La predazione è un fattore importantissimo di selezione per i pesci. Noi umani l’abbiamo praticamente eliminata dai rischi che ci minacciano. Ci uccidono un’automobile impazzita, l’inquinamento delle città, ma gli uomini uccisi da un predatore si contano ogni anno sulle dita delle mani. Per un pesce invece morire mangiato è normale, è la prima causa di mortalità. E lo è da molto tempo, e allora non c’è da stupirsi se la predazione ha agito come importante fattore di selezione naturale stimolando l’evoluzione di molti e fantasiosi adattamenti difensivi. È una gara continua: il predatore evolve armi potenti, strutture muscolari e scheletriche che gli consentono movimenti sempre più rapidi, denti micidiali. La preda non sta a guardare, ma a sua volta evolve adattamenti originali per ridurre il rischio di essere vittima. E così via.
Così come abbiamo distinto tra differenti tecniche di attacco, anche le tecniche di difesa possono essere classificate all’interno di differenti categorie.
In moltissime specie l’evoluzione ha modificato profondamente la forma e la struttura di base del corpo, con risultati a volte strabilianti. Una forma alta, tondeggiante, compressa lateralmente è difficile da gestire per il predatore, che comunque tenti di ingoiare la preda si troverà a dover dilatare la bocca in un modo innaturale. Di solito si accompagna a raggi duri della pinna dorsale a forma di spina, che eretti rendono ancora più difficile e dolorosa l’ingestione. I pesci fatti in questo modo non possono essere nuotatori velocissimi, ma di solito grazie anche a dimensioni ridotte sono in grado di infilarsi negli anfratti più angusti, irraggiungibili. Pesci farfalla (chetodontidi), pesci angelo (pomacantidi), pesci chirurgo (acanturidi), sono soltanto alcuni esempi di una tendenza che più o meno pronunciata, è una costante in molte famiglie di pesci del reef.
La pinna dorsale dei pesci balestra (balistidi) ha spine rigide e robuste, che si bloccano con un meccanismo a scatto. Grazie anche alle rigide pinne ventrali, il corpo del pesce si trasforma in una specie di ancora che penetra in un buco, si apre e diventa impossibile da estrarre tirando all’indietro. Nell’ordine dei tetrodontiformi, che sono tra i pesci di più recente evoluzione, troviamo altre soluzioni molto fantasiose: un carapace poligonale fatto di piastre ossee dermiche riveste i pesci scatola (ostraciontidi), spesso complicato da spine. Pesci palla (tetraodontidi) e pesci istrice (diodontidi) si possono gonfiare ingurgitando a forza acqua nello stomaco e dilatandosi fino a 2-3 volte rispetto al volume originale. Valvole di non ritorno trattengono l’acqua nello stomaco a meno che il pesce decida di risputarla, il predatore che credeva di ingoiare facilmente un gustoso boccone si trova con una mela intera in bocca, o con un riccio di castagna! Qualsiasi cosa che ritardi la sua sottomissione fa il gioco della preda, che inizia a secernere sostanze odorose un tempo ritenute sostanze di allarme, che potevano avvisare gli altri pesci in un gesto altruistico. In realtà queste sostanze hanno piuttosto lo scopo di richiamare predatori di livello più elevato, che possono indurre chi ha attaccato per primo a ritirarsi prima di diventare preda a sua volta.
Fa parte delle strutture corporee difensive anche l’involucro di muco che i pesci pappagallo (scaridi) secernono fino ad avvolgersi come in un bozzolo per il riposo notturno: il bozzolo isola il pesce dall’ambiente, trattenendo l’odore all’interno e rendendone difficile la localizzazione ai predatori notturni come murene e squali, che usano l’olfatto.
All’opposto altri pesci hanno privilegiato lo sviluppo dei muscoli del nuoto, di forme affusolate e idrodinamiche, di pinne falcate (soprattutto la caudale); in altre parole si affidano a una fuga veloce. Pensiamo ai fucilieri (cesionidi), ai carangidi. Molti pesci veloci si muovono in banchi.
Anche la formazione di banchi o di aggregazioni è una strategia antipredatori, non tanto, come si pensava un tempo, perché diminuisce la probabilità che il predatore con movimenti casuali intercetti un pesce singolo: in realtà chi va a caccia sa benissimo dove si raccolgono di preferenza le prede, e frequenta gli stessi ambienti. I motivi sono altri: il cacciatore in caso di gruppi molto compatti può essere intimorito da quello che percepisce come un unico essere molto grande, inoltre alle prese con pesci che si muovono in modo coordinato cambiando spesso direzione e scambiando la posizione reciproca, può avere difficoltà a fissare la propria attenzione su un’unica preda. Provare per credere.
Alcuni pesci si specializzano nel produrre o accumulare sostanze velenose come deterrente. I siganidi o pesci coniglio hanno ghiandole del veleno associate ai raggi spinosi della pinna dorsale. Allo stesso modo hanno spine velenose pesci che abbiamo catalogato tra i predatori, ma che possono diventare prede a loro volta in base alla legge del pesce grosso che mangia il pesce piccolo. Parliamo di scorfani e pesci leone (scorpenidi), che possono avere veleno in dosi letali per l’uomo (nei pesci pietra), dei pesci prete (uranoscopidi), dei pesci gatto (plotosidi) che hanno spine velenifere a livello della pinna pettorale. La tossina prodotta dai pesci di solito è una neurotossina di natura proteica che è denaturata e perde il proprio effetto con il calore. Quindi in caso di puntura accidentale un’ottima operazione di primo soccorso consiste nell’applicare calore, per esempio immergendo nell’acqua calda la parte colpita o ponendola a contatto con una superficie scaldata.
Gli ostraciontidi (pesci scatola) secernono dalla cute sostanze velenose. Nei pesci palla (tetraodontidi) queste si accumulano in organi interni come gonadi e fegato, probabilmente prodotte da batteri simbionti associati al sistema digerente. Il veleno dei pesci palla è la micidiale tetrodotossina, di cui abbiamo già parlato a proposito del polpo a anelli blu. In questo caso uccide il malcapitato che la ingerisca, con lo stesso meccanismo. Noi umani abbiamo il sistema per evitare l’avvelenamento: pulire il pesce appena pescato per evitare che la decomposizione degli organi molli contamini i muscoli, cucinarlo a lungo (l’alta temperatura disattiva il veleno).
Il colore rappresenta un’ottima strategia antipredatoria. E qui una premessa è necessaria: i pesci del reef, che vivono di giorno in acque ben illuminate, ci vedono molto bene, hanno nella vista il loro senso migliore, distinguono i colori con un massimo di acuità visiva nelle lunghezze d’onda del blu e del giallo, toni che a debole profondità si vedono bene e da lontano. La colorazione del corpo può essere utilizzata e aggiustata nel senso del mimetismo, adattandola a quello dello sfondo per rendersi invisibili. Tutti i pesci piatti dell’ordine dei soleiformi (sogliole, rombi) lo fanno, ma anche gli scorpeniformi, la maggior parte dei singnatiformi, gli antennaridi. Anche il colore rosso di molti pesci notturni (pesci soldato o olocentridi, occhioni o priacantidi) ha lo stesso significato: il rosso è il colore che in acqua viene assorbito a breve distanza, specie in condizioni di luce molto attenuata, al buio è quanto ci sia di più simile al non avere un colore.
Colorazioni che ci appaiono appariscenti se osserviamo l’animale fuori dal suo ambiente possono essere criptiche nei confronti dello sfondo abituale: il kilt elegante o le macchie dei pesci falco (cirritidi), le strisce molto contrastate dei pesci angelo (pomacentridi) hanno lo scopo di cancellare la sagoma del pesce che si muove in un ambiente di forti contrasti, rendendo difficile al predatore individuarlo, distinguerlo come pesce, percepire una sagoma da attaccare. La maggior parte dei pesci angelo, dei pesci farfalla, che ci appaiono colorati in modo molto vivace e appariscente, ha una banda scura, una vera e propria mascherina che cela in qualche modo la posizione dell’occhio. A questa colorazione sovente si accompagna, nella parte posteriore dell’animale, una macchia scura molto più evidente che può somigliare a un falso occhio. Devo dire per completezza che non tutti gli scienziati sono d’accordo nella funzione da attribuire a questa macchia oculare. Ma quando si osserva una forma giovanile di pesce farfalla nuotare all’indietro, l’inganno è completo. Se il predatore percepisce la parte posteriore della preda come una testa, dirigerà verso questa l’attacco, dando modo al piccolo di sottrarsi con un leggero movimento in avanti.
Molti pesci velenosi o comunque pericolosi esibiscono accostamenti di colore forti, strie o macchie nere su sfondo giallo, che possono mettere il predatore sull’avviso: la colorazione di avvertimento o aposemantica, di cui abbiamo parlato a proposito di nudibranchi.
Si parla di mimetismo batesiano quando un animale non velenoso, innocuo e mangiabile, imita la livrea di un animale velenoso, ricavando protezione. Il pesce lima Paraluteres prionurus riproduce alla perfezione la complessa livrea del pesce palla velenoso Canthigaster valentini. La forma giovanile della bavosa carcerata Pholidichthys leucotaenia somiglia molto al pesce gatto Plotosus lineatus, dotato di spine velenose. Nera col bordo arancione, la forma giovanile del pesce pipistrello Platax pinnatus ricorda molto da vicino alcune specie di verme piatto immangiabili. Proseguendo su questa linea dobbiamo per forza ricordare che la pretesa somiglianza di animali come la forma giovanile del labbradolci arlecchino (Plectorhinchus chaetodonoides) o del gambero arlecchino (Hymenocera elegans) con dei generici nudibranchi probabilmente non ha fondamenti solidi, in quanto non esistono nudibranchi simili a questi animali. È molto più probabile che essi stessi siano immangiabili, per accumulo di sostanze tossiche, e lo segnalino con una colorazione evidente (aposemantica) accompagnata da un comportamento che non fa nulla per nascondersi.
Il colore può avere molteplici significati in mare: che dire dei molti pesci che cambiano sesso e colore durante la vita? Le livree più vivaci sono associate con la fase maschile, che in questo modo si assume il maggior rischio di cadere vittima dei predatori, ma si rende riconoscibile e appetibile anche alla femmina: secondo molti autori la scelta cadrebbe proprio sul maschio più colorato, il fatto che sia sopravvissuto testimonia la sua abilità nell’evitare i predatori e quindi un patrimonio genetico desiderabile per i propri discendenti.
Le forme giovanili di pesci territoriali hanno spesso un colore completamente diverso dall’adulto per non scatenare la sua aggressività e potersi nutrire nello stesso ambiente.
La maggior parte dell’attività sessuale tra pesci ha luogo negli attimi che precedono l’alba o al tramonto. La selezione accurata di tempo e luogo per l’accoppiamento minimizza il rischio di predazione su adulti e uova. Questo vale soprattutto per i pesci che rilasciano uova pelagiche: il rilascio delle uova avviene nel momento in cui i planctivori, molto amanti della luce intensa, non sono ancora entrati in attività o l’hanno terminata.
L’attività dei pesci di reef ha dei picchi in corrispondenza dei momenti di luce più intensa, e decresce man mano che la luce cala. Per la maggior parte dei pesci diurni, animali visivi, il momento in cui la luce si fa debole è un momento critico, bisogna raggiungere in fretta i rifugi per la notte, nuotando verso un reef che si fa sempre più scuro e uniforme, in un ambiente dove diventa difficile percepire il pericolo. È il momento favorevole invece per pesci come le cernie, dal dorso scuro, che possono aspettare al riparo, e dalla loro posizione vedono benissimo i pesci che tornano verso il reef, sagome scure sullo sfondo del cielo. Quando il giorno volge al termine e il fuciliere cerca il suo rifugio la cernia ha la possibilità di mettere a segno catture facili per campare di rendita tutta la notte.
Testo e foto di Massimo Boyer