Premessa L’articolo che segue è il risultato di circa un anno di raccolta di informazioni da fonti diverse, principalmente tramite articoli pubblicati in rete da studiosi di biologia marina che sono anche acquariofili esperti.
La trattazione non ha alcuna pretesa di rigore scientifico, ma è un approccio hobbistico che raffronta le condizioni di vita delle creature della barriera nel loro ambiente originario e nell’ambiente artificiale che gli acquariofili cercano di ricreare per farli vivere in cattività.
L’intento è cercare di migliorare per quanto possibile la tecnica di allevamento fornendo spunti di riflessione ed alcuni dati qualitativi e quantitativi.
Le informazioni raccolte sono state rielaborate in modo che ogni paragrafo possa essere letto sia nell’ambito dell’articolo, sia in modo indipendente mantenendo comunque un senso compiuto.
Questo per facilitare il lettore nella consultazione anche di una sola parte e nella ricerca di informazioni mirate, eliminando la necessità di rileggere ogni volta l’intero scritto.
La scelta operata porta però all’inevitabile ripetizione di alcuni concetti, visto che la suddivisione adottata è arbitraria e che gli argomenti si sovrappongono in alcuni punti; spero però che l’inconveniente (e non solo quello) mi venga perdonato. La barriera corallina:Sin dalle prime esplorazioni effettuate con criterio scientifico nel XIX secolo, le barriere coralline sono state associate alle oasi nel deserto, poiché costituiscono vere e proprie esplosioni di vita che sbocciano nel vuoto dell’oceano.
Per oltre un secolo il cruccio degli studiosi è stato cercare di capire come fosse possibile che la fantastica varietà e densità di forme di vita che vi prospera potesse trovare sufficiente sostentamento nel bel mezzo di ciò che appariva un deserto privo di risorse, ovvero l’oceano aperto.
Anche se non esiste ancora oggi un corpus di conoscenze omogenee riguardo alla qualità ed al tipo di cibo di cui gli animali del reef in generale ed i coralli in particolare si nutrono, abbiamo compreso che i valori di nutrienti praticamente nulli risultanti dalle misurazioni effettuate sull’acqua attorno e sopra alla barriera sono tali proprio grazie all’estrema efficienza con cui le diverse tipologie di nutrienti sono assunte ed utilizzate dalle creature del reef.
Gli organismi della barriera si nutrono assorbendo dall’acqua i minerali e le molecole organiche in soluzione, captando il materiale particolato sospeso, oppure predando attivamente altre forme di vita.
La barriera è nel suo insieme un ecosistema estremamente complesso e contraddistinto da una rete alimentare intricata, in cui i nutrienti sono prodotti, utilizzati e riciclati più volte estraendoli dai vari stadi attraversati dalla materia organica, fino alla sua quasi completa mineralizzazione.
E’ noto da tempo che pressoché la totalità del nutrimento del reef deriva dal plancton (vegetale ed animale), che ha origine proprio nelle acque circostanti la barriera e che solo in piccola parte vi giunge dall’oceano aperto; rimaneva ancor da spiegare il meccanismo alla base del fiorire della vita planctonica, che sboccia apparentemente dalla nuda roccia ed alimenta invertebrati, coralli e migliaia di specie di pesci dai piccoli detritivori fino ai grandi predatori come gli squali.
Fig. 1: Il ciclo della materia organica attraverso la catena alimentare, dal detrito ai grandi predatori.
Qui manca “l’altra metà del cielo”, ovvero il riciclaggio della materia organica nel ciclo inverso.
Oggi sappiamo che l’adattamento evolutivo che più di ogni altro favorisce una simile biodiversità e ricchezza di vita, è la simbiosi fra animali e microrganismi fotosintetici (alghe e cianobatteri) in modo che ognuna delle due parti utilizzi in modo efficiente le limitazioni insite nell’altra.
Stringendo questo patto alghe ed animali crescono uniti laddove, divisi, non troverebbero nemmeno le risorse necessarie alla mera sopravvivenza.
Una simile simbiosi è rintracciabile in spugne, coralli, molluschi, nudibranchi, anemoni, idroidi e foraminiferi. (Cognetti, Sarà, Magazzù, 2008).
Questi organismi non sono però autotrofi e, sebbene possano contare su un formidabile vantaggio competitivo, devono nutrirsi anche per altre vie o, nel caso dell’acquario, essere adeguatamente e regolarmente nutriti.
Nemmeno gli organismi simbionti della barriera possono vivere avvalendosi della sola luce, ma devono assorbire dall’esterno i mattoni costitutivi della materia vivente.
Le proteine necessarie alla vita ed alla crescita sono molecole che contengono composti di azoto e la biochimica animale non è in grado di sintetizzare tali molecole partendo da azoto e fosforo; questa sintesi è effettuata solo dai batteri e quindi gli animali devono procurarsele in altro modo. (Borneman, 2002).
I coralli possono attingere parte dei necessari aminoacidi attingendoli dalle zooxantelle, ma è un serpente che si morde la coda, poiché le zooxantelle fabbricano i loro aminoacidi utilizzando i metaboliti dell’ospite e ad ogni scambio qualcosa inevitabilmente si perde.
Gli animali marini in media necessitano di una dieta contenente fra il 5% ed il 60% di proteine, con gli invertebrati che si posizionano nella fascia bassa a seconda dell’apporto dei simbionti e dell’assorbimento diretto e i pesci che richiedono almeno il 30% di proteine sul peso totale secco del cibo ingerito. (Shimek, 2003).
Acclarato che l’alimentazione mediante la predazione e l’assorbimento di materiale organico dall’esterno sono processi necessari per tutti gli animali grandi e piccoli della scogliera, passiamo ora in rassegna le fonti da cui essi traggono nutrimento, suddividendole per comodità in gruppi omogenei per natura, oppure dimensioni, oppure caratteristiche fisiche riproducibili in acquario.
E’ importante sottolineare che tale suddivisione è assolutamente arbitraria e funzionale al solo scopo di analizzare e migliorare la tecnica della somministrazione di adeguata tipologia e quantità di cibo al moderno acquario di barriera. Dal reef all’acquario:Presupposto fondamentale per la fioritura della vita sia sul reef che in acquario è la luce; per quanto riguarda la presente trattazione, riterremo la capacità di fornire luce di adeguata potenza e composizione come un fatto acquisito e non ci soffermeremo a discuterne.
Come accennato nel primo paragrafo, la luce consente a moltissimi abitanti della scogliera di prosperare in virtù della simbiosi con microrganismi autotrofi, ovvero le alghe unicellulari foto sintetiche (per semplicità da qui in poi le chiameremo solo zooxantelle), che forniscono loro energia principalmente sotto forma di carboidrati.
Gli organismi che ospitano zooxantelle controllano l’afflusso dei nutrienti in loro favore per mantenerne costante il numero ed estraggono la quasi totalità dei carboidrati prodotti, lasciando loro solo lo stretto necessario per sopravvivere; anche se la relazione appare quasi di parassitismo in favore degli ospiti, la scarsità di nutrienti (principalmente azoto e fosforo) in soluzione fa sì che tale rapporto risulti comunque vantaggioso anche per le zooxantelle, che riescono a vivere ove non potrebbero in altro modo (Shimek, 2003).
I coralli in particolare ospitano nutrite colonie di zooxantelle color oro, disposte in un singolo strato cellulare (per meglio captare la luce) all’interno dei propri tessuti e spesso dei polipi medesimi.
Le zooxantelle beneficiano dei metaboliti di scarto dell’ospite, ovvero i succitati azoto e fosforo necessari alla produzione di nuova materia vivente e l’anidride carbonica necessaria per il processo foto sintetico e la produzione di energia.
L’azoto ed il fosforo arrivano al corallo in larghissima parte dall’esterno attraverso la predazione attiva da parte dei polipi e in percentuale minore tramite l’assorbimento diretto di molecole organiche disciolte attraverso i tessuti.
In acquario questo rapporto è capovolto, poiché le prede vive così frequenti in natura qui mancano quasi del tutto; fortunatamente i coralli zooxantellati sono organismi molto flessibili per quanto riguarda il mix di fonti nutritive.
Cosa assorbono quindi i coralli dall’acqua del reef e dell’acquario e quali sono le differenze?
Quali sono le particelle che essi sono in grado di captare ed assimilare e quali le prede vive che costituiscono il loro piatto forte? Fig. 2: La composizione dei nutrienti sospesi in acqua rispecchia la catena trofica marina.
Per passare da un livello trofico al successivo, il rapporto di massa si riduce di dieci volte.
Ad esempio, per costituire e sostentare 1 Kg di massa di un predatore superiore ( ad esempio un tonno) occorrono 10 Kg di un predatore di livello inferiore (ad esempio un’acciuga), 100 Kg di zooplancton, 1000 Kg di fitoplancton.
Questo è il concetto-base per cui i livelli trofici sono in numero finito.
Sostanze nutritive disciolte:Tutti gli organismi della barriera corallina dividono il medesimo elemento, sono cioè tutti immersi in una soluzione acquosa diluita che contiene decine di elementi chimici, combinati a formare centinaia di migliaia di composti organici ed inorganici, l’acqua marina. Tutte le molecole complesse in soluzione che abbiano qualche utilità per gli esseri viventi sono comprese nella prima grande famiglia di fonti di cibo, che definiremo da qui in poi “nutrienti disciolti”.
Le sostanze organiche sono denominate anche con l’acronimo inglese DOM (dissolved organic material) e contengono idrogeno, ossigeno, azoto e fosforo.
Le sostanze inorganiche disciolte possono essere semplici ioni o molecole che però sono prive di carbonio, ad esempio lo ione nitrato.
Per convenzione, definiamo materiale disciolto tutto ciò che riesce a passare attraverso un filtro da 0,45 micron (Borneman, 2003); anche se molti batteri rientrano in questa classe dimensionale, ne tratteremo diffusamente a parte.
L’uso dei nutrienti disciolti può essere osservato come fenomeno macroscopico in acquario: i batteri che colonizzano un letto di sabbia sono in grado di originare in breve tempo la dannosa crosta che si forma su molti DSB avvalendosi soltanto del DOM.
L’acqua del mare aperto è poverissima di nutrienti disciolti poiché essi vengono prontamente sottratti dal fitoplancton che ne necessita per crescere; nei dintorni della barriera la concentrazione di DOM sale anche del 40% in virtù della maggiore concentrazione di vita che vi alberga.
Potremmo definire il DOM come “l’odore della vita”.
I nutrienti disciolti vengono assunti attraverso le membrane cellulari e vengono assimilati mediante l’azione di enzimi specifici; maggiore è la superficie a contatto con l’esterno e più elevata è la capacità di assorbimento di un organismo.
Non sorprende quindi che i coralli abbiano tentacoli e cilia che moltiplicano enormemente la superficie disponibile per l’interscambio.
Fra le principali sostanze disciolte utili troviamo i composti di azoto e fosforo; in natura essi sono scarsi e vengono riciclati più e più volte attraverso le intricate maglie della complessa rete alimentare della barriera.
Quando al contrario la loro concentrazione è elevata, cosa che accade purtroppo frequentemente in acquario, per gli organismi simbionti iniziano i problemi.
Gli animali ospiti non riescono più a limitare l’afflusso di nutrienti alle zooxantelle, che iniziano a moltiplicarsi in modo incontrollato; il fenomeno è immediatamente riconoscibile ad occhio nudo poiché i coralli iniziano a colorarsi del classico marrone/brunastro.
Se la concentrazione sale ulteriormente assistiamo ad esplosioni algali e, in casi estremi, allo sbiancamento dei coralli, che espellono le zooxantelle e muoiono.
Mentre in natura l’assorbimento diretto pesa poco a causa dell’ambiente oligotrofico, in acquario questo metodo risulta molto redditizio, vista la concentrazione di DOM venti volte superiore.
La simbiosi fornisce ai coralli un cospicuo vantaggio competitivo in ambiente povero di nutrienti, vantaggio che però si annulla e addirittura si ribalta in favore delle alghe in condizioni eutrofiche.
Per questa ragione, anche se i coralli e molti altri organismi sono in grado di sfruttarli in modo efficiente come cibo, il DOM è la fonte di nutrimento meno desiderabile da fornire all’acquario di barriera. Particolato sospeso o POM (particulate organic matter):Il particolato sospeso, o neve marina o più semplicemente detrito, è costituito dai rifiuti degli animali che popolano il reef e dalle loro secrezioni, da residui di alghe e feci, dai resti parzialmente decomposti di organismi morti, da particolato agglomerato dal muco corallino e , in acquario, dai residui di mangime caduti sul fondo.
Il particolato è definito come ciò che viene trattenuto da un filtro con maglie da 0,5 micron ed ha galleggiabilità neutra o leggermente negativa, tendente cioè ad adagiarsi lentamente sul substrato sabbioso o roccioso e verso organismi sessili che lo abitano.
Esso è consumato da creature grandi e piccole come elemento base della dieta, oppure ingerito accidentalmente, specie dagli animali di maggiori dimensioni come alcuni pesci.
In natura il POM è trasportato dalla corrente e dalle onde, che lo mantengono in sospensione molto a lungo a disposizione degli organismi filtratori ma anche di “insospettabili detritivori”, che lo ingeriscono più o meno volontariamente.
Esperimenti effettuati in laboratorio con particolato marcato con isotopi radioattivi hanno dimostrato come coralli (Fungia horrida, Madracis mirabilis, Acropora millepora) ne catturano attivamente mediante i polipi e ne assimilano notevoli quantità, convertendone dal 50% all’80% in biomassa (Anthony, 2000).
I gasteropodi ed i crostacei assumono grandi quantità di particolato mentre si alimentano spostandosi sulle rocce e nei letti sabbiosi, in modo non sempre intenzionale.
Studi condotti su pesci planctivori hanno dimostrato che fino all’80% del contenuto delle loro viscere è costituito dal POM; simile concentrazione è stata riscontrata in pesci erbivori.
Spirografi, oloturie, anemoni, crinoidi, policheti, spugne ne filtrano ingenti quantità, alcuni intercettando il detrito sospeso intenzionalmente ed altri ricevendolo passivamente per gravità.
Queste creature coprono fino al 50% del loro fabbisogno nutritivo con il solo particolato e i loro tratti digerenti ne contengono in percentuale fino al 90%.
I coralli in particolare intrappolano le particelle sospese sia facendole aderire mediante il muco, sia con i tentacoli dei polipi.
In acquario il detrito è in gran parte costituito da residui algali e di fitoplancton, resti di macroalghe, dinoflagellati, cianobatteri, alghe coralline.
La frazione non algale è quasi esclusivamente muco corallino che incorpora residui fecali (Borneman, 2003)
Il particolato così composto ha un elevato tenore di carbonio ed offre un substrato perfetto per la proliferazione dei batteri, ciliati e di altri microrganismi che ne rivestono le particelle come una pellicola.
I microrganismi sono una fonte nutritiva ricca di aminoacidi e con elevato contenuto di azoto; il particolato assieme a tutti gli esseri che lo abitano diventa quindi una fonte di cibo altamente nutriente per molti organismi, oltre che un microhabitat con proprie piante, animali e batteri specializzati. (Shimek, 2000)
Nelle vasche con fondo spoglio il detrito si accumula in antiestetici e soffici fiocchi solitamente rimossi mediante sifonatura, mentre nelle vasche condotte con letti sabbiosi (in particolare DSB) il particolato viene in gran parte rielaborato dalla fauna bentonica e dai batteri del fondo, ovvero viene trasformato in una risorsa alimentare.
Letti di sabbia adeguatamente formati e condotti hanno dimostrato di poter digerire detrito ad un ritmo molto superiore a quello con cui esso si deposita, anche negli acquari più densamente popolati.
Il ciclo attraverso cui il detrito viene prodotto, utilizzato, espulso e riutilizzato più volte fa sì che solo una piccola frazione del totale finisca sepolta ed incorporata in modo permanente nel substrato.
In natura come in acquario il detrito è il motore primario che consente il funzionamento dei letti sabbiosi; senza di esso la funzione denitrificante della sabbia cesserebbe.
In conclusione, il processo di riciclaggio del POM operato dagli organismi del reef forma la base della rete alimentare della barriera, sostentando miriadi di creature di piccole e microscopiche dimensioni.
In acquario, con le dovute proporzioni ed accorgimenti, il detrito assolve il medesimo compito, ovvero stimolare la nascita e la crescita di biomassa “dal basso”.
Sull’onda di queste scoperte si sta affermando la tendenza a condurre acquari “sporchi”, che sostentano una maggiore varietà di organismi proprio grazie all’intelligente e consapevole gestione del detrito.
L’obiettivo è avere una elevata qualità dell’acqua pur mantenendo un’abbondante presenza di particelle nutritive in sospensione, quindi pochissimo DOM e elevato POM. (Anthony, 2000)
Il letto sabbioso diviene in questo modo un concentratore di inquinanti (soprattutto azoto e fosforo), presenti dalle 200 fino alle 400 ppm; anche per questo motivo è altamente sconsigliabile smuovere e disturbare un DSB ben avviato. Batteri:I batteri sono la forma di vita più antica del pianeta e sono apparsi fra i 4 ed i 3,5 miliardi di anni fa, rimanendo le uniche forme di vita per un altro miliardo di anni.
Essi sono presenti ovunque, dalle profondità della crosta terrestre (fino a 5 km) alle vette delle montagne, alle sorgenti termali a migliaia di metri di profondità sulle dorsali oceaniche.
Sono talmente numerosi che il loro peso complessivo è stimato essere superiore a quello di tutte le altre forme di vita messe insieme; il nostro stesso corpo ne contiene circa 100 grammi.
Non ci sorprenderà quindi trovarne in quantità sia nella barriera corallina naturale, sia in acquario; ci sorprenderà invece sapere che essi sono in massima parte sconosciuti.
Ne ignoriamo infatti l’origine, molti aspetti della loro esistenza, il ruolo che essi occupano all’interno dell’ecosistema marino; possiamo però studiarli indirettamente osservando gli effetti macroscopici della loro presenza ed attività.
La dinamica dei nutrienti e dalla loro trasformazione attraverso la rete alimentare non può prescindere dai processi mediati dai batteri.
Essi sono attivi come decompositori della materia organica, aiutano gli organismi superiori nella digestione come endosimbionti, rivestono praticamente ogni superficie, riempiono l’acqua a tal punto che possono variarne il contenuto di ossigeno nell’arco di poche ore.
Nell’ambito di nostro interesse sono una insostituibile fonte di cibo per molte, moltissime creature dell’oceano e dell’acquario.
I batteri sono infatti formati da materia ricca di carbonio ed azoto e, nelle condizioni fortemente oligotrofiche riscontrabili sul reef, ne sono una fonte preziosa.
In natura i batteri regolano la catena di decomposizione del detrito e, grazie alla loro straordinaria velocità riproduttiva, forniscono un costante apporto nutritivo agli organismi di piccole dimensioni, soprattutto a quelli che costituiscono il plancton.
Attraverso i batteri passa fra il 60% ed il 90% del flusso totale di energia (Borneman, 2003) ed il materiale da loro decomposto porta alla formazione di quasi il 30% delle nuove proteine, essendo essi cibo sia per i consumatori diretti (plancton), che per quelli che li assumono indirettamente (filtratori, invertebrati, pesci).
I batteri sono una fonte di cibo di primaria importanza anche per i coralli, è infatti dimostrato che i soli batteri possono fornire il 100% del fabbisogno di carbonio e di azoto dei coralli, oltre al prezioso fosforo necessario al prosperare delle zooxantelle.
I coralli intrappolano i batteri attraverso la secrezione di muco, il quale costituisce anche un eccellente supporto di coltura aggregando particelle di detrito in flocculi quando si distacca dall’animale.
Questi flocculi sono agglomerati organici molto nutrienti per una serie di organismi che, captandoli sotto forma di POM (come appena visto), diventano consumatori indiretti di batteri.
In acquario i flocculi si accumulano sul fondo e al loro interno il materiale batterico costituisce una percentuale del peso complessivo compresa fra il 2% ed il 5%.
Che i batteri conglobati nel detrito siano una forma di nutrimento molto gradita ai coralli è facilmente verificabile osservando come i polipi corallini si estendono ogni volta che il fondo dell’acquario (o la zeolite del reattore) viene smosso, sollevando nuvole di quello che ai nostri occhi appare solo “detrito”.
Fig.3: Biofilm composto da batteri e alghe unicellulari sviluppatosi su una superficie immersa in acqua (microscopio elettronico)
Fig.4: Biofilm batterico aggregato da secrezioni filamentose, che inglobano materiali diversi (microscopio elettronico) Fitoplancton:Il fitoplancton è composto da organismi estremamente semplici ed antichi, originatisi circa due miliardi di anni orsono, con la comune abilità di sfruttare la luce solare per la produzione di energia.
Tassonomicamente comprende protisti e ciano batteri (diatomee, dinoflagellati, coccolitoforidi, flagellati) specializzatisi solo negli oceani in migliaia di specie differenti, fra cui le forme unicellulari sono la stragrande maggioranza, con colonie e forme filamentose riconoscibili solo occasionalmente.
In natura il fitoplancton è nel suo insieme il produttore primario di materia organica marina ed è talmente diffuso negli oceani da essere una delle più importanti forze propulsive dell’ecologia globale, di fatto condizionando il clima del pianeta attraverso la trasformazione dell’anidride carbonica in ossigeno.
Essendo generalmente più dense dell’acqua, le cellule fotosintetiche possiedono meccanismi o apparati preposti al mantenimento del galleggiamento e possono, anche se debolmente, spostarsi nell’ambiente.
La dinamica della concentrazione del fitoplancton in mare segue cicli di 24 ore; nelle ore diurne aumenta sulla spinta propulsiva della luce, per diminuire durante le successive 12 ore notturne a causa dell’aumentata attività predatoria da parte dello zooplancton.
La popolazione può crollare complessivamente dal 15% al 65% nell’arco della notte causa della predazione (Yahel, 1998).
Diversi studi hanno dimostrato come alcune famiglie di sclerattinie (Acropora, Alveopora, Montipora, Porites, Siderastrea) siano in grado di azzerare la concentrazione di fitoplancton in acqua, ma non è ancora stato provato che il materiale captato venga poi effettivamente digerito.
E’ ignoto quanto il fitoplancton contribuisca al nutrimento dei coralli, ma verosimilmente il suo apporto è minimo (Sorokin, 1981-1995).
Esso però sostenta schiere di organismi di cui le sclerattinie si nutrono, come protozoi, ciliati, copepodi ed anfipodi, nonché un gran numero di animali filtratori che producono a loro volta larve planctoniche, preda abituale di coralli e pesci.
In acquario il fitoplancton è presente e si riproduce in gran quantità data l’abbondanza di luce e l’ambiente fortemente eutrofico (se confrontato all’oceano), ma i filtratori, i coralli e lo skimmer lo rimuovono prontamente.
Non tutto il fitoplancon è benefico; infestazioni estese di cianobatteri e dinoflagellati sono eloquenti esempi di organismi fotosintetici dannosi per l’acquario.
Somministrare fitoplancton regolarmente, ma con moderazione, è decisamente utile all’acquario sotto diversi aspetti, che vanno dall’alimentazione dello zooplancton e dei filtratori, al miglioramento della qualità dell’acqua, alla rimozione di microelementi e metalli in eccesso che vengono cooptati nel materiale organico, alla cura delle rocce vive appena immesse in vasca.
E’ possibile surrogare l’apporto nutritivo del fitoplancton mediante l’uso di spirulina finemente polverizzata e reidratata, ma è sempre preferibile usare organismi vivi poiché essi, anche se limitati dai meccanismi succitati, si riproducono e aiutano il sistema, al contrario della materia morta che inizia a decomporsi non appena immessa in circolo.
Fig.5: Fitoplancton al microscopio ottico; gli organismi che lo costituiscono sono quasi tutti unicellulari, solo alcune specie sono organizzate in colonie filamentose.
Fig.6: Coltura industriale di fitoplancton per l’alimentazione degli avannotti nati in cattività
Zooplancton:Lo zooplancton è l’insieme dei piccoli e microscopici animali acquatici e protisti non foto sintetici sospesi in acqua o con debole attività natatoria; esso costituisce una fondamentale risorsa trofica per le creature del reef ed in particolar modo per i coralli, che sono perfettamente attrezzati ed altamente specializzati per la sua cattura ed assimilazione.
Non è un caso che molte specie di coralli estroflettano i polipi soltanto la notte, quando cioè in natura lo zooplancton migra verso la superficie (e quindi verso i tentacoli dei coralli) per nutrirsi.
Il plancton può essere classificato sia mediante criterio dimensionale che per appartenenza tassonomica; per le nostre esigenze lo suddividiamo in Oloplancton (organismi che trascorrono l’intera vita fluttuando in acqua), Meroplancton (organismi che hanno vita planctonica solo nei primi stadi larvali) e Plancton epibentico (organismi che vivono nelle strette prossimità del fondo e del substrato).
I copepodi sono la frazione maggiore dello zooplancton, più di tutti gli altri gruppi messi assieme, e possono raggiungere in alcuni casi (sciami di copepodi) una densità di un milione di individui in un metro cubo d’acqua (Hamner & Carleton, 1979).
Per capire cosa e quanti siano, una buona pratica è isolare un’area definita di scogliera caratterizzata da un flusso laminare unidirezionale vicino alla cresta del reef e filtrarne il contenuto.
Esperimenti eseguiti in tal modo hanno condotto alla cattura di 1.098.000 unità di particelle di cibo (di cui il 70% copepodi e larve di tunicati) in una striscia d’acqua larga un metro. (Hamner, 1998)
La maggior parte delle creature planctoniche è attiva sulla barriera durante la notte, con una densità dieci volte superiore a quella diurna ed è costituita precipuamente da animali epibentici, che escono dal fondo e dai cunicoli del substrato roccioso per nutrirsi quando i principali predatori diurni, i pesci, dormono.
Durante la notte i coralli estroflettono i polipi e ne fanno incetta, mentre durante il giorno ne scompongono la materia organica per destinarla alla crescita ed alla calcificazione, sostenuti dall’energia estratta dalle zooxantelle.
I polipi delle sclerattinie hanno il maggior rapporto di area utile alla cattura delle prede rispetto alla loro massa fra tutti gli animali acquatici. (Sorokin, 1995)
Negli anni settanta, Yonge fu il primo a dimostrare che molte specie di sclerattinie possono sopravvivere indefinitamente al buio se gli si fornisce abbastanza zooplancton, al contrario i medesimi coralli esposti alla luce intensa, ma privati dello zooplancton o di suoi surrogati, deperiscono e muoiono entro poche settimane.
I coralli possono infatti trarre il 100% del loro fabbisogno di carbonio dalle zooxantelle, ma necessitano di una o più fonti di azoto, fosforo, aminoacidi e vitamine per vivere e tali fonti sono accessibili solo mediante le predazione attiva a vari livelli (batteri, POM, zooplancton).
L’unica differenza nutrizionale fra SPS ed LPS risiede nella dimensione delle prede e le prede degli SPS sono per la maggior parte troppo piccole per essere viste, ma sono presenti in natura ovunque e in gran numero.
Entrambi i gruppi, tranne Galaxea e Symphyllia, traggono maggior energia dall’eterotrofia che dall’autotrofia.
Circa il 70% dell’azoto proviene dalla predazione attiva, mentre il 90% del carbonio deriva dalla fotosintesi (Bythell, 1990)
In definitiva, se un corallo è nutrito con zooplancton calcifica dal 50% al 75% più velocemente rispetto ad uno che non lo è, a prescindere dalla luce fornita.
La simbiosi produce infatti cibo a ridotto valore nutritivo per il corallo, così come il fitoplancton fornisce materiale di poco più ricco e con le incognite “digestive” spiegate poc’anzi.
Lo zooplancton è per il corallo l’analogo di una bistecca di manzo per gli esseri umani, cioè una risorsa molto ricca e concentrata di proteine, vitamine, aminoacidi complessi.
Varrebbe quindi la pena di effettuare maggiori sforzi ed investimenti tesi alla sua massiva introduzione in acquario per stimolare la crescita corallina fornendo agli animali il cibo con la migliore composizione e valore nutritivo.
Fig.7: Zooplancton di piccole dimensioni (principalmente copepodi) al microscopio ottico
Fig.8: Zooplancton di dimensioni superiori al millimetro
Fig.9: Uno dei piccoli crostacei (da pochi millimetri ad alcuni centimetri) che formano il kryll
Nutrire l’acquario:Dal panorama appena illustrato deduciamo immediatamente che gli animali del reef possono contare su fonti alimentari
• Molto diversificate per dimensioni e composizione
• Disponibili costantemente durante le 24 ore
• Presenti in quantità molto superiori rispetto all’ambiente artificiale
Come acquariofili dobbiamo riconoscere di non essere in grado di provvedere nemmeno lontanamente una simile quantità e varietà di cibo per i nostri ospiti. Quantità:
Studi effettuati su tratti ben delimitati di barriera hanno mostrato che la disponibilità di cibo per le forme di vita che li abitano è qualcosa come 600 ml di cibo per ogni 1000 litri d’acqua e che un’area definita del reef è soggetta in media ad un ricambio d’acqua del 300% giornaliero; in pratica una striscia verticale di barriera larga un metro (dalla superficie a 25 metri di profondità) riceve in 24 ore circa 1800 ml di cibo (Shimek, 1998).
Se a questi aspetto aggiungiamo che le nostre vasche sono fortemente sovrappopolate rispetto al volume d’acqua tipico dell’ambiente naturale, ci rendiamo immediatamente conto che il regime alimentare che forniamo non è assolutamente paragonabile a quello che si osserva in natura. (Borneman, 2002) Qualità:
Come abbiamo visto nella parte descrittiva della trattazione, le fonti di cibo della barriera sono molteplici ed hanno caratteristiche molto varie.
Nel complesso esse sono molto distanti dalla composizione media del tipico mangime commerciale.
Riferendoci ancora all’esperimento citato, possiamo dedurre che nelle 12 ore diurne i circa 500 pesci che abitano l’area campionata si nutrono costantemente e continuamente, catturando la quasi totalità del plancton che vi giunge.
Il ritmo delle catture è di un boccone ogni circa 3 minuti, ovvero due grammi di cibo pro-capite al giorno (peso umido).
Tradotto in termini acquariofili, ognuno dei pesci di media grandezza ospitati nei nostri acquari (ad esempio un Anthias) assume – ed espelle – l’equivalente di un cubetto di congelato al giorno.
Il cibo in natura è però molto meno ricco di proteine rispetto a quello artificiale e questo è un grosso problema per il pesce e per il sistema acquario.
I pesci infatti espellono velocemente dal loro tratto digerente un’elevata quantità di proteine non elaborate, che provocano sovraccarico organico all’acquario e, allo stesso modo, gli animali non le trattengono per un tempo sufficiente ad estrarre quello di cui abbisognano.
In pratica, fornendo poco cibo molto ricco noi immettiamo in acquario la stessa quantità di proteine che riscontriamo in natura, ma gran parte si perde e va a detrimento della qualità dell’acqua: in pratica il regime alimentare fornito dall’acquariofilo tende a risultare in un forte sovraccarico organico e in pesci male alimentati.
Per gli invertebrati invece non è tanto la composizione ad essere inadatta, quanto la dimensione delle particelle di cibo.
I coralli e gli altri filtratori sono animali ad elevata specializzazione e possono nutrirsi solo di particelle di cibo che siano compatibili con quelle degli apparati deputati a procacciarli o trattenerli.
Un valido surrogato dimensionale e nutritivo del plancton sono le colture artificiali di zooplancton, di artemia salina, di gammaridi e misidi, che possono inoltre essere arricchite con vitamine ed elementi in traccia.
Tali colture sono dispendiose in termini di tempo, di spazio e in minor misura di energia, ma il beneficio che apportano è davvero rilevante.
Fig.10: Stylopora pistillata che cattura naupli di artemia salina
Fig.11: Tubastrea che si nutre di kryll
Fig.12: La mia Catalaphyllia che ha ghermito un anthias e cerca di ingoiarlo
Il regime alimentare ideale:
Il regime alimentare migliore è quello che approssima quanto più possibile la natura, ovvero:
• L’acquario deve essere nutrito in modo per quanto possibile continuo
• Il cibo deve essere fornito come particolato sottile e sottilissimo, con particelle di dimensioni inferiori ai 2-3 mm
• Il cibo non deve essere specificamente formulato per avere elevato potere nutritivo, ma dovrebbe avere un valore nutritivo da basso a moderato
Se infatti i pesci possono nutrirsi in continuazione ingerendo particelle a ridotto valore nutritivo, essi assimileranno di più avendo sempre l’intestino pieno di materiale, inoltre potremo verificare un minore carico organico in acquario perché saranno espulse feci con un ritmo costante e con un minore contenuto di metaboliti da filtrare o schiumare.
Un carico organico ridotto e distribuito nell’arco della giornata sarà meglio gestito dalla microfauna bentonica e dai batteri delle rocce e del fondo sabbioso rispetto a somministrazioni brevi e molto concentrate che sovraccaricano a tratti il sistema una o due volte nell’arco delle 24 ore. I risultati che sono stati ottenuti sperimentalmente indicano:
• Maggior benessere di pesci e coralli
• Minori inquinanti in soluzione
• Carico organico meglio distribuito
• Minore crescita di alghe indesiderate
• Minor presenza di ciano batteri (Shimek, 2003) Letti di sabbia e nutrizione dell’acquario: L’uso dei letti di sabbia fine impiegati nei metodi di conduzione con plenum oppure nel DSB ha costituito un primo, importante progresso alla nutrizione dell’acquario, in modo particolare se realizzati in comparti privi di predatori come i refugia o le criptiche (DSB remoto o RDSB).
I letti di sabbia (ma anche i comparti criptici riempiti di rocce e lasciati riposare in pace lambiti da un blando flusso d’acqua) sono l’ambiente in cui microbi, vermi, crostacei ed alghe possono prosperare e questi esseri a loro volta sono fonte di nutrimento per altri organismi in modo diretto o mediante il rilascio di larve planctoniche.
I letti di sabbia realizzano inoltre il riciclaggio continuo dei rifiuti dell’acquario, elaborando la sostanza organica contenuta nel detrito e scomponendola nei suoi costituenti, riutilizzabili per produrre nuova biomassa: il detrito viene cioè convertito da problema da rimuovere a risorsa utile.
In questo ciclo di scomposizione e riutilizzo è estremamente importante la biodiversità apportata dalle rocce vive; aggiungendo nuove maglie alla rete alimentare è possibile ridurre in modo sostanziale la frazione di detrito che costituirebbe un problema, aumentando di contro quella che diventa utile.
Solo una rete alimentare complessa può manipolare con successo ed estrarre dalla materia organica che vi circola la massima quantità possibile di energia e di elementi utili; ciò avviene ad ogni passaggio in cui gli scarti di una forma di vita vengono rielaborati da un’altra e quindi più passaggi significano più materia riciclata e minore frazione inutilizzata.
Ad ogni riutilizzo il materiale di scarto risulta più povero di aminoacidi, di azoto, fosforo, carbonio; in altre parole la materia organica è sempre più semplice e più vicina ad essere chimicamente inerte.
Come visto per la catena trofica, ogni passaggio inverso riduce di 10 volte il carico organico potenzialmente inquinante, quindi aumentare esponenzialmente il numero ed il tipo di bocche da sfamare garantisce paradossalmente una cospicua riduzione dell’inquinamento organico da rimuovere.
Quando si raggiunge in acquario la tanto desiderata stabilità, quasi sempre significa che al suo interno si è instaurato un equilibrio che si regge grazie al ciclo virtuoso appena descritto. Il futuro:Una delle frontiere dell’acquariofilia del futuro è la ricerca di un metodo pratico e gestibile in termini di tempi e di costi per fornire il corretto e continuo apporto di cibo agli organismi ospitati in acquario, piuttosto che la ricerca spasmodica di nuove e costose tecnologie per l’esportazione dei rifiuti organici.
Alle bellissime, ma a volte asettiche esposizioni di coralli multicolori preferisco di gran lunga le vasche che esplodono di biodiversità ed in cui convivono animali dalle caratteristiche differenti e complementari.
Esse sono intrinsecamente più stabili e sono in grado di sopportare con minori conseguenze episodi problematici come l’avaria di un componente tecnologico, un blackout prolungato, l’assenza temporanea del conduttore.
Per dirla con un motto che è ormai di uso comune fra gli acquariofili più attenti, le colture di cibo vivo e i sistemi di approvvigionamento continuo dello stesso sono di gran lunga più utili all’acquario di barriera di quanto lo sia ogni altro dispositivo tecnico o prodotto di consumo.
More biology, less technology” (Borneman, 2002) |