola. Al riguardo ho seminato, in questo scritto, parecchi spunti e qui mi limito a ricordarne due: • Facile accesso alla vasca, a tutti i suoi servizi, e relativi materiali da sostituire. L’uso di attrezzature di qualità (e di servizi ridondati) porta come – piacevole – conseguenza una gestione semplice e soddisfacente nel tempo che è fatta di incidenza di guasti ridotta e (relativamente) poca fretta nel dover intervenire: se si ferma il (singolo) filtro la situazione si fa in breve drammatica nella mia vasca anche due pompe/filtri fermi (è successo!) consentono di pianificare l’attività e la tipologia di intervento senza ne fretta ne stress: è impagabile … Ecco il risultato dei miei sforziLa vasca frutto dei mei sforzi è proposta (foto) in “Layout Haps”: con ampi spazi per nuotare, abbondanza di ghiaia (per i pesci che “ruminano” la sabbia), rocce ai lati e sul fondo, luce moderata, anche il mobile che “veste” la vasca (e che si vede parzialmente) ed il suo supporto sono opera mia: nel disegno e nella rifinitura essendo state, le varie parti, tagliate a misura ed assemblate da un artigiano di fiducia. Segnalo poi, con riferimento al principio del “sovraffollamento”, una delle ragioni fondamentali per cui si cerca di arrivare a confrontarsi con vasche di tale dimensione: sono infatti in vista (mentre gli altri sono indaffarati fra le pietre) due Cyrtocara moori adulti, Un Copadichromis borley, una coppia di Dimidiochromis compressiceps ed una femmina di Fossorochromis rostratus eppure, ripeto gli altri sono “altrove”, non ostante la taglia dei soggetti si respira – credo – un’aria di libertà e di ampi spazi. Finalmente i pesci in vascaGli scatti che seguono vogliono testimoniare il raggiungimento di quel “well-being” menzionato in precedenza, un simile risultato ripaga di tutti gli sforzi. In foto (sopra) una bella immagine di Copadichromis borley (M), sotto invece un intenso “primo piano” di un maschio (sub-adulto) di Fossorochromis rostratus, con George eravamo soliti chiamare questi pesci con soprannome vezzeggiativo di Fossie(s). Entrambe gli esemplari sono selvatici (F0). Una bella immagine (ancora sopra) di Aulonocara stuartgranti “Cobuè”, in vasca le sfumature del rosso di questo splendido pesce scemano – rispetto agli esemplari osservabili in natura – molto rapidamente. Cyrtocara moori, per finire: il maschio (identificabile come tale dalla pronunciata gibbosità frontale) in foto ha circa quattro anni ed una taglia di 25 cm. Allevare simili pesci è uno dei “plus” della vasca che ho appena descritto, un buon motivo – credo – per affrontare la stessa trafila. Considerazioni conclusiveSono – almeno – tre: Il “know-how” acquisito è impagabile, anche se difficile da “quantizzare: dopo una fase – per certi versi comprensibile – di sconcerto, quasi di paura si iniziano a comprendere i meccanismi, si capisce ad esempio che guadagnare/perdere un grado in temperatura richiede tempo (e molto) ma che la cosa non è – necessariamente – un male: a fronte di un imprevisto c’è il tempo per pensare, valutare e poi intervenire a ragion veduta. Si capisce nel fluire lento di una simile struttura come a fronte di deterioramenti minimi della situazione (che richiedono tempo per farsi gravi) occorrerà parimenti tanto tempo per recuperare: si impara ad osservare e pianificare … Considerazioni sui costi: non è una avventura economica (poco ma sicuro) e qui, per forza di cose, ciascuno ha un suo “metro” personale su cui ovviamente non mi pronuncio. Il fai da te (oltre che necessario non essendoci molto di pronto per lavorare su simili cubature) è oltre che una necessità una buona … “via di fuga”. In generale LO RIFAREI?!?!: Nel tempo a questa vasca (passata ad ospitare ciclidi del Mdagascar) è seguito un 500 litri (prima amazzonico ed ora … “malavitoso” a sua volta) ed un 340 litri è attualmente in fase di preparazione/installazione. Insomma … CERTO CHE LO RIFAERI!!! Un’ immagine vale più di mille parole. Ed eccomi ai commiati, con questa foto leggermente rovinata ma dai colori ancora vivi e struggenti: E’ il 24 Ottobre 1999, un’alba che non scorderò mai: il sole che sorge sul lago illumina quello che, ancora oggi, è il mio ultimo giorno trascorso in Malawi. DEVO TORNARE! Crediti. Tutte le foto ed i disegni del presente articolo appartengono all’archivio di Malawi Cichlid Homepage. |