1)La scelta
Il percorso da compiere per arrivare a trovarsi di fronte alla propria vasca con in mano il sacchetto di nylon chiuso da un elastico, gonfio di aria, pieno di acqua salata (chissà a che % ma questo lo vedremo più avanti), e col tanto desiderato pinnuto da mettere finalmente a mollo, è molto importante ed è quanto può fare la differenza tra avere un animale in salute che ci farà compagnia per molti anni, oppure portarci una serie di problemi finanche la morte del malcapitato. Sia ben chiaro che anche applicando alla lettera e mettendo in atto con precisione certosina ed attenzione maniacale tutti i passi necessari non è garantito al 100% il successo, ma senz’altro si aumentano e di molto le probabilità di avere un lungo futuro insieme al nostro nuovo inquilino. Una premessa necessaria è che ogni pesce è un individuo a sé stante, con un proprio, mi si perdoni il termine, “carattere”, e per quanto valide le regole generali di alimentazione, compatibilità, aggressività, non vanno mai intese come assolute. Si troverà sempre l’eccezione del pesce notoriamente aggressivo che è tranquillo e non infastidisce nessuno, come si troverà sempre il pesce noto divoratore di gamberi che convive con 5 Lysmata wurdemanni senza degnarli di uno sguardo, o ancora il pesce appartenente alla famiglia nota per sbonconcellare polipi di coralli che invece sguazza in mezzo alle acropore e non se le fila per niente. Questi casi che ci vengono riportati da altri appassionati o che leggiamo nei forum sono certamente reali da non mettere in dubbio, ma rappresentano l’eccezione e non la regola, ma noi nelle scelte non dovremmo basarci sulle eccezioni ma sulle regole.
E’ indubbio che la molla iniziale che ci spinge verso la scelta di un pesce piuttosto che un altro, se non indirizzata dalla necessità di un particolare “pesce a funzione” che vedremo più avanti, è il gusto personale, il classico e peraltro legittimo; “mi piace”, “non mi piace”, ma che ovviamente da solo non basta.2)Informarsi
Il primo passo da percorre è informarsi sulle esigenze del pesce che ci piace, su quanto diventa grande da adulto e quindi se è compatibile con lo spazio che gli verrà messo a disposizione nella vasca. ( per questo si rimanda alla lettura del WDY FISHCALC link ) Si vedono spesso nei negozi piccoli Paracanthurus hepatus di 3 centimetri o anche degli Pterois volitans di 4 o 5 cm, ma che dopo non molti mesi, i primi avranno bisogno di tantissimo spazio per nuotare e i secondi diventeranno anche 40 cm predando qualsiasi cosa si muova in vasca. Solo pochi e scrupolosi negozianti sconsigliano l’acquisto di un pesce all’appassionato che lo guarda con gli occhi luccicanti e con la mano già sul portafoglio, e spesso non informano nemmeno correttamente chi evidentemente mostra di non conoscere ciò che sta per acquistare.Una volta scelto un pesce potenzialmente idoneo per dimensioni alla vasca dove sarà ospitato, è fondamentale sapere se sarà compatibile anche con gli altri abitanti presenti e futuri. Mi riferisco sia ai coralli, che ai molluschi che ai crostacei e per finire con gli altri pesci. Trattando di vasche di barriera, non dovremmo tenere in considerazione come candidati tutti i pesci che notoriamente si cibano di polipi di corallo o di coralli molli, pena veder deperire e morire tutti gli invertebrati sessili ospitati. Per esempio quasi tutti gli appartenenti alla famiglia dei pesci balestra non potranno essere ospitati in una vasca reef, se non l’Odonus niger , ma anche questo non senza correre qualche rischio. Altri pesci , come per esempio i bellissimi Calloplesiops altivelis sono assolutamente innocui per tutti i coralli, mentre sono formidabili predatori di gamberetti il che li rende ovviamente incompatibili in caso ne volessimo inserire. Alcuni pesci farfalla possono essere attratti dall’assaggiare i molluschi bivalvi del genere Tridacna, che spesso fanno bella mostra di sé coi loro mantelli multicolori nelle vasche reef. Un’altra informazione necessaria nella scelta del nuovo abitante è verificare la compatibilità con gli altri pesci già presenti.
Molti pesci che in natura vivono in gruppi anche numerosi, come molti Acanturidi o alcuni Pomacentridi, in acquario a causa del minor spazio a disposizione si rivelano aggressivi verso i conspecifici o anche verso altri che presentano una livrea simile. Questa aggressività sommata alla esiguità dello spazio disponibile per fuggire o per nascondersi porta spesso allo stress e al conseguente deperimento fino anche alla morte del pesce che si trovasse ad avere la peggio. Casi tipici di queste forme di incompatibilità tra specie diverse di apparteneti alla stessa famiglia sono tra lo Zebrasoma flavescens e lo Zebrasoma Veliferum , tra gli Acanthurus Leucostenon e Acanthurus japonicus . Questa ostilità si smorza dopo le prime scaramucce iniziali che durano qualche giorno e tende a diminuire col tempo fino a scomparire, solo a patto che la vasca abbia le caratteristiche idonee per dimensioni nascondigli e anfratti.
Nell’ipotesi che si vada ad inserire più di un pesce della stessa famiglia , è consigliabile farlo inserendone di dimensioni simili e nello stesso momento, in modo che non ci sia un “padrone della vasca” ed un “nuovo arrivato”. 3)Osservazione
A questo punto ci si è ben informati su cosa si può e su cosa non si dovrebbe inserire in vasca e quindi ci si reca dal negoziante di fiducia alla ricerca del pesce desiderato. A volte, anzi spesso, capita di non trovare esattamente ciò che si cerca e se non si è ben decisi ci si lascia condurre a spostare l’attenzione su altri pesci disponibili nelle batterie d’esposizione del negozio, dei quali magari si conosce poco o nulla. Nonostante le rassicurazioni del negoziante che quello che propone in alternativa a quanto si cercava sia il pesce perfetto per la nostra vasca, sarebbe buona norma, se non se ne conoscono già direttamente caratteristiche ed esigenze, desistere dall’acquisto. Potrebbe essere una prassi corretta, se si reputa interessante l’alternativa proposta, tornare a casa ed informarsi attentamente su tutti gli aspetti di cui sopra relativi a questo nuovo pesce, ed in caso di compatibilità si può ritornare a comprarlo in un secondo momento. Per essere sicuri che nell’attesa non venga venduto ad altro cliente, si può richiedere al negoziante di “prenotarlo” magari lasciando un piccolo acconto ed egli normalmente sarà ben felice di accontentarvi. Trovato il pesce bisogna osservarlo attentamente dentro la vaschetta d’esposizione per cercare di capire più cose possibili sul suo stato di salute e di appetenza, prima di procedere con l’acquisto. Bisogna osservare prima di tutto se il pesce è vispo, se nuota tranquillamente e se non tende a strofinarsi contro il fondo o contro i vetri. Guardare lo stato delle pinne se sono integre e non sfrangiate, se non presentano puntini bianchi come non devono essere presenti sulla pelle. La livrea deve essere bella luminosa e con colori accesi tipici della sua specie, gli occhi brillanti e non opachi. Il pesce non si deve presentare magro né nella zona addominale né tantomeno sopra gli occhi verso la fronte. Un piccolo dimagrimento addominale potrebbe anche essere passeggero se il pesce ha sofferto un po’ il viaggio, mentre invece un profilo scavato sopra gli occhi nella zona frontale è indice di un dimagrimento più cronico e potrebbe anche essere un cattivo presagio per il futuro. Pesca col cianuro nei luoghi d’origne
Esiste purtroppo, anche se pare in diminuzione, la deprecabile pratica della pesca nei luoghi di origine con utilizzo di tecniche ignobili, prima di tutte quella che fa uso di cianuro. La pesca con l’utilizzo del cianuro è una tecnica diffusa tra i pescatori delle barriere coralline del sud est asiatico, in particolare delle Filippine dove attualmente non vi è ancora alcun divieto o restrizione a riguardo. In pratica all’arrivo del “pescatore” in apnea, i pesci più piccoli si nascondono tra le ramificazioni dei coralli ed egli non fa altro che spruzzare, nelle immediate vicinanze, con una pompetta azionata manualmente, un liquido contenente cianuro che uccide pesci più vicini , i più piccoli e quelli nello stadio più giovanile. Gli altri, storditi, si lasciano trasportare inermi dalla corrente, lasciando al “pescatore” il solo compito di raccoglierli e metterli in una rete. Dopo qualche tempo si riprenderanno, ma saranno inevitabilmente intossicati, con le funzioni degli organi interni, specialmente il fegato, irrimediabilmente compromesse. A questa ecatombe di pesci bisogna aggiungere che anche i coralli nei pressi dei quali viene diffuso il cianuro sono destinati prima al blanching, ossia lo sbiancamento, e in seguito alla morte. Questo avvelenamento da cianuro porterà i pesci catturati con questo barbaro sistema a dimagrire sempre più, e pur avendo un aspetto vispo e sano ed anche un appetito costante saranno destinati a morte certa. Normalmente questo periodo dura meno di trenta quaranta giorni, ed è in questo lasso di tempo che il pesce viene pescato, impachettato, spedito, sdoganato dal grossista e distribuito ai negozi. Se malauguratamente per il negoziante, non trovasse nessun compratore entro la “scadenza” data dal cianuro, il poveretto morirebbe nelle batterie di esposizione invece che a casa dell’ignaro acquirente. Personalmente credo che, almeno fino all’importatore, se non addirittura fino all’ultimo anello del commercio, siano note le tecniche usate per la pesca o quantomeno lo stato di salute reale dei pesci, in quanto queste incidono notevolmente sul prezzo di vendita. Ritengo che pesci dai prezzi troppo bassi non siano mai da preferire perché spesso tradiscono una metodologia di approvvigionamento sospetta. Credo che sia molto più saggio, lungimirante e ecologicamente corretto, acquistare solo pesci quarantenati, da importatori seri e scrupolosi, anche se questo spesso fa lievitare la spesa di qualche decina di punti percentuale. Spesa che si rivela comunque un risparmio, dato che si comprerà quel pesce una volta sola non andando incontro a decessi che porteranno poi a ripetere l’acquisto 2 o 3 volte, raddoppiando o triplicando la spesa iniziale.
Purtroppo un pesce pescato col cianuro non presenta evidenti sintomatologie, se non la magrezza, e quindi può capitare di acquistare un pesce apparentemente in perfetta salute e con un appetito da leone, che muore dopo una o due settimane dall’inserimento senza apparente motivo. Solo la fiducia nel negoziante o una quarantena reale mette al sicuro da una simile e purtroppo frequente evenienza. 4) Mangia?
Riprendiamo il filo del discorso e tiriamo le somme di quanto s’è detto fin’ora relativamente alla scelta del pesce: ci si è ampiamente informati, lo si è trovato e lo si è lungamente osservato nella vaschetta d’esposizione. A questo punto un altro passo importante da non sottovalutare e da non dimenticare mai prima di procedere è accertarsi che il pesce mangi nella vasca di batteria, ricordandosi che se non mangia nel negozio, difficilmente mangerà a casa propria.
In molti casi non c’è nessun problema ed il pesce si alimenta voracemente, ma ci sono casi non infrequenti, in cui il pesce, per una serie di motivazioni, rifiuti il cibo, e questo deve essere un campanello d’allarme. Un pesce che non mangia è un pesce che non sta bene, perché è spaventato, o stressato, o ammalato; in questi casi meglio desistere e magari tornare e riprovare l’indomani. Non crediate che il pesce non mangi perché ci dicono che “ha appena mangiato”, a meno che non si tratti di predatori con una digestione molto lenta che si cibano anche ogni 3 o 4 giorni, come le murene o gli scorpenidi. Un pesce in salute è normalmente, costantemente attratto dal cibo. Oltre al pesce è bene acquistare anche una confezione del cibo che gli avete visto mangiare, non ci saranno dubbi sul fatto che ciò che gli proporrete in futuro sarà di suo gradimento. 5) L’inserimento
Il pesce viene pescato dal negoziante e messo in un sacchetto di nylon trasparente, possibilmente con le pareti “oscurate” in modo che non vedendo all’esterno non si spaventi troppo e quindi si riduca lo stress già notevole per via del trasloco e del trasporto. Insieme al pesce ci saranno anche alcuni litri di acqua della vasca dalla quale è stato prelevato. Se è inverno o se il tragitto che dobbiamo percorrere fino alla vasca di destinazione fosse lungo, è consigliabile mettere il sacchetto all’interno di un box di polistirolo, in modo da mantenere il più costante possibile la temperatura dell’acqua al suo interno. Fin qui tutto normale, se non fosse che molti negozianti tengono i pesci in acque con salinità più basse di quelle tipiche dei luoghi di provenienza e quindi anche della nostra vasca reef, e a volte le acque delle batterie d’esposizione sono anche additivate con medicinali, antibiotici e preparati a base di rame. La salinità bassa è un accorgimento diffuso presso i commercianti di pesci, in quanto rallenta il metabolismo di vari parassiti cutanei che possano attaccarli , rende più rara la moltiplicazione degli stessi e meno grave una eventuale parassitosi. Stessa cosa dicesi per eventuali medicinali, utilizzati per evitare morti premature nelle vasche d’esposizione. Se questi accorgimenti, peraltro discutibili, servono a preservare in buona salute il pesce fino all’arrivo nella vasca dell’appassionato, purtroppo rendono più lungo e macchinoso il trasferimento del pinnuto dal sacchetto alla vasca.
Prima di procedere al trasferimento è molto importante portare i due valori chimico fisici dell’acqua contenuta nel sacchetto allo stesso livello di quelli della vasca di destinazione: la salinità e la temperatura.
Sarebbe buona norma, prima di procedere, effettuare una misurazione della densità dell’acqua contenuta nel sacchetto con un rifrattometro ottico, in modo da conoscere la differenza di salinità che dovremo colmare.
Normalmente si procede aprendo il sacchetto, arrotolandone un po’ il bordo ed immergendolo direttamente nella vasca, fissandondolo ad un vetro con una molletta per non lasciarlo in balia della corrente delle pompe di movimento. Così facendo si ottiene lo scopo di portare lentamente la temperatura all’interno del sacchetto al medesimo valore di quella in vasca. Per portare anche la densità ad un valore identico , bisogna procedere inserendo molto lentamente acqua dalla vasca nel sacchetto e di converso togliere e buttare via l’acqua eccedente da quest’ultimo. Un buon metodo per fare questo è procedere con un sistema goccia a goccia. Tale operazione deve durare almeno mezz’ora, ma è consigliabile prolungare questo tempo se si sta inserendo un pesce particolarmente delicato, o se dalle misurazioni effettuate i valori delle salinità si sono rivelati particolarmente distanti. Al termine di questa procedura il nostro nuovo amico pinnuto è pronto per essere liberato nella sua nuova dimora e farlo a luci spente lo aiuterà a patire uno stress inferiore. Non avere fretta e procedere rispettando i tempi e i metodi è importante per cercare di stressare il meno possibile il nuovo arrivato in questa delicata fase di trasferimento. 6)Lo stress
Il comune modo di dire “sano come un pesce” si può prestare ad essere mal interprato dando ad intendere che un pesce goda di una salute ferrea e che non si ammali mai. Purtroppo le cose non stanno affatto così e chiunque abbia mai avuto a che fare con un acquario marino (ma anche dolce) sarà prima o poi incappato nella famigerata malattia dei puntini bianchi che colpisce i pesci ossei. Tra i pesci più soggetti a questa malattia vi sono senz’altro gli appartenenti alla famiglia degli Acanturidi e dei Chetodontidi. Sembra invece che risparmi i cartilaginei , probabilmente per la conformazione della pelle, priva di squame e che al loro posto presenta delle scaglie placoidi , ossia delle formazioni a dentello ricurvo verso la coda ed impregnate di sali di calcio. Anche altri pesci ossei sembrano inattaccabili da questo protozoo , come per es. i Blennidi ,i Callionimidi e i Murenidi , forse per lo spesso strato di muco che li ricopre. Frequentemente si leggono nei forum su internet richieste di aiuto di appassionati disperati ai quali si è ammalato un pesce dopo averlo appena inserito in vasca, oppure dopo anni di salute perfetta gli sono venuti i puntini bianchi all’inserimento di un nuovo pinnuto, o ancora a causa di uno sbalzo chimico o termico della vasca. Quelle elencate sono solo alcune delle cause possibili, apparentemente molto diverse tra loro , ma riconducibili tutte ad un unico effetto diretto primario sul pesce: lo stress. Lo stress subito dal pesce innesca una serie di reazioni fisiologiche di tipo diverso: inizialmente vengono rilasciati nel sangue adrenalina ed altri ormoni; questo porta l’animale ad avere scompensi nel sistema di osmoregolazione, nell’assorbimento dell’ossigeno e quindi nella respirazione e non ultimi , cambiamenti chimici nel sangue. Lo stress può essere generato da molti fattori, e piuttosto che cercare la medicina miracolosa ed istantanea per fare guarire l’animale colpito, è fondamentale cercare di prevenire, conoscendole, le cause che possono generare lo stress. I fattori stressogeni possono essere sintetizzati in questo breve elenco: caccia col retino, manipolazione, cattura, estrazione dall’acqua, costrizione in piccoli spazi, sforzo fisico prolungato, variazioni di temperatura e salinità, ipossia, sovraffollamento, aggressioni di altri pesci, acqua con alti valori di Nh3, No2, No3, Cl, Cu. Tutto ciò, se prolungato, genera ad un abbassamento delle difese immunitarie e rende il pesce molto più vulnerabile agli attacchi parassitari come quello più comune del Cryptocarion irritans, un protozoo ciliato responsabile dei già citati puntini bianchi. Questa “bestiaccia” , una maledizione per gli acquariofili, è presente nelle acque tropicali e quasi sempre anche negli acquari di barriera . 7)I puntini bianchi: Cryptocaryon irritans.
Ci sono diverse teorie sulla sua comparsa nella vasche: c’è chi sostiene che la sua sia una presenza costante ed inevitabile, che in ogni vasca sia perlomeno latente e pronto a manifestarsi alla prima occasione. Altri sostengono, seguendo una teoria non priva di fondamento, che si possa avere una vasca completamente priva di questo protozoo, basta non tenere nessun pesce in acquario per almeno 6 settimane ed il Cryptocaryon in mancanza di ospiti sui quali proliferare, si estingue. Resta il fatto che quest’ultima descritta è un’evenienza piuttosto remota da applicare, considerando il fatto che il parassita può essere inconsapevolmente introdotto in vasca all’acquisto di un nuovo pesce. Quindi è corretto considerare la propria vasca sempre soggetta a questo rischio, dato che il protozoo in questione è una delle cause di maggiore mortalità dei pesci in acquario. Ci si accorge che un pesce è attaccato da questi parassiti da alcuni sintomi molto evidenti, che compaiono in successione di gravità ai vari livelli dell’infestazione. Primo tra questi è lo strofinamento contro le rocce o contro i vetri che pesce fa per cercare di lenire il prurito, poi la successiva comparsa dei puntini bianchi della dimensione della capocchia di uno spillo sul corpo e sulle pinne, la respirazione accelerata, la comparsa di macchie cutanee, il rifiuto del cibo, il torpore e l’assenza del nuoto. Conoscere il suo ciclo vitale e le sue modalità di riproduzione può essere d’aiuto nell’ipotesi non remota che prima o poi ci si trovi a doverlo fronteggiare. Il breve ciclo di vita del Cryptocaryon irritans comincia con l’infezione del pesce da parte del protozoo, che gli si attacca alla pelle tramite due uncini detti ciglia. Il parassita per sopravvivere e riprodursi ha la necessità di trascorre un periodo di tempo aggrappato alle pelle, alle branchie o agli occhi di un pesce. Questo periodo dura tra 3 ai 7 giorni considerando temperature e salinità medie delle vasche tropicali (26 °C e 1.026 di densità ). In questo stadio si nutre dei tessuti dell’ospite e cresce fino 370 micron. Raggiunta la maturità, il parassita si stacca dal pesce fluttuando nell’acqua fino a lasciarsi cadere sul fondo. In meno di 24 ore dal momento in cui si è liberato, si attacca al substrato e si trasforma in ciste. La sua dimensione in questo stadio varia da 0,2 a 0,4 millimetri. Il pesce in questa fase si presenta nuovamente pulito, privo di tutti i puntini come prima di aver contratto la parassitosi ed è errore dei principianti ritenere risolta e superata l’infestazione, senza avere fatto nulla. Invece, dentro le cisti cadute sul fondo, i parassiti si riproducono ad un ritmo vorticoso e all’interno di ciascuna di esse possono svilupparsi anche 200 nuovi tomiti (questo è il nome che prendono i parassiti in questo stadio). Lo stadio di tomita ha una durata variabile fra i 3 e i 28 giorni e, una volta maturi, i parassiti rompono la parete della ciste e iniziano a nuotare nell’acqua alla ricerca di un ospite al quale attaccarsi, cosa che se non avviene entro poche ore, muoiono. Se invece riescono ad aggrapparsi ad un pesce, si insinuano nei tessuti del malcapitato e così riparte un nuovo ciclo di vita. Se il pesce è in forma e ben alimentato, le ondate successive di parassitosi, si dovrebbero presentare in forme via via più lievi, fino a scomparire del tutto. Per aiutare il pesce in questo periodo è consigliabile alimentarlo abbondantemente con ottimi mangimi, aggiungendo qualche goccia di vitamine liquide e succo di aglio al suo cibo. La somministrazione di succo d’aglio ai pesci colpiti da Cryptocarion ha dato risultati interessanti senza evidenziare danni collaterali. L’aglio ha proprietà repellenti e antibiotiche e i suoi effetti, utilizzato a questo scopo, sono molteplici: riduce le infezioni nelle lacerazioni della pelle, contrasta l’azione delle sostanze secrete dal parassita per penetrare la pelle del pesce e danneggia direttamente il parassita. Se invece le ondate successive si dovessero presentare sempre più vaste si renderà necessaria una cura mirata al di fuori della vasca. Diverse sono le metodologie che si possono applicare togliendo il pesce dalla vasca, come i bagni in acqua osmotica di 3/5 minuti, o i trattamenti in vasche curative con medicinali appositi, ma sono tutte pratiche da applicare come ultima spiaggia, in quanto molto stressanti per il pesce già debilitato dai parassiti. Basse percentuali di salinità intorno al 14‰ (1.010 di densità) rallentano il ciclo vitale del parassita fino ad inibirne la riproduzione, ma si parla di valori inapplicabili in acquari con invertebrati e quindi è una metodologia che va applicata in apposite vasche curative. Si procede facendo raggiungere questi bassi livelli di densità al pesce in 3 o 4 giorni e facendolo permanere in questa situazione iposalina per 4/6 settimane, al termine delle quali dovrebbe essere completamente libero dai parassiti e può essere reintrodotto nella vasca principale. Non mi soffermerei invece su altre tecniche da applicare direttamente a tutto l’acquario, come il trattamento con ozono o l’utilizzo di lampade UV, in quanto i probabili effetti collaterali della cura sarebbero più dannosi della parassitosi stessa, come pure l’utilizzo di medicinali a base rame direttamente in vasca che è incompatibile con gli invertebrati. Come anche per gli umani, ritengo che la cosa più importante sia la prevenzione e l’ambiente idoneo: un pesce ben nutrito in una vasca ricca di coralli (i quali possono predare i protozoi) difficilmente si ammalerà, e nel caso succedesse, quasi certamente guarirà da solo. |