Scrivere questo articolo non è facile, alla luce degli ultimi avvenimenti che si sono verificati. La vasca in questione – di cui vi andrò a raccontare la storia – è infatti stata realizzata in fuzione di una coppia di Betta imbellis locati, che ho avuto modo di trovare attraverso l’Associazione Italiana Betta e che ho desiderato per lungo tempo. Purtroppo qualcosa è andato storto, e dopo appena 2 settimane il maschio ha deciso di abbandonare la sua compagna lasciandola da sola: da me tutto ciò è stato vissuto come una sconfitta, dato l’impegno che ci avevo messo non riuscivo a capire il perché di un esito negativo. So che ad alcuni di voi sembrerà esagerato, ma in così pochi giorni mi ero affezionato così tanto a quel pescetto da star male insieme a lui. Parlare con le persone che ho accanto e con gli altri ragazzi dell’Associazione mi ha fatto bene, sono riusciti a rassicurarmi ed a farmi capire che probabilmente la morte era dovuta ad una serie di sfortunati eventi: il primo ringraziamento va quindi a tutti loro, senza i quali non sarei qui a parlare di questo acquario. Dopo la premessa possiamo passare alla storia vera e propria: nel Maggio del 2014 mi capitò di leggere il thread realizzato da MarZissimo sul forum di AcquaPortal riguardo il Progetto di mantenimento delle specie non selezionate avviato dall’Associazione Italiana Betta. L’idea di intraprendere una strada così interessante – anche dal punto di vista scientifico – mi rapì fin da subito, e dopo aver ricevuto ulteriori informazioni decisi di provare a realizzare una vasca per una coppia di questi pesci. La scelta riguardo la specie da allevare fu abbastanza breve: dopo una lieve esitazione iniziale (in cui ero affascinato dai Betta mahachaiensis) mi orientai verso i Betta imbellis, che all’epoca non erano però disponibili in Associazione. Seguirono mesi di preparativi, e dopo averli visti per la prima volta dal vivo al PetFestival di Piacenza del 2014 arrivò finalmente l’Italian Betta Show 2015 in cui ebbi modo di ottenere una coppia da Massimo Tavazzi (T_M), responsabile del Progetto di mantenimento. La vasca intanto era cresciuta, aveva avuto modo di stabilizzarsi e maturare (dall’allestimento all’inserimento dei pesci sono passati circa 6 mesi) in vista dell’arrivo di questi bellissimi animali. Segue la sua descrizione.
L’acquario che ho deciso di utilizzare per il progetto è una vasca artigianale larga 93 cm, profonda 36 cm e alta 36 cm con vano filtro interno. Un totale di 120 litri lordi e circa 80 netti (escludendo arredi, parte sommersa e filtro), ideali per ospitare una piccola colonia di imbellis. Il filtraggio è affidato a lana di perlon per la parte meccanica, al lapillo vulcanico per quella biologica e ad una piccola pompa da 300 L/h che ha il getto smorzato per impedire che la superficie si increspi troppo. Lo stesso lapillo è stato utilizzato nel fondo, mischiato a della ghiaia di quarzo nera che ho trovato in casa (dettaglio non poco importante, dal momento che in seguito voglio parlare anche dell’aspetto economico). Gli arredi sono invece stati reperiti in natura: ho inserito diversi legni (che ho fatto seccare e poi bollito per circa mezz’ora), dei ciotoli e delle foglie di quercia che uso – insieme alla torba e alla catappa – anche per scurire l’acqua. Una parte importante di questo articolo credo spetti giustamente agli inquilini della vasca: il Betta imbellis (Ladiges, 1975) è un pesce endemico della Thailandia – dove è conosciuto ed apprezzato, al punto che hanno deciso di dedicargli anche un francobollo – e della Malaysia, dove può trovarsi in acque molto diverse tra loro (si va da acque tenere ed acide ad acque salmastre). Appartiene al complex splendens, ed è un costruttore di nidi di bolle. Al contrario del cugino Betta splendens, ed in particolar modo ai ben noti esemplari selezionati, presenta un carattere più mite e tranquillo: il suo nome scientifico deriva proprio da questa caratteristica, infatti il termine latino “imbellis” può esser tradotto come “inoffensivo, inadatto alla guerra”. La livrea del maschio è solitamente scura, con le pinne rosse e dei riflessi turchese lungo tutto il corpo. La femmina presenta invece una colorazione più chiara, con degli accenni di rosso e turchese soprattutto sulla caudale. Gli esemplari che mi sono stati ceduti sono locati: ciò significa che è noto il luogo di prelievo dei loro discendenti, e questo oltre a permettere un allevamento “in purezza” (evitando ibridazioni con pesci provenienti da habitat diversi) potrebbe un giorno portare ad una possibile reintroduzione in natura qualora l’urbanizzazione mettesse a repentaglio la sopravvivenza della specie. La loro area di provenienza è quella di Trang, una provincia situata nella Thailandia meridionale. La vasca può essere considerata monospecifica, dal momento che oltre a loro le uniche altre inquiline sono le lumachine tipiche di ogni acquario piantumato appartenenti ai generi Physa, Lymnaea e Planorbis. Per quel che riguarda la flora ho invece deciso di optare per piante semplici, che non avessero particolari esigenze in termini di luce e fertilizzazione: nella parte sommersa ho inserito Anubias barteri, Microsorum pteropus, Cryptocoryne wendtii, Vesicularia dubyana, Riccia fluitans, Pistia stratiotes e Lemna minor; mentre in quella semiemersa ho aggiunto Epipremnum aureum (Pothos), Bacopa caroliniana e dei muschi che ho adattato a vivere in quelle condizioni. La pesciolina superstite viene alimentata dal lunedì al venerdì con congelato e cibo vivo (cercando di farle mantenere il suo istinto da predatrice), mentre la domenica la lascio a digiuno permettendole di nutrirsi con i molti microrganismi presenti nella vasca. L’illuminazione è affidata a 4 strisce led con colorazione fredda di cui non conosco il wattaggio, ed a distanza di alcuni mesi visto e considerato lo stato in cui sono le piante posso dirmi soddisfatto di questa scelta. La vasca è coperta da una lastra di plexiglass, accorgimento necessario qualora si decida di allevare degli anabantidi: essendo dotati di un organo particolare – detto labirinto – è infatti necessario garantire loro una temperatura della superficie simile a quella dell’acqua, onde evitare pericolose infiammazioni dell’organo di cui sopra (si deve inoltre tener conto del fatto che i Betta sono degli ottimi saltatori). I valori attuali sono i seguenti: Per quel che riguarda la gestione mi limito a sostituire la torba ed a fare dei cambi del 15% ogni settimana, dal momento che sono un amante delle vasche autogestite dall’aspetto naturale e preferisco quindi non effettuare potature o pulizie del fondo (salvo casi estremi). Fertilizzo saltuariamente con delle tabs da fondo alla base delle Cryptocoryne. Come promesso, un piccolo appunto sull’aspetto economico del progetto: credo che questa vasca sia la dimostrazione del fatto che realizzare un acquario a basso costo è possibile, ottenendo tra l’altro un risultato tutto sommato soddisfacente. In totale io ho speso poco meno di 100 euro, includendo il prezzo della vasca usata che avevo già in casa: ciò che ho dovuto tirar fuori di tasca si aggira quindi sui 60 euro, un prezzo che con qualche piccolo sacrificio risulta abbordabile per le tasche di tutti coloro che decidono di avvicinarsi a questa passione. Le spese di manutenzione sono altresì basse: tra illuminazione a led, pompa del filtro e termoriscaldatore arrivo a circa 5 euro al mese. Concludo con i ringraziamenti: A Massimo Tavazzi, che mi ha permesso di realizzare questo piccolo sogno attraverso la cessione dei suoi due pesci e che mi ha riempito di consigli, sostenendomi anche nel momento di difficoltà di cui parlavo all’inizio. Buona parte di questa vasca è opera sua. All’Associazione Italiana Betta, al presidente Roberto ed a tutti gli altri membri di questa piccola famiglia: mi avete aiutato, tirato su, avete condiviso con me le vostre esperienze permettendomi di ampliare il mio piccolo bagaglio di conoscenze. Ad AcquaPortal, che mi ha concesso questa bella opportunità e che è stato fin da subito il mio punto di riferimento quando ho deciso di avventurarmi nel mondo dell’acquariofilia. |