Lo spettro di emissione
Temperatura di colore ed indice di resa dei colori sono indici utili e rapidi per valutare approssimativamente la qualità di luce emessa, ma, come visto, non del tutto completi, anche se avere a disposizione entrambi può di fatto fornire già molte indicazioni.
Tuttavia l’informazione più completa rimane quella fornita dallo “spettro” della luce emessa dalla lampada in esame, perché contiene tutte i dati per valutare che la luce possieda le caratteristiche desiderate (cioè l’opportuna intensità di radiazione ad ogni lunghezza d’onda), anche se talvolta è difficile sapere quale dovrebbe essere lo spettro ottimale per ottenere certi risultati od interpretare le curve spettrali che vengono presentate.
L’analisi dello spettro è particolarmente utile nel caso in cui, come spesso è opportuno fare, si utilizzi una combinazione di lampade diverse, in quanto non ha molto senso fare una media delle temperature di colore o degli indici di resa del colore, mentre una “somma degli spettri” prendendo in considerazione ogni singola lunghezza d’onda ha viceversa un significato ed una giustificazione fisica.
Per convenienza vengono riportati, collegati ad una tabella con altre utili informazioni, molti spettri che possono essere di interesse.
Il flusso luminoso e l’efficienza luminosa
L’indicazione dell’efficienza luminosa espressa in lumen per watt (cioè espressa come “flusso luminoso” emesso per unità di potenza assorbita dalla lampada) non ha in pratica interesse in acquariologia, mentre trova larga e sensata applicazione nell’illuminazione di luoghi di lavoro e di soggiorno, cioè per l’illuminazione di ambienti in cui gli uomini (dotati del limitato senso della vista) operano e vivono.
Questo perché i lumen (od i lux cioè i lumen che arrivano sulla superficie illuminata per metro quadrato) sono unità di misura specifiche della fotometria, che è la branca della fisica in cui le radiazioni sono valutate in base alle loro caratteristiche visive, od in altre parole di un sistema che considera solo la potenza illuminante della radiazione per la vista umana.
Ma la visione dell’occhio umano presenta diversi limiti essendo, ad esempio, l’occhio molto sensibile a radiazioni di certe lunghezze d’onda e poco ad altre (ad esempio agli infrarossi ed agli ultravioletti l’occhio è cieco).
Nelle funzioni biologiche attivate dalla luce ed indispensabili in acquario sono invece fondamentali e necessarie radiazioni di lunghezza d’onda alle quali l’occhio umano è poco o per nulla sensibile e che quindi pesano poco o nulla sull’illuminazione per un osservatore umano.
Dunque, visto che in fotometria vengono tenute in conto le sole esigenze della vista umana, allora la risposta degli strumenti per la misurazione dei lumen (e dei lux) tiene conto solo della sensibilità dell’occhio umano. Esistono norme ben precise in tal senso elaborate dalla CIE (Commission Internationale de l’Eclairage) che fissa ad esempio la curva “fotopica” a cui gli strumenti si devono adeguare per tenere conto della sensibilità dell’occhio umano nella visione diurna.
Ad esempio per lo “osservatore fotopico” si ha un massimo di sensibilità per la radiazione a 555 nm (attorno al giallo-verde), ma la sensibilità cala abbastanza rapidamente per radiazioni a lunghezza d’onda inferiori o superiori ed ad esempio le sensibilità a 500 nm e 625 nm sono pari solo a circa il 32 % di quella a 555 nm.
Questo significa che, nella misurazione del flusso luminoso in lumen, radiazioni anche di fondamentale importanza per l’uso in acquario hanno poco peso (ad esempio nel blu, nel rosso e negli UV-A), mentre il massimo peso si ha per le radiazioni giallo-verdi che, pur essendo molto importanti per fornire luce alla visione, hanno relativamente poca importanza per molti processi biologici (ad esempio le foglie di molte piante con clorofilla appaiono verdi appunto perché la radiazione verde viene riflessa e non viene quindi quasi per nulla assorbita od utilizzata).
Quindi, a meno che non si sia interessati alla sola resa per la vista umana, si rende necessario un “metro” di valutazione che non faccia riferimento al flusso luminoso in lumen, ma a qualche altra grandezza più significativa per piante, animali e microrganismi.
Si è visto che lo studio dello spettro emesso può essere di aiuto per la “qualità” della luce, ma per la determinazione del numero di lampade necessarie a fornire la “quantità” desiderata di luce della qualità voluta occorrerà fare dunque riferimento a qualche altra grandezza di diretta utilità che non può essere il flusso luminoso (questo sembra a questo punto evidente anche se purtroppo spesso si sente affermare al contrario che è preferibile fare riferimento a quest’ultima quantità).
Da un’elaborazione dei dati relativi allo spettro ed al flusso luminoso, che si possono trovare nelle specifiche tecniche di molte lampade, è possibile tuttavia ricavare il valore di potenza emessa sotto forma di energia raggiante per molte lampade.
È questo un dato che è sicuramente più interessante del flusso luminoso in lumen in quanto fa direttamente riferimento all’energia emessa sotto forma di radiazione indipendentemente dalla sensibilità dell’occhio umano.
Un ulteriore passo in avanti può essere fatto prendendo in considerazione il meccanismo con cui viene utilizzata l’energia raggiante in ogni processo in cui questa interagisce con la materia (e dunque anche in tutti i processi fotochimici e fotobiologici).
In effetti il “mattone” attraverso cui l’energia raggiante può essere utilizzata è il fotone, che rappresenta l’entità elementare di energia luminosa. Perciò è importante avere una misura di quanti fotoni vengono emessi (nell’unità di tempo) dalla sorgente in esame.
Dal momento che l’energia posseduta da un singolo fotone dipende dalla lunghezza d’onda della radiazione, se la radiazione non è monocromatica (cioè non è costituita da una radiazione ad un’unica lunghezza d’onda) non è possibile ricavare dal solo valore della potenza raggiante globalmente emessa il numero di fotoni emessi.
Se però si conosce anche la distribuzione dell’energia emessa in funzione della lunghezza d’onda (vale a dire se si conosce lo spettro) questo diventa possibile. Il PAR (Photosythetically Available Radiation) è direttamente collegato al numero di fotoni nel campo di lunghezze d’onda di interesse (in genere da 400 a 700 nm perché si ritiene che questo sia il campo in cui la radiazione può essere generalmente utilizzata nei processi di fotosintesi).
Nella figura seguente è riportata la risposta relativa di un luxmetro (che segue la curva fotopica) a confronto con quella che dovrebbe possedere lo strumento ideale per la misurazione del PAR e con quella mostrata da uno strumento relativamente economico per misurare il PAR.
Praticamente l’idea del PAR è nata nel 1972 (anche se questo termine è probabilmente apparso successivamente) dagli studi di Keith McCree che ha mostrato che uno strumento che conta i fotoni (quantum meter) è in grado di prevedere con maggiore precisione la fotosintesi di quanto non riescano a fare i normali luxmetri!
Evidentemente il passo successivo sarebbe quello di vedere all’interno del campo in cui il PAR viene uniformemente misurato (400-700 nm) quali sono le lunghezze d’onda che più contribuiscono alla fotosintesi.
Seppure molti studi siano stati fatti in questa direzione per capire come “vedono alghe e piante” (ad esempio i lavori di McCree e la curva spettrale delle piante secondo Elgersma, di cui si parla anche in Aquarium Oggi, n.2, 1998, pag.48) non esistono forse metodi o curve universalmente adottati forse proprio perché tutto sommato ogni pianta ha proprie esigenze, per cui una media abbastanza generica come quella fornita con il PAR può essere già sufficientemente significativa e non ha senso andare troppo nel dettaglio, se non per un sistema ben specifico.
Questo tuttavia non significa che la conoscenza del PAR sia del tutto sufficiente a determinare l’efficienza di un sistema illuminante per la crescita delle piante in quanto, pur essendo il PAR un indice sicuramente più significativo del flusso luminoso, deriva pur sempre da una “media” fatta all’interno di un campo piuttosto ampio di lunghezze d’onda, da cui non si evince ad esempio la distribuzione spettrale al suo interno, che pure può rivestire sicuramente un’importanza fondamentale.
Dopo questa premessa è interessante vedere come si comportano le normali lampade fluorescenti in termini di flusso luminoso fornito, potenza raggiante e PAR. Nella seguente tabella e nel successivo grafico sono riportati i valori ricavati per alcune delle lampade prima considerate (poiché in questo caso l’emissione è per una determinata lampada, il valore riportato del PAR si riferisce ad una lampada e non all’unità di superficie).
– | Potenza raggiante | ||
– | mEinstein/s | ||
L’aspetto più interessante da notare è che, nonostante il flusso luminoso sia sensibilmente più alto per la lampada della serie 8xx (serie, come si è detto, che privilegia la luminosità per la vista umana, emettendo specialmente nel campo dove l’occhio è più sensibile), per quanto riguarda potenza raggiante e soprattutto PAR le differenze risultano significativamente più ridotte.
Dunque anche se la “efficienza luminosa” in lm/W (intendendo come luminosità quella per l’occhio umano) è maggiore per le lampade della serie 8xx, l’effettiva resa energetica e la resa in termini di numero di fotoni emessi variano invece molto meno da una lampada all’altra.
Considerando inoltre che, come discusso in precedenza, la distribuzione spettrale non è certo ottimale per quanto riguarda le lampade 8xx ed equivalenti, allora appare evidente che le lampade a spettro completo (9xx ed equivalenti) sono più adatte per l’uso in acquari.
In altre parole le lampade a spettro di emissione più uniforme (normalmente ad Ra molto elevato), anche se risultano avere valori più bassi dell’efficienza luminosa (e pertanto ai nostri occhi appaiono meno luminose) rispetto a lampade con spettro più ricco di radiazione giallo-verde, risultano più “efficienti” per l’uso in acquario.
Il discorso può essere allargato anche alle cosiddette “fitostimolanti” che solo in apparenza sono meno luminose, essendo invece ottimizzate ed efficienti per l’uso a cui sono destinate, cioè per emettere alcune radiazioni che si suppongono utili alla crescita di piante (soprattutto terrestri in quanto quelle acquatiche hanno esigenze generalmente diverse).
Un’altra conseguenza è che, visto che il rapporto tra energia emessa ed energia assorbita dipende poco dalla lampada che si è scelta, allora per indicare la quantità di luce necessaria si può tranquillamente con buona approssimazione fare riferimento direttamente alla potenza assorbita dalle lampade, come d’altra parte è quasi sempre stato fatto in acquariologia con le solite prescrizioni di calcolare un certo numero di watt ogni litro di acqua nella vasca.
Va comunque osservato che, anche se la resa varia poco da un tipo di lampada all’altro, allo stato attuale le lampade fluorescenti più efficienti dal punto di vista energetico sono quelle da 36 W, perché la geometria della lampada con le dimensioni delle lampade da 36 W è tale da rendere massima la trasformazione dell’energia elettrica assorbita in energia raggiante.
Inoltre praticamente tutti i tipi di lampade fluorescenti esistenti vengono prodotti in questa potenza e di conseguenza la varietà e la reperibilità sono molto superiori a quelle per le altre potenze. Pertanto, anche in fase di acquisto o di costruzione dell’acquario, la possibilità di montare lampade da 36 W può essere uno dei tanti fattori da tenere in considerazione nella scelta delle dimensioni della vasca.