I l mio “approccio” alla specie: PREMESSA: C’è vita – più che mai nella Rift Valley – oltre il Lago Malawi ed ovviamente, non ho resistito ad andare a curiosare, optando per una specie tutto sommato non così diffusa. Ne parlo nelle righe che seguono … La mia conoscenza del genere Ophtalmotilapia è stata del tutto casuale, e la successiva convivenza con loro non scevra da “inconvenienti”. Anni fa ebbi modo di assistere ad un video che riprendeva le O.v. in ambiente naturale e quando, successivamente, alla “borsa pesci” di un convegno AIC ebbi modo di trovarne una coppia non persi l’occasione di assicurarmele (incoraggiato anche dal prezzo “formale” a cui mi furono cedute); arrivato a casa le ospitai in una vasca (aperta) da 200 litri, in condominio con due grossi loricaridi. Nel giro di 24 ore entrambe le O.v. “saltarono” fuori dalla vasca!!! Sconforto … Col senno “di poi” mi viene da incolpare la convivenza “sub-ottimale” cui sono state da me, maldestramente, costrette. La verità “vera” però non la saprò mai, ma andiamo avanti … Dopo questo infelice esordio nulla accadde per lungo tempo, mentre la mia attività con altri ciclidi procedeva ed io mi documentavo in materia; poi – nuovamente ad un convegno AIC – trovai una coppia adulta di O.v., stavolta “Mpimbwe”, che non mi lasciai sfuggire. Ma anche questa non era la volta “giusta”: malgrado tutte le accortezze adottate la femmina non sopportò il trasferimento (in auto) sino a Roma. Successivamente, essendo rimasto in contatto con chi mi aveva fornito la la coppia “originaria”, organizzai un “raid acquariologico” (in Piemonte) per acquisire altri sei esemplari giovanili; i quali nonostante un “trasporto espresso” (in aereo TO-RM, in cabina con me, allora si poteva!!!) registrarono la perdita di due esemplari nelle ore immediatamente successive alla loro immissione in vasca, effettuata, ovviamente, con tutte le attenzioni del caso. Comunque questa volta, finito l’acclimatamento, arrivai ad ad una situazione stabile, così configurata: un maschio adulto, che ho ribattezzato “Grande Capo” e quattro esemplari giovani. Dalle mie esperienze di “trasporto” ho sviluppato il convincimento di una particolare sensibilità al tenore di ossigeno nell’acqua da parte di questi pesci e, anche se non ho altri riscontri in materia, mi sono, comunque, premurato di installare un sistema di areazione in vasca.
Il lago Tanganica, ovvero dove vivono le Ophtalmotilapia: Per rendere l’ idea della dimensione del lago Tanganica P. Brichard “suggerisce” un lago che si estende da Parigi a Marsiglia, geograficamente esso è situato in quella zona dell’Africa, nota come Rift Valley, che si estendente dal Mar Rosso, attraverso la depressione della Dancalia, sino al Mozambico, per complessivi oltre 5000 chilometri. Le acque del lago (abbastanza “sui generis” anche in un ambiente assai peculiare come la Rift Valley ) hanno le seguenti caratteristiche salienti:
La attuale conformazione del lago Tanganica fece avanzare a P. Brichard l’ipotesi, non accettata “in toto” da altri, di due (o tre) “protolaghi” successivamente riunitisi a seguito di movimenti della crosta terrestre e quindi, in epoca ancora più recente (ma sempre in tempi geologici) si è giunti alle attuali dimensioni. La particolare conformazione del lago e le caratteristiche chimico-fisiche delle sue acque limitano la presenza di forme vitali ai primi 250 metri di profondità (profondità massima registrata nel lago m. 1470), la genesi geologica del lago (la cui evoluzione che, a grandi linee, ricorda quella del Lago Malawi) ha generato, come conseguenza della “barriere ecologiche” inibenti la progressiva colonizzazione del fondo, forme di marcato endemismo intralacustre in costante ma lenta evoluzione (ovvero specie presenti, solo e soltanto, in una ben specifica area del lago). Tale situazione limita di fatto, e divide marcatamente, gli areali di distribuzione delle specie all’interno del lago. Tutti i ciclidi attualmente presenti nel lago Tanganica discendono (o sembrano discendere) da uno, o da pochi, “olotipi fondamentali” viventi a suo tempo nel/nei “protolaghi” originali. Queste caratteristiche peculiari dei biotopi lacustri e delle specie che li popolano vanno tenute in considerazione scegliendo i pesci da immettere nella nostra vasca evitando di ospitare, in ambienti forzatamente “ristretti”, esemplari con livree simili e/o caratterizzati da una elevata “compatibilità genetica latente”, i quali, liberi dalle “influenze” esercitate dalla morfologia naturale dell’ambiente di origine darebbero vita ad ibridi “dubbi” per livrea e per caratteristiche genetiche oltre che destinati a creare ceppi “spuri” presenti solo in cattività e privi di qualsiasi riscontro con l’ambiente naturale. Questo discorso sulla ibridazione porterebbe lontano e non è questa la sede per approfondirlo, mi limito a segnalare che in natura simili ibridazioni sono altamente improbabili ed ogni ciclidofilo “serio” dovrebbe agire in modo da rispettare rigorosamente un simile “dettato” naturale. La vasca di allevamento, dettagli tecnici e suo allestimento: Ho immesso i cinque protagonisti di questo scritto in una vasca da 300 lt lordi (cm 120x50x50); la cui particolare conformazione con altezza e profondità abbastanza elevate rispetto alla lunghezza mi ha consentito di ottenere una ampia porzione di spazio da destinare al nuoto, esigenza fondamentale per il genere in questione. L’arredamento della vasca consiste in pietre (lava, ciottoli di fiume, rocce basaltiche) e pochissime – tra l’altro opinabili in termini di congruità con il biotopo naturale – radici. Il tutto era configurato come due gruppi separati e distanti in modo da offrire differenti, per numero e tipologia, rifugi agli ospiti oltre a dividere, marcatamente, la vasca in due territori. Al fondo era disposto ghiaietto di piccole dimensione che le O.v. “piluccano” continuamente alla ricerca di particelle di cibo, si è anche dimostrato ottimo per la preparazione dei “nidi” all’atto della riproduzione. Rustica, come sempre nelle vasche di ciclidi, è la dotazione di servizi tecnici: A) Filtro interno a tre scomparti (caricato, nel vano centrale, con cannolicchi di ceramica, bio-ball, ovatta sintetica, con aggiunte, se necessario per limitare la sospensione, di carbone attivo), servito da una pompa da 1000 lt/h. B) Pompa aria servente due pietre porose, rispettivamente, una in vasca ed una nel vano pompa del filtro, per tenere alto il tenore di O 2 dell’acqua, specie nei mesi caldi quando la temperatura tende ad avvicinarsi ai i 30° C, limite sicuramente critico per i ciclidi del Lago Tanganica. C) Riscaldatore – esagerato – termostatato da 300 Watt, temperatura target dell’acqua 24° C (circa). D) Illuminazione tramite due lampade da 30 Watt (Aquastar), con fotoperiodo di circa 10 ore abbondanti. E) Cambio dell’acqua ogni 20 giorni circa: 80 litri trattati con un buon biocondizionatore. Sarebbe forse meglio – potendo – effettuare cambi più modesti (in quantità) e più frequenti (in cadenza), ma i mie pesci non mi sembra ne abbiano avuto a soffrire. I l genere Ophtalmotilapia, andiamo un po’ in dettaglio: Come tutti i rappresentanti del genere Ophthalmotilapia anche O. Ventralis Mpimbwe è endemica del Lago Tanganica. Gli esemplari da me allevati, già nati in cattività, sono originari della costa della Tanzania e più precisamente di Cape Mpimbwe (situato nella parte meridionale del lago; luogo da cui prendono il nome). Vivono, in natura, in un habitat fatto di ampie distese sabbiose alternate ad ammassi rocciosi (ricordarsene in fase di arredamento della vasca). P. Brichard considerò, a suo tempo, il genere Ophtalmotilapia molto affine a Cunningtonia e Cyathopharinx ipotizzando anche il possibile accorpamento, dopo ulteriori approfondimenti, delle tre specie in un unico genere. Non mi risulta ciò sia accaduto, allo stato attuale delle conoscenze il genere Ophtalmotilapia comprende: O. nasuta (o nasutus secondo alcuni); O. ventralis; O. boops (secondo certe letture anche il genere O. heterodonta, da altri considerato un sub-genere) le cui differenze, oltre a varianti cromatiche della livrea, sono minime. Vengono infatti proposte come chiavi di classificazione (crf. sempre P. Brichard) il differente numero di scaglie sulla linea longitudinale; disposizione/conformazione di alcune ossa del cranio; forma/disposizione di alcuni denti nell’arco mascellare, e precisamente: O. Nasuta: 39 scaglie sulla linea longitudinale, 36 scaglie sulla linea laterale superiore, muso stretto e “proboscidato”, spazio interorbitale convesso o dritto, denti a spatola sulle linee interne dell’arco mascellare. O. Ventralis: 33-37 scaglie sulla linea longitudinale; 33 scaglie sulla linea laterale superiore, spazio interorbitale convesso (ossa sopraorbitali rialzate), denti conici sulle linee interne dell’arco mascellare. O. Boops: 62-74 scaglie sulla linea longitudinale. Le caratteristiche morfologiche di questo pesce ne fanno, in natura, un buon nuotatore, ciò comporta la necessità di utilizzare per il suo allevamento vasche molto ampie, la mia vasca si può quindi considerare piccola o, comunque, il “minimo sindacale” per un allevamento consono alle esigenze delle O.v., magari limitando il numero degli altri ospiti come io ho fatto. Ophtalmotilapia Ventralis Mpimbwe, parlando di endemismi “intralacustri”: La taglia degli esemplari adulti di O.v. Mpimbwe, in natura, dovrebbe aggirarsi sui 12- 13 cm per i maschi (vedi foto) e 10-11 per le femmine. I maschi, oltre che dalla colorazione di base grigio-argentea tendente al nero, ed attraversata da una striscia turchese, sono caratterizzati dalla particolare lunghezza delle pinne ventrali, che terminano con delle palette di colore giallo luminoso. In fase di corteggiamento e riproduzione il maschio (il mio, almeno) assume una livrea che privilegia, enfatizzandoli, i colori nero e turchese unitamente al giallo presente al termine delle già menzionate lunghissime pinne ventrali. Descrivo ora il comportamento, in vasca, delle mie O.v. Mpimbwe (come detto allevate in un gruppo di cinque, un nucleo numericamente modesto ma già in grado, nel tempo, di “gerarchizzarsi”): La posizione di partenza vede in vasca Grande Capo, il maschio adulto facente parte della prima coppia e quattro esemplari più giovani. Il primo maschio, per una serie di vicissitudini molteplici, è stato allevato per parecchi mesi da solo – ovvero senza con specifici – condizione da evitare assolutamente, anzi andrebbe anche evitato, per quanto possibile, l’allevamento di una coppia unica. In questo periodo ha preso l’abitudine di considerate, ovviamente, tutta la vasca come territorio suo. L’arrivo dei nuovi ospiti ha provocato, quindi, un parapiglia incredibile con grande sfoggio di livree “da parata” per mantenere, e dimostrare, la sua posizione di preminenza. La conformazione delle rocce della vasca ha comunque, rapidamente, portato ad una situazione di equilibrio con il maschio adulto proprietario delle “acque aperte”, e del fondo (dove successivamente avverrà la riproduzione) e le altre O.v., assieme agli altri ospiti, a dividersi le rocce e gli spazi limitrofi, tutto sommato in armonia. Ove possibile, può essere interessante allevare più di un maschio (vasca grande) per poter osservare i combattimenti ai limiti dei territori interessanti dal punto di vista comportamentale. I maschi vigilano, infatti, sul loro territorio e quando due di essi si trovano sul confine, uno di fronte all altro, aprono tutte le pinne minacciandosi. Quando questo non basta e nessuno dei due retrocede, ha inizio il combattimento durante il quale i due contendenti cercano di mordersi la bocca a vicenda. Al contatto le bocche si stringono come morse una all’altra e i due pesci spingono con tutta la forza nella direzione opposta. Di solito dopo pochi minuti sono esausti e tornano ai rispettivi territori senza che sia – in concreto – cambiato nulla. Nel caso di marcata superiorità di uno dei contendenti lo sconfitto, decolorandosi, fa dimostrazione di sottomissione al maschio che diverrà, da quel momento, dominante, e che per rimarcare la sua superiorità farà sempre sfoggio della sua miglior colorazione … in seguito gli “incidenti” diminuiscono di frequenza ed intesità. Per quanto riguarda le femmine è bene siano numerose, in modo da ripartire tra di esse le attenzioni dei maschi. Tra le pareti dell’acquario, infatti, le femmine sono sempre vicine ai maschi, che le inseguono e le stressano corteggiandole animatamente. In natura, al contrario, come riportato dai sacri testi, le femmine si avvicinano ai nidi soltanto quando sono pronte per l’accoppiamento, e successivamente si ritirano formando un branco in zone tranquille.
Cosa che la mia riproduttrice ha puntualmente fatto isolandosi “scortata”, per così dire, da quelle che ritengo altre due femmine mentre il quarto esemplare del gruppo dei giovani, probabilmente un giovane maschio “dominato”, si teneva, discretamente, da parte per non incorrere nelle ire di Grande Capo. In condizioni di elevato stress ci sono casi in cui la femmina abbandona le uova dopo pochi giorni di incubazione; ed ancora, in altri casi, i maschi costretti a scacciare i numerosi pesci che insidiano i loro territori non riescono a fecondare le uova. Sono due aspetti da tenere presenti scegliendo gli altri ospiti della vasca. Infatti, essendo le O.v. pesci facilmente “stressabili” particolare attenzione va posta, come ho dovuto constatare di persona, nella scelta degli altri ospiti. Nella prima fase dell’allevamento sono stato “costretto” (anche con più vasche a disposizione ci sono, talvolta, problemi di spazio!) a tenere nella vasca un Plecostomus di 32 (!!) cm e, guarda caso, tra i due “coniugi” nulla è successo. Allontanato il colosso quando la compagnia, molto più discreta, si è limitata a 5 Cyprichromis Letptosoma Utinta e 3 Neolamprologus Multifasciatus solamente Madre Natura ha seguito, finalmente, il suo corso. La presenza di alcune grosse Ampullarie (3) non è mai stata considerata un intralcio almeno sinché non attraversano il “nido”, nel qual caso Grande Capo reagiva con veemenza portando le medesime “di peso” in zona dove non erano più ritenute di intralcio. Nei confronti degli altri Ciclidi presenti in vasca il comportamento del maschio dominante è sufficientemente tollerante, a meno che i Cyprichromis nuotando in acqua aperta, come loro costume, non si portino in zone che egli considera “off limits” (sopra, molto vicino al nido) da cui vengono immediatamente allontanati con fiero cipiglio, ma “l’incidente” finisce subito dopo. L’alimentazione in acquario di questi pesci non presenta difficoltà alcuna (in natura l’alimentazione è costituita essenzialmente da plancton e da particelle vegetali) ove si usi l’accortezza di utilizzare alimento a “forte granulazione” che essendo costituito da particelle piccolissime, viene assimilato poco per volta, evitando così le pericolose occlusioni intestinali a cui le Ophthalmotilapia possono essere soggette. Problemi più grandi sembra presentino i soggetti selvatici, i quali, a volte, rifiutano ogni genere di cibo surgelato o liofilizzato. Il problema, in questo caso, pare risolvibile soltanto somministrando loro del cibo vivo come il plancton (che però rappresenta un pericolo perchè può introdurre in vasca elementi patogeni). Non ho esperienze dirette in materia ma comunque questo mi sembra un valido argomento a favore della scelta di allevare pesci riprodotti in acquario.
Ophtalmotilapia Ventralis Mpimbwe, la riproduzione: Veniamo, da ultimo, alla mira neanche troppo segreta di ogni buon ciclidofilo che si rispetti: la riproduzione: A seguito dell’allontanamento del Plecostomus, mossa che ritengo fondamentale, ed una blanda somministrazione di un prodotto il cui scopo dovrebbe essere quello di stimolare la riproduzione sono iniziate le “grandi manovre”; con lo scavo di una buca (diametro di circa 10/12 cm, contro i quasi 30 riscontrati in natura) al centro della zona libera del fondo, e successivamente di una seconda buca adiacente ad essa (forse la prima non era “adatta”?) con allontanamento degli altri ospiti (confinati negli strati alti della vasca o, e parlo di NL Multifasciatus, nelle conchiglie). Il corteggiamento comporta, come detto, una vivacizzazione delle componenti nere e turchesi della livrea ed un nuoto, a tratti, estremamente caratteristico che definirò “a serpente”. Grande Capo dopo parate dimostrative eseguite nella vasca di fronte alle rocce dove albergavano le femmine. chiudeva tutte le pinne e ondeggiava facendo serpeggiare il corpo come un serpente, portandosi in prossimità del nido. L’operazione si ripeteva fino a che una femmina riteneva ad accostarsi al nido, mostrandosi in questo modo disponibile alla riproduzione. Per quanti sforzi abbia fatto, mio malgrado, non sono riuscito ad assistere al “momento topico” della deposizione … Infine un bel giorno noto un profilo particolarmente “intrigante” anche se appena accennato (ed infatti la “resa numerica” sarà, all’atto pratico, ridottissima). E’ interessante notare come l’utilità delle palette gialle del maschio durante la deposizione è soggetta a diversa interpretazione da parte degli esperti. Secondo alcuni (P. Brichard) non vengono scambiate per un esca dalle femmine. Altri al contrario (Ad Konings) garantiscono che le femmine sono attratte da queste palette quando devono fecondare le uova prese in bocca precedentemente. La femmina che poi si dimostrerà gravida, scortata da altri due esemplari (femmine anch’esse, credo), ha assunto in questi frangenti un comportamento più schivo, ma senza scomparire completamente alla vista, cosa che mi ha agevolato il controllo della situazione non avendo potuto osservare direttamente la deposizione. In un primo momento, sono rimasto perplesso osservando la femmina presunta gravida ingerire piccole particelle di cibo. Non saprei dire se lo facesse per se o per gli avannotti, quindi successivamente alla schiusa delle uova. Contando ansiosamente i giorni, durante i quali ho allestito con la massima cura che mi riusciva la vasca di crescita, arrivo al termine dell’attesa quando con molta fatica, rovistando al buio tra le rocce della vasca, “pesco” la femmina che appena vistasi nel retino “sputa” il suo prezioso tesoro. Facendo “due conti”, pur non avendo assistito alla deposizione posso provare ad ipotizzare un periodo tra la deposizione e la fuoriuscita dalla bocca della madre vicino alle quattro settimane, il che significa una delle gravidanze più lunghe cui ho assistito tra i ciclidi, almeno tra quelli allevati di persona. Il maschio, durante questi giorni, ha fortemente ridotto la sua esuberanza limitandosi ad esibizioni di “routine” volte, credo, più che altro a confermare il suo predominio sugli altri ospiti della vasca, specie nei confronti di quello che, con il passare del tempo, si palesò come un secondo maschio.
I nuovi nati: Il primo parto che ho ottenuto non ha avuto una resa numerica elevata (anzi!): solo quattro avannotti, tutti fortunatamente in buona salute. Alla nascita i quattro misurano circa 1 cm, tanto da porre la ovvia domanda su dove la madre, al primo parto e molto giovane (6/7 cm ca.), li tenesse. Caratterizzati da una livrea argentea uniforme e da un fisionomia estremamente allungata i quattro, dimostratisi subito ottimi nuotatori ed amanti, in assenza di “minacce”, delle acque libere sono stati alloggiati in una, delle due, vaschette da svezzamento di cui dispongo, con una capacità di circa 35 litri lordi, servita da un riscaldatore termostatato da 25 Watt, utilizzante una lampada da 15 Watt con fotoperiodo di durata, ovviamente, omologo a quello della vasca dei genitori. Il filtraggio avviene mediante un filtro sottosabbia servito da una pompa ad immersione da 400 lt/h assicurante, quindi, un buon movimento di acqua. L’arredamento è ridotto al minimo ghiaia al fondo ed alcune piccole pietre, coperte di alghe che i piccoli hanno preso da subito a brucare. Queste alghe, forse antiestetiche, hanno la funzione, importantissima, di fornire un alimento naturale ed a “misura di bocca” sempre disponibile per gli avannotti, condizione ottimale quando gli impegni, lavoro od altro, costringono ad assenze di molte ore. L’alimentazione dei nuovi nati, una volta prestata attenzione alle piccole dimensioni della bocca non presenta, in ogni caso, difficoltà. Accettano da subito mangime secco per avannotti, cibo surgelato per il quale è bene privilegiare quello a base vegetale e cibo vivo: naupli di artemia salina appena schiusa; preziosi nei primissimi giorni di vita per la loro dimensione ridottissima e quindi facilità di assunzione. La crescita non velocissima ma costante, è caratterizzata nelle fasi iniziali, dall’irrobustimento della struttura corporea rispetto all’accrescimento dimensionale. Conclusioni. Non è un pesce facilissimo ma neppure “impossibile”. Non presenta, infatti, difficoltà intrinseche di allevamento: mangia quasi tutto, non ha pretese esasperate circa la qualità dell’acqua, o l’arredamento della vasca o lo spazio (ovviamnet entro certi limiti!!!) richiesto ma, al tempo stesso, manifesta comunque alcune esigenze irrinunciabili da valutare nella giusta ottica per evitare insuccessi, che costringono l’allevatore ad “impegnarsi” un po’ più della norma, quali: abbondante spazio disponibile, buon filtraggio, acqua pulita contraddistinta da un elevato tenore di ossigeno, altri ospiti in vasca “discreti” e poco invadenti. Offre in cambio un comportamento in termini di gerarchia, socializzazione interspecifica ed intraspecifica, comportamenti riproduttivi, oltremodo interessante e le richieste, tutto sommato di semplice soddisfazione, che Ophtalmotilapia ventralis Mpimbwe presenta mi sembrano un prezzo che vale la pena di pagare! |
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