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La “territorializzazione” della vasca.Consentire ai ciclidi di interagire correttamente tra loro è fondamentale per un allevamento che garantisca una buona qualità di vita ai pinnuti e soddisfazioni all’allevatore. Visto che, per forza di cose, un acquario – specie se casalingo – deve essere visto come un ambiente limitato alcuni aspetti andranno considerati con attenzione: la “carenza” di spazio in vasca impone, infatti, un attento studio dei pesci che ospiteremo e delle loro esigenze, ed imporrà rinunce cui – per grande che possa esser il sacrificio! – dovremo saperci assoggettare … il risultato sarà una vasca il più possibile “simile” al vero e gratificante da gestire. Sintetizzando (non è la mia migliore dote) – e ragionando in linea teorica – prenderemo in considerazione almeno: 1. i rifugi offerti: dovranno essere adeguati per numero foggia e dimensione ai pesci ospitati. Non va dimenticato che alcuni maschi tendono a considerare come proprio territorio di pertinenza l’intera vasca e comportarsi di conseguenza. L’uso di “barriere visive” è quindi fondamentale: spezzano la visuale e portano il dominante a non curarsi più di tanto di quello che accade “oltre/dietro”. Molti ciclidofili hanno sperimentato l’accendersi, o al contrario il repentino scomparire, di risse furibonde in base alla semplice aggiunta/rimozione o spostamento di uno dei “margini” territoriali (tipicamente una pietra, ma non necessariamente). 2. la gestione della aggressività intraspecifica ed interspecifica (ovvero rivolta verso esemplari appartenenti al medesimo genere/specie o ad altri): non è da sottovalutare. La questione è dibattuta e ben nota e per tratteggiarla mi limiterò ad un esempio: in un vasca da 750 litri (quella di cui parlerò poi) due maschi di Copadichromis borley non sono riusciti ad andare d’accordo, nell’attuale 500 litri quattro maschi di Protomelas sp. “Taiwan Reef” si ignorano o, almeno, si sopportano … il punto è quello di non consentire a chi si trova al vertice della scala gerarchica di individuare il più debole: dovesse accadere la fine dei subalterni (tutti) è segnata, o almeno molto ingrata … 3. overcrowding (ovvero sovra-affollamento): il suo uso – con le cautele del caso – è da considerarsi lecito, a meno che non lo si utilizzi come “correttivo” di condizioni di allevamento non ottimali (esempio vasche troppo piccole). Ha la funzione di diminuire l’aggressività non consentendo ai dominanti di identificare gli eventuali – nella loro ottica, ovviamente – intrusi. 4. corretto rapporto di sessi (o sex-ratio): è un parametro che va attentamente considerato: la regola generale – ma non assoluta – prevede un rapporto (M/F) di “uno a molti”, e poi, solo in subordine, di uno ad uno. Causa/effetto dell’aggressività dei ciclidi è la loro marcata territorialità con conseguente difesa del proprio “angoletto”: all’interno di questo comportamento comune a moltissimi membri della famiglia Cichlidae esistono delle peculiarità infatti, a seconda dei casi, un maschio difenderà un territorio accettando in esso solo femmine pronte alla riproduzione, oppure una coppia difenderà il sito che si è scelta, ma anche un maschio accetterà nel suo regno più femmine (le quali a loro volta – potrebbero – ciascuna difendere un proprio “sub-territorio), e gli esempi potrebbero continuare. Il caso limite è quello dei “territori sovrapposti” di pesci che, per genere/specie, non si “intralciano a vicenda”. Il caso classico – guardando magari oltre il Malawi – è quello di una coppia di ciclidi ed una di loricaridi – anche loro contraddistinti da forte territorialità – che riescono a ricavarsi i rispettivi territori in vasca. Le due coppie infatti, pur insistendo sopra una medesima area (ovvero la vasca), non sono concorrenziali/competitive fra loro: quando un simile situazione si realizza in vasca vuol dire – oggettivamente – che avremo progredito molto sulla via della corretta replica degli ambienti originali. Un aspetto molto peculiare: la riproduzione.La summa di tutto quanto sopra si trova nella gestione della riproduzione, meglio nel creare le condizioni in base alle quali una coppia si senta nelle condizioni di “replicarsi”, e questo dipende in buona parte dall’allevatore. In tal modo potremo osservare atteggiamenti dei ciclidi fra i più interessanti, a seconda delle specie (e delle condizioni di allevamento) ne identificheremo uno o più: parate di minaccia ed aggressione dell’intruso, accettazione di femmine in estro, difesa del territorio e/o del cibo in esso reperibile, difesa della prole e non solo … L’applicazione pratica dei concetti.Sappiamo quindi – almeno a grandissime linee – come i ciclidi si comportano in natura ed anche cosa dovremo considerare e cercare di riprodurre nella vasca che andremo ad allestire: ma “come” si fa? Qui – fermi restando i punti cardine – abbiamo una relativamente maggior libertà di manovra e una volta evitati gli errori più marchiani tutto sarà demandato alla nostra buona volontà, buon gusto, inventiva e, ultimo ma non ultimo, al nostro … portafoglio. Personalmente sono uso prendere in considerazione almeno i seguenti aspetti: • La qualità dell’acqua: in merito dopo aver significato che ogni specie, in funzione del biotopo di origine, ha le sue specifiche esigenze cui è bene cercare di derogare il meno possibile rimando – per i ciclidi del Malawi – al breve specchietto (nel seguito) che dettaglia le condizioni che personalmente ho rilavato, al lago, nel viaggio del 1999. • Successivamente focalizzeremo la nostra attenzione sul “cosa” usare per raggiungere il nostro scopo: dal punto di vista del pinnuto una caverna – artisticamente ricavata da rocce unite e posizionate alla bisogna – o un tubo di PVC arancione sono “quasi” la stessa cosa: entrambe gli permettono di nascondersi, delimitare il territorio, difendere la prole. La differenza in questo caso la fa il nostro occhio di osservatore, se posso permettermi il nostro buon gusto, e qui – visto che si scende sul personale – mi fermo. • Diverso è il caso di utilizzo di materiali inadatti. Ad esempio un fondo a granulometria grossa non è un problema per un “Guapote” da 40 cm ma può essere uno fattore di limitazione – e di potenziale stress – per uno M’buna: entrambe scavano molto, ma … • Caso estremo sono materiali che possono rilasciare in acqua sostanze “dannose” e potenzialmente inquinanti, se non per l’ambiente (in cui comunque smaltiremo l’acqua che risulta dai cambi) per i pesci ospitati … Introduco, in conclusione, un ulteriore aspetto da non sottovalutare, quello degli “alieni” (ovvero pesci di altri biotopi), da considerare – ad esempio . in termini di: 1. Compatibilità (come chimica dell’acqua, ma non solo), La regola “aurea” dice che non si fa: non sono ammesse forme alloctone in vasca. In pratica, come sempre, esistono le zone grigie ovvero un ventaglio di situazioni sub-ottimali in cui ci si può muovere; punto fondamentale è, per me, quello di allontanarsi il meno possibile dall’ortodossia stretta. Esiste un certo margine (modesto) di manovra ma tutto andrò gestito con buonsenso e magari con una serie di “approssimazioni successive”. Molti – me compreso – tengono/tenevano loricaridi con i ciclidi della Rift Valley (è sbagliato, ma …si fa!) però se poi i minuscoli conchigliofili non ne vogliono sapere di riprodurre è inutile dare la colpa alla chimica dell’acqua, o alla cattiva filtrazione … Trucchi, dritte, errori e non solo …Prima di iniziare a costruire la maxivasca concludo con l’elencazione di alcuni banali “trucchi” appresi con l’esperienza. Sono forse inezie ma credo possano, nel loro piccolo, aiutare quando avete da accudire una vasca molto grande oppure molte vasche medie, medio/piccole che non è lo stesso (anzi, forse è peggio …) ma quasi. Da ultimo aggiungo che eventuali “metodi spicci” tesi a semplificare la mia attività ma sospettati di arrecare danno ai pesci sono stati sempre (tranne che nelle poche reali emergenze con cui ho dovuto confrontarmi, ed anche in questo caso …) “messi alla berlina”. Un esempio per tutti? Lo stripping: non esiste nel lago e non deve esistere in vasca, ed ho detto – credo – tutto. Quindi prenderemo in considerazione: • La dimensione vasca: non si può fare nulla di significativo (con poche, selezionate, eccezioni che comunque esistono) al di sotto di questi limiti: M’buna 300 litri; Haps 500 litri. So di dare un dispiacere a molti, ma … la penso così!!! • L’uso delle grandi pietre: consente smontaggi, per eventuale cattura, più rapidi ed agevoli ed è, con riferimento a svariate zone del lago, molto più naturale. • I territori (anche in senso verticale): il loro uso consente un migliore sfruttamento dello spazio ed è – di nuovo – molto più naturale. • I grandi retini: nelle grandi vasche agevolano la cattura e diminuiscono lo stress (specie con Haps di taglia media, media/grande). • La divisione dei servizi tecnici: due termostati invece di uno, due filtri invece di uno rendono il sistema infinitamente più equilibrato ed insensibile ad eventuali malfunzionamenti. • I cambi d’acqua: il problema va affrontato con estrema attenzione e ponderazione, ad evitare che nel tempo la fatica (fisica) di eseguirlo porti ad un eccessivo diradamento dell’operazione: nel mio 750 litri significa movimentare, ogni volta, almeno mezza tonnellata di acqua. • Superfiltraggio e “sottopopolazione”: sul primo punto credo ci sia poco da aggiungere: di troppo filtraggio non è mai morto nessuno, sul secondo dico solo che – in parziale controtendenza al citato overcrowding – preferisco sempre, scegliendo esemplari non troppo turbolenti, ospitare una coppia/trio in meno ottenendo come risultato minore stress di manutenzione (mio) e comportamenti più naturali (dei pesci). • NON giochiamo al “piccolo chimico”: astenetevi dal “pasticciare” inutilmente, specie se una vasca funziona dovere! Le vasche di grossa cubatura hanno una loro – intrinseca – stabilità (che dovremo sforzarci di perseguire) che è difficile da raggiungere e più difficile ancora da turbare facendo le cose per bene. Ma se – con interventi sconsiderati – il sistema “sballa” rimetterlo in equilibrio può essere un incubo! Se qualcosa proprio non funziona non fate esperimenti nella vasca principale, usate una delle vostre vasche “di servizio”. La “trafila” per arrivare alla mia (spero per ora …) vasca più grande:Tranne pochi casi sporadici che si tramutano quasi sempre in esperienze di breve durata una vasca realmente grossa non nasce mai ne per caso, ne all’improvviso ma – al contrario è frutto di una lenta (ma non necessariamente) maturazione: che avrà, se non altro, la duplice funzione di permetterci di acquisire esperienza facendo pochi danni e focalizzare di bene cosa DAVVERO ci interessa “riprodurre”. Un simile processo si può – almeno per me fu così – sintetizzare in tre fasi: Gli inizi (improvvisazione, caos, errori e le “furberie” di altri):Ci siamo, volenti o nolenti, passati tutti, senza eccezione: si mangiano tanti bocconi amari, si comincia così per caso, sulla base di “sentito dire” più o meno affidabili, per scimmiottare qualcuno, sulla spinta – interessata, ovviamente – di commercianti più o meno furbacchioni: questo è stato il mio caso ed uscirne nell’epoca in cui Internet non esisteva non è stato semplice e solo una dedizione – come era quella del tempo – “cieca ed assoluta” mi ha consentito di ridurre i tempi. Piacevole ricordo di quella stagione pionieristica è una libreria personale che conta – credo – oltre cinquanta volumi, per la più parte dedicati ai ciclidi. Non vi dico – lo immaginerete da soli …– le mie sensazione quando alcuni anni dopo il “personaggio”, che mi aveva assistito nei miei esordi ciclidofili, passo ad altra attività … La moltiplicazione delle vasche (la passione e l’esperienza crescono, lo spazio … “manca”):Dalla lettura, dallo studio, dalle domande (oggi anche dalla navigazione oculata in Internet) deriva – o dovrebbe derivare! – la definitiva presa di coscienza, la nascita di svariati interessi magari subito non ben definiti (quando non, addirittura, contrastanti) che ci porta ad occuparci di tutto: con poca logica, con molte spese e con risultati sicuramente non rapportabili all’impegno profuso. E’, però, la fase “critica” per così dire: E’ quella entusiasmante stagione in cui tutto è nuovo ed intrigante che alla fine del processo deve preparare – se affrontata e vissuta correttamente – il terreno per l’ultimo passo. Il grande salto (la … “presa di coscienza”, e la grande opportunità):Ormai abbiamo studiato tanto, e fatto le nostre esperienze: buone, meno buone e pessime, ci siamo confrontati su tutto con tutti, abbiamo focalizzato quali sono i nostri (veri) interessi ed iniziamo a fare “prove” mirate a confrontarci con altri acquariofili su base paritaria, a confutare con elementi concreti le tante “favole” dell’ambiente. Siamo infine, e la cosa ci da anche una qualche soddisfazione, quelli che possono raccontare – almeno qualche volta – ”come si fa” … Insomma siamo sulla linea di partenza, siamo psicologicamente pronti per la vasca “mostre” (certo se questo punto ci siamo appassionati ai Killy il discorso decade: vi servono “enne” cubetti da 30 litri pieni di acqua acida e – vagamente – marroncina … ma supponiamo di essere rimasti fedeli ai nostri “malawitosi”): LET’S GO!!! Restano due punti da vagliare sui quali non mi pronuncio, per ovvi motivi: la disponibilità economica e quella – non meno importante – di spazio. Al riguardo dico solo che sono stato fortunato quanto basta per poterli “bypassare” entrambe senza troppa difficoltà. Concludendo questa ampia prefazione personale dico che – sulla scorta delle esperienze maturate – due vasche da 500 litri sono senza meno da preferirsi ad una da 1.000 litri, in ragione della maggiore flessibilità d’uso: certo dovremo rinunciare all’esemplare “estremo”, ma potremo dedicare una vasca agli M’buna ed una agli Haps ma anche – c’è vita “oltre” la Rift Valley – una ai ciclidi del Malawi ed una a … quel che ci pare: alla fine ci ritroveremo soddisfatti comunque e più ricchi di esperienza |