Quando ci siamo avvicinati qualche tempo fa, per la prima volta, all’universo dell’acquariologia e della scienza oceanografica, eravamo pieni di entusiasmo e fiducia. Entusiasmo per la possibilità di ottenere (seppur tramite uno sforzo egoistico) un pezzo di natura nel proprio salotto ed avere la possibilità di osservare da vicino come la natura sommersa si esplica secondo le sue leggi e i suoi canoni. Fiducia nel poterlo fare e nel poterlo fare al meglio, soprattutto con l’ausilio di tanti altri pionieri che si erano avventurati su questo cammino. Oggi l’entusiasmo è sempre lo stesso, “impregnato” anche di una sorta di passione e amorevolezza che ha raccordato le nostre vite umane alla catena di lezioni di rispetto e amore che i nostri piccoli amici ci hanno insegnato. La fiducia è stata purtroppo più volte tradita a causa di tanta ignoranza e tanta squallida malafede commerciale in cui spesso ci siamo imbattuti. Questa colonna di articoli hanno questo scopo: rinfrancare lo spirito veritiero e genuino di chi ha imboccato il sentiero di Atlantide, cercando di dare conforto (ardua impresa) a coloro che, come noi, hanno lottato per non mollare tutto e che, nonostante tutto, ancora credono nel rispetto della vita e delle umane relazioni … e anche delle proprie finanze non sperperate nelle tasche di loschi personaggi. Oggi come primo argomento affronteremo l’infido e beffardo protagonista di molti acquari marini e le innumerevoli fiabe e i tanti miti che corrono sulla rete: il Cryptocaryon Irritans. Ciclizzare e cambiare vestito Il Cryptocaryon è un protozoo parassita obbligato che per compiere il suo ciclo vitale abbisogna di un ospite finale in cui trovare nutrimento e le condizioni per la sua riproduzione. Questo protozoo ha come tutti i parassiti un suo ciclo vitale, la cui comprensione è di vitale importanza per affrontare una cura nel migliore dei modi.
In natura purtroppo ci sono molti parassiti e tutti spesso hanno cicli vitali piuttosto complessi. Per fare un esempio il plasmodio della malaria umana è un protozoo anch’esso che necessita di un vettore nel suo stadio non infettivo (la zanzara) e un ospite finale in cui completare il suo ciclo (l’uomo). Anche il Cryptocaryon necessita di un ospite finale che nel nostro caso sono i pesci marini. Nello stadio di trofonte attaccato al malcapitato (dai 3 ai 7 giorni) il parassita si nutre dell’ospite stesso con azioni che possiamo paragonare ad un microcannibalismo e che, portando il protozoo a maturazione, gli consentono di distaccarsi dal pesce e completare un altro stadio del suo ciclo vitale(circa 15-20 ore).
Questo ciclo consiste nella formazione di una parete cellulare che via via si ispessisce fino a formare una cisti che si depositerà sul fondo dell’acquario o sulle rocce. La formazione delle cisti (tomonti, dai 3 fino a 28 giorni) hanno lo scopo di proteggere l’organismo durante la delicata operazione di ripetute scissioni che porteranno alla formazione di circa 200-250 organismi simili, in grado di liberarsi nell’acqua e pronti a colpire altri malcapitati (tomiti, emivita di 24-48 ore). Il processo di incistamento è il punto più importante per un discorso epidemiologico, poiché in questo stadio il parassita è quasi immune dall’attacco di farmaci e sostanze tossiche; quindi si capisce bene come ciò sia di rilevanza capitale in un approccio terapeutico. Non staremo a dilungarci troppo sul ciclo vitale del Cryptocaryon, poiché la rete è piena di articoli che lo descrivono, anche se molti di essi spesso sono inesatti e pericolosamente fuorvianti. Le migliaia di baggianate e imprecisioni che si trovano ci hanno spinto a creare una mappa del “VERO O FALSO”. Il Cryptocaryon esiste sempre in forma latente nell’acquario. FALSO! Il Cryptocaryon come abbiamo detto precedentemente è un parassita obbligato con bassa specificità; ciò vuol dire che i suoi “piatti di portata” sono tutti i pesci (bassa specificità) e che essendo “obbligato” ha necessariamente bisogno per la sua sopravvivenza di un organismo ospite (Colorni, 1987). Sembra che esista comunque una immunità innata ed una acquisita: alcuni pesci come i pesci farfalla (Chaetodontides) e i pesci chirurgo (Zebrasoma, Acanturidi ecc.) sono più predisposti a tale tipo di infezione, mentre altri come gli squali o i pesci mandarino (Callionymidae) sembrano possedere una immunità innata. Il ciclo vitale del C. Irritans impone la presenza di un ospite. Infatti i tomiti (chiamati teronti nella fase infettiva) se non trovano un organismo da parassitare entro le 24-48 ore dalla schiusa delle cisti, muoiono inesorabilmente e quindi se un acquario non possiede pesci per circa 4-6 settimane tutti i protozoi flagellati che circolano nell’acqua e che si schiudono dalle eventuali cisti formate in precedenza muoiono per assenza di ospiti. Quindi è fondamentale sapere che in un acquario sterile o sterilizzato dall’assenza di ospiti e da un’adeguata introduzione di pesci precedentemente quarantenati nel GIUSTO MODO, è impossibile che ci siano ancora presenze di C.Irritans, a meno che non si contamini l’acquario dall’esterno. In più come più volte confermato dagli studi di Colorni, Burgess, Matthews e altri, il C. Irritans è soggetto come tanti altri organismi ad un invecchiamento della linea cellulare. Tale processo è stato messo in evidenza da esperimenti di colture di C. Irritans appositamente “alimentate” che nel giro di 10 – 12 mesi hanno perso la loro capacità infettiva. Ciò sta a significare che l’invecchiamento delle generazioni cellulari susseguentisi all’interno di uno stesso ambiente chiuso, porta ad una naturale degradazione della linea cellulare madre che non è più in grado di possedere le caratteristiche infettive delle generazioni precedenti. Quindi un ambiente sterile o sterilizzato e una quarantena “SERIA”( 6 settimane) dei nuovi ospiti creano le condizioni necessarie e sufficienti per smentire la fiaba del parassita sempre presente. Inoltre gli esperimenti sull’invecchiamento delle linee cellulari rendono un ambiente in precedenza contaminato, con una popolazione di pesci che hanno acquisito una certa immunità nei confronti del parassita, presumibilmente libero nel giro di 12 mesi dalla prima introduzione. I pesci stressati si ammalano di C. Irritans. FALSO! Per quanto sia assodato che lo stress in tutti gli organismi superiori (compreso l’uomo) abbia un impatto nefasto sul sistema immunitario, tale affermazione rimane comunque falsa e tendenziosa. Per i motivi prima esposti, per quanto i pesci siano stressati e indeboliti immunologicamente, se il C. Irritans non è presente all’interno di un sistema resta IMPOSSIBILE esserne infettati. Oltre a ciò ci sono anche altre evidenze scientifiche che mettono in relazione infezioni anche in pesci perfettamente sani e non stressati. Non è mai stato scientificamente provato che tali pesci come il L. dimidiatus abbia un tale ruolo, ma sembra piuttosto che il pesce possa essere lui stesso oggetto di “attenzioni” da parte di C.Irritans. Oltre a ciò la dieta altamente specializzata di tale pesce che lo porta a sicura morte all’interno di un acquario, IMPONE un fermo e secco NO al commercio e all’acquisto di questo splendido animale. I bagni in acqua dolce e abbassare la salinità a 1017 uccidono il C.Irritans. FALSO! Le tecniche di bagni in acqua dolce tamponata a pH marino e l’abbassamento della salinità in vasche coralline sono molto pubblicizzate soprattutto da molti sedicenti esperti di oltre oceano che invitano a tali alchimie medievali nel caso in cui non si può quarantenare il pesce o per intraprendere strade più corte e facili, aggiungendo oltre al danno una evidente pericolosa disinformazione nelle future generazioni di acquariofili. Oltre all’evidente e pericoloso stress per il nostro povero amico, causato dello choc osmotico e il repentino cambio di concentrazione ionica che il bagno in acqua dolce causa e che in un organismo già debilitato può’ influire negativamente sulla immunità acquisibile, tale tecnica, sebbene sia di dubbia efficacia su alcuni trofonti esterni, è inutile, poiché i trofonti resistono anche molte ore in acqua dolce (Colorni). In più le tecniche di abbassamento della salinità in vasche di invertebrati fino a 1017 (d20/20) non danno alcun effetto poiché C. Irritans è stato visto vivere e proliferare anche a densità basse fino a 1012. L’unico effetto visibile è l’inesorabile declino dei nostri invertebrati e soprattutto degli Echinodermi. L’unico metodo veramente efficace è l’abbassamento secondo procedure collaudate della salinità fino a 12-14 ppt (densità 1009, d20/20) in vasche apposite senza invertebrati di cui parleremo dopo Una quarantena di 2 settimane in animali puliti rende quasi certa la mancanza di parassiti. FALSO! La pratica della quarantena per avere vasche sane e pulite, senza poi dover smontare pezzo per pezzo il nostro acquario per pescare i nostri amici malati, peggiorando il loro stato con ulteriore stress e ponendo la vasca a rischio, a causa dell’eventuale (parziale) riciclizzazione per l’esposizione delle rocce all’aria e conseguente boom di diatomee ecc., è e DEVE essere una metodologia senza compromessi. Non si deve trattare sulla sua durata come se ci trovassimo al mercato, visto che la posta in gioco è la vita di un essere che non dovrebbe certamente sottostare ai capricci di molti o peggio ancora alle stupide argomentazioni senza fondamento scientifico. Più e più volte mi sono imbattuto nei siti così detti specializzati soprattutto negli USA in affermazioni assurde. La quarantena di 2 settimane non mette al sicuro nessuno: né il pesce, né il vostro stress e né tantomeno il vostro portafogli. La mendace affermazione che se il pesce è “pulito” può essere considerato sicuro solo dopo 2 settimane è assurda per chiunque abbia una formazione scientifica e conosca ciò di cui sta parlando. A causa della natura a più stadi del parassita è impossibile determinare se il pesce abbia su di sé trofonti, poiché questi possono nascondersi dentro le branchie e avere delle dimensioni che non possono essere viste a occhio nudo, a meno che si dissezioni il pesce. Per cui niente sconti o sciocchezze come quelle scritte in questi siti che consigliano di accorciare la quarantena a 2 settimane, poiché per tempi più prolungati il pesce ne soffrirebbe. Una quarantena adeguata di 4 o meglio 6 settimane mette QUASI al sicuro da eventuali rischi figuriamoci 2 settimane. Meglio sarebbe associarla alla metodologia di seguito spiegata per avere un risultato certo. Non c’è alcun bisogno di diventare Buddisti per arrivare a rispettare la vita in ogni sua forma!! Il “tale” rimedio è efficace in vasche di barriera. FALSO! A tutt’oggi non si conoscono metodi sicuri ed efficaci in grado di sradicare il C. Irritans in vasche di barriere. Restano i nostri sforzi per rendere le condizioni dell’acqua ottimali, munire il nostro acquario di un Refugium, aggiungere vitamina C e aglio ai cibi come profilassi per un sistema immunitario più efficace e sperare nella normale immunità acquisibile dell’animale con una dieta varia e rimuovendo le cause di eventuali stress (incompatibilità tra animali, sovraffollamento, cattive condizioni biochimiche ecc.). Oltre a ciò se la popolazione di C. Irritans dovesse aumentare esponenzialmente a causa di una cattiva risposta immunitaria degli ospiti, l’unico rimedio è l’ospedalizzazione in vasche apposite per il trattamento, ricordandoci che tutto questo non sarebbe successo se si fosse optato per una quarantena vera ed efficace. Cure e metodi alternativi La necessità di cure per ciò che concerne l’eradicamento di questo parassita non solo nel commercio hobbistico, ma soprattutto per il commercio alimentare, pone delle nuove sfide e delle nuove frontiere. Oltre ai soliti e vecchi sistemi che non nascondono numerosi rischi per i pesci e per la salute umana ( rame, formalina ecc.) si stanno profilando nuovi approcci e il ripescaggio di vecchi sistemi che non solo hanno dimostrato una certa efficacia, ma soprattutto sono in armonia con l’habitat naturale dei nostri amici. Oltre all’uso della vitamina C nella dieta in colture di pesci per alimentazione (fino a 1000mg/Kg per 2 settimane) e all’uso non scientificamente ancora suffragato della stessa vitamina in soluzione nei nostri acquari (A. Thiel) che hanno dimostrato un discreto successo ancora da confutare in ambito sperimentale, ci occuperemo della tecnica dell’iposalinità (Colorni, e altri) che, se seguita con rigore e in vasche da ospedalizzazione, dà risultati certi, efficaci e soprattutto senza alcun rischio per l’animale. Negli ultimi tempi si sono fatti studi scientifici anche sull’uso dell’allicina, il componente più attivo dell’aglio, che ha dato ottimi risultati non solo sull’uccisione delle forme infettive (tomiti e teronti) di C. Irritans, ma anche sui tomonti, che sono le cisti incubatrici delle future cellule figlie infettive. La quantità di sostanza attiva da somministrare per tale scopo è talmente alta (65mg/L fino a 100mg/L) che purtroppo reca dei seri impedimenti all’utilizzo su grandi vasche. Inoltre non sono ancora presenti studi scientifici sulle eventuali ripercussioni nei confronti degli invertebrati, anche se le prime osservazioni sono incoraggianti. L’uso dell’aglio attraverso la somministrazione nel cibo e la sua efficacia devono ancora passare i tests di conferma scientifica. L’Arte La tecnica dell’iposalinità (adatta a tutti i pesci tranne: tutti gli invertebrati, squali e razze) prevede l’allestimento di una vasca apposita che conterrà una semplice spugna colonizzata da batteri (una spugna messa nella sump della vasca principale un mese prima sarà perfetta), un termometro, un riscaldatore e una pompa di movimento. Una vasca adeguata di quarantena andrà benissimo. La vasca andrà riempita con acqua salata preparata normalmente. Diciamo che partiamo da una densità tipica di 1025. E’ essenziale munirsi di un misuratore di salinità attendibile e adeguato con tavola di conversione, poiché come tutti dovrebbero sapere, la densità è influenzata dalla temperatura dell’acqua. Ottimo sarebbe reperire un misuratore ottico (rifrattometro) che è possibile acquistare oggi a prezzi stracciati (soprattutto in Germania via Internet come ho fatto io) e che ha il merito di essere preciso e soprattutto autocompensante per la temperatura. Lo scopo è quello di abbassare la densità in modo non troppo rapido per non destabilizzare i batteri nel filtro biologico, creando pericolosi picchi di ammoniaca e nitriti che possono essere fatali. Quindi supponiamo di partire da una densità di 1025-1027 (35 ppt) che è quella naturale nei reef, si aggiunge ogni 24 h un quinto (1/5) del volume totale della vaschetta allestita di acqua dolce, preparata precedentemente con un sistema ad osmosi inversa, aerata e tamponata con un buffer normale in commercio, per portare il pH e la durezza carbonatica a valori standard. L’uso di bicarbonato di sodio da solo non è auspicabile, a meno che si aggiunga ad esso un preparato di carbonati e borati. Questo eviterà eventuali e futuri abbassamenti pericolosi del pH. Ovviamente prima di ogni aggiunta di acqua dolce si toglierà la stessa quantità di acqua salata. In questo modo nel giro di 3 o 4 giorni si arriverà ad una densità di circa 1010-1012 che potrà essere corretta dopo poche ore fino ad arrivare alla densità richiesta di 1009 (12-14ppt). Questa densità dovrà essere mantenuta per 4 settimane, molto meglio e più sicuro 6 settimane, stando attenti alle eventuali fluttuazioni della salinità dovute alla normale evaporazione che andranno corrette prontamente, come accade in un normale acquario. In più si controlli periodicamente il pH. Il pesce andrà alimentato normalmente e il passaggio ad una salinità più bassa eviterà ulteriori stress biochimici. Infatti i pesci sono costretti tramite un complesso sistema di pompe ioniche a bilanciare la salinità esterna che in natura è piuttosto alta. Il porre il pesce in condizioni di salinità più basse rendono meno dispendioso il bilancio bioenergetico del nostro ospite, offrendo una situazione più vantaggiosa per il suo sistema immunitario. Inoltre la temperatura dell’acqua non dovrà eccedere i 25 gradi centigradi, poiché a temperature più basse l’ossigeno disciolto risulta più disponibile. Inoltre le alte temperature possono aumentare il metabolismo del pesce, causando ulteriore stress biochimico. E con questo è tutto. Se adotterete questa tecnica di ospedalizzazione e soprattutto di quarantena, eviterete pericolosi avvelenamenti di sostanze tossiche come il rame che oltre a poter uccidere il pesce, se non correttamente dosato e continuamente monitorato, può indurre un abbassamento dell’immunità naturale del pesce con conseguente compromissione dell’immunità acquisita e soprattutto stravolgere i sistemi interni dei pesci (flora batterica ecc.) che indeboliscono le naturali capacità difensive e di adattamento. Inoltre alcuni pesci come i pesci angelo sono troppo sensibili al rame da esserne uccisi. Usate questa metodologia anche e soprattutto per la quarantena di nuovi acquisti e i nostri pesci e tutto il loro piccolo Habitat ne godranno. E noi, forse, ci sentiremo un po’ meno in colpa per averli strappati al loro mondo. Per informazioni e chiarimenti sentitevi liberi di scriverci: carcla2003@libero.it |
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Mi sa dire quanto tempo ci mettono i parassiti a “sparire” dalla pelle se si usa il metodo di iposalinità?