Importanza di ambiente e gestione: parametri, motivazioni e considerazioni. Glossario per comprendere meglio: – Location: posizione geografica definita da cui sono stati prelevati gli esemplari che hanno dato origine a un determinato ceppo. PREMESSA Capita spesso che in molte discussioni, ad obiezioni circa valori dell’acqua, allestimento, compagni di vasca non consoni alle specie allevate (o coltivate), venga risposto: “ma sono di allevamento e non hanno mai visto il loro ambiente naturale, non posso tenerli a valori intermedi o a valori che non solo quelli in natura?”. La replica è una sola: no. I motivi, invece, sono elencati di seguito. L’EVOLUZIONE E LA SELEZIONE CONCETTO DI SPECIE Chiariamo quindi per prima cosa che cos’è una specie. – sono simili (criterio morfologico, Linneo 1758) La specie, definita dalla sua esclusiva costituzione genetica è inoltre isolata riproduttivamente da altre specie. Ricordo inoltre per completezza che dobbiamo cercare di tutelare anche le divisioni intraspecifiche, mantenendo isolate le popolazioni diverse location. Austrolebias wolterstorffi “Canal Andreoni” Uruguay. (foto di Marco Vaccari) Austrolebias wolterstorffi “Porto Alegre” Brasil.(foto di Marco Vaccari) Due esemplari di una sola specie ma di popolazioni diverse, è importante mantenere in purezza la popolazione. LE CONDIZIONI IN NATURA Ogni organismo, compreso ogni pesce, invertebrato, anfibio, pianta, si è evoluto in natura in un determinato range di pH, durezza, salinità, temperatura,concentrazione di ossigeno disciolto, granulometria e tipo di fondo, luminosità, ambratura dell’acqua, che hanno condizionato la sua evoluzione, anche e soprattutto in termini di biochimica cellulare e comportamento. Ad esempio, nel caso di alcuni organismi come le Caridina multidentata (ex japonica), l’adattamento all’ambiente in cui questi si sono evoluti li ha portati a necessitare di acqua con caratteristiche diverse a seconda dello stadio di sviluppo in cui si trovano. Badate bene, evoluzione, non adattamento ad una situazione temporanea: si sono plasmati a seconda dell’ambiente. Alcune specie possono adattarsi a range di parametri più ampi, altre hanno necessità di range più ristretti. Bisogna infatti fare attenzione e distinguere tra evoluzione, adattamento e acclimatamento (o acclimatazione). Un discorso simile può essere fatto per le dimensioni della vasca, pesci di dimensioni molto ridotte ma grandi nuotatori mal si adattano a vasche di dimensioni ridotte, tipico esempio sono i piccoli Caracidi come i Neon (Paracheirodon innesi), che necessitano acquari di lunghezze sostenute dove poter nuotare in gruppo, mentre molti Ciprinodontidi si sono evoluti per crescere e riprodursi in piccole pozze. Per cui ogni specie ha sviluppato determinate caratteristiche fisiologiche in funzione dell’ambiente in cui si sono evolute.
LA FISIOLOGIA DELL’OSMOREGOLAZIONE La differenza tra la concentrazione di sali di disciolti nelle cellule dei tessuti del pesce e la concentrazione dei sali disciolti nell’acqua in cui questo vive, crea un pressione osmotica. L’acqua marina ha una concentrazione di sali tali (indicativamente un 35 per mille di sali) sufficiente a sostenere la vita, per cui in acqua marina alcuni organismi sono conformisti osmotici con liquidi isosmotici (molti invertebrati marini) altri sono non- conformisti osmotici (osmoregolatori) con i liquidi dei tessuti iposmotici (osteitti marini) o iperosmotici (squali e razze). Le specie dulciaquicole (acqua con indicativamente 1 per mille di sale) devono sempre rimanere iperosmotiche rispetto all’acqua per mantenere attivo il metabolismo cellulare. Le specie che sono adatte a tollerare un ristretto range di salinità sono dette stenoaline, mentre le specie che tollerano una notevole variazione di salinità sono dette eurialine. La maggior parte degli animali (tutti i pesci) dulciacquicoli spende energia per pompare acqua in eccesso dai liquidi organici nell’ambiente e per trasportare attivamente i sali dall’ambiente esterno all’interno del corpo. Non bevono acqua, bensì acquistano acqua per osmosi dalle branchie e ingerendo alimenti. Il loro rene funziona come una pompa idraulica, producendo ogni giorno una massa di urina diluita pari a circa 1/3 della massa corporea. Le cellule assorbenti ioni cloruro, situate nelle loro branchie sostituiscono i sali perduti perchè disciolti nell’urina, e sali essenziali vengono alimenti estratti anche dall’alimento. Le cellule assorbenti ioni cloruro trasportano attivamente (con impiego di energia) gli ioni Cl- e Na+ all’interno dei tessuti, questo trasporto è associato alla eliminazione dei prodotti di rifiuto del metabolismo: E’ evidente che in un pesce che vive in acque tenere impiega più energia per l’osmoregolazione, energia che viene compensata dalle minori energie spese per la difesa immunitaria mentre un pesce che vive in acque dure impiega meno energia per l’osmoregolazione, ma necessita di difese antibatteriche più dispendiose. Infatti, oltre che dalla temperatura, la crescita di un microrganismo (anche di quelli patogeni) è influenzata dal pH e da una concentrazione di sali tipica per ogni microrganismo. I microrganismi quindi si sono evoluti parallelamente a i loro ospiti. Posto che batteri diversi comunque si sviluppano in tutte le situazioni anche le più estreme del pianeta, in acqua tenera ed acida comunque vi è uno sviluppo di microrganismi, generici e patogeni, minore rispetto ad una acqua dura e basica. Un’altro aspetto che è bene evidenziare, nei pesci evolutosi in acque ricche di sali i sistemi di assimilazione di tali sali tramite l’alimentazione hanno importanza minoritaria rispetto l’approvvigionamento dall’acqua in cui sono immersi. Mentre i pesci che si sono evoluti in ambienti poveri di sali disciolti sono stati costretti ad aumentare l’efficienza dell’estrazione dei sali dall’alimentazione. Va da sé che un pesce evolutosi in acqua dura posto in acqua tenera crescerà malformato o comunque con problemi metabolici.
L’EVOLUZIONE L’evoluzione implica un cambiamento, nel corso delle generazioni, del patrimonio genetico di una specie, attraverso mutazione casuali , statisticamente una ogni 10.000 individui nei virus, fino a una ogni 100.000.000 mutazione/gene/generazione per gli animali superiori; se la mutazione avviene a livello dei gameti (spermatozoo e ovulo), l’individuo che si sviluppa dalla fecondazione può manifestare la mutazione se l’allele mutato è dominante, non mostrarla se recessivo, o mostrarla solo in parte se a dominanza incompleta. La mutazione può anche interessare una parte di Dna che non codifica informazioni, quindi non ha effetti. Se la manifestazione si manifesta ed è positiva, l’individuo si riproduce con successo e la passa alla progenie che a sua volta si riprodurrà con maggiore successo; se negativa l’individuo viene stroncato dalla selezione naturale o comunque le riproduzioni saranno svantaggiate nell’ambiente, il che porta alla sparizione della mutazione dall’ambiente più o meno velocemente a seconda di quanto svantaggiosa è la mutazione. La selezione non è comunque l’unica forza in campo nell’evoluzione, esistono altri fattori come l’accoppiamento preferenziale, l’effetto collo di bottiglia, l’inbreeding, che comunque influenzano il pool di alleli di una popolazione. Questo comporta cambiamenti nel genotipo di una specie ed il formarsi, attraverso isolamenti geografici e/o ecologici, ad eventuali altre specie partendo da un’unica. Un esempio di quest’ultimo fenomeno è la radiazione adattativa, con la quale una specie iniziale colonizza un ambiente eterogeneo (cioè ricco di habitat e variabili ambientali) e grazie a mutazioni e alla selezione naturale, si formano nuove specie, ognuna occupante una precisa nicchia ecologica. I grandi laghi africani (Tanganica, Malawi e Vittoria) ne sono una testimonianza evidente: in poco più di 10.000 anni di vita del lago Tanganica (nulla, se rapportato alla storia della terra e ai tempi dell’evoluzione) si sono formano quasi 300 specie solo all’interno della famiglia dei Ciclidi. Questo è quello che avviene in natura, con popolazioni sottoposte alla pressione selettiva dell’ambiente.
ACCLIMATAZIONE E ADATTAMENTO L’acclimatazione e l’adattamento invece passano per la plasticità fenotipica (intra ed extraspecifica), ossia la potenzialità di un dato genotipo (di una data specie) di produrre espressioni fenotipiche diverse in condizioni ambientali differenti. Più eterogeneo è l’areale di distribuzione di una specie, maggiori sono le probabilità di una variabilità genetica, da cui dipende la plasticità dei caratteri morfologici e fisiologici della stessa.
Una maggiore plasticità fenotipica è così il risultato della selezione in ambienti caratterizzati da condizioni più eterogenee, mentre al contrario, una bassa plasticità fenotipica è indice di una strategia specialistica, che si determina in condizioni ambientali particolari. Esempio: un panda vive benissimo in mezzo alle foreste di bambù, ma senza il bambù si estingue rapidamente perchè non saprebbe che altro mangiare (bassa plasticità fenotipica e strategia specialistica). Un ratto riesce a vivere negli ambienti più disparati (alta plasticità fenotipica e strategia generalista). La stessa specie umana presenta una strategia generalista. Faccio una precisazione: il fenotipo di una specie non si limita solo alle caratteristiche “esteriori” e quindi visibilmente riscontrabili, ma a tutte le sue espressioni derivanti dal genotipo. Il gruppo sanguigno, ad esempio, pur non essendo riconoscibile “esteriormente”, fa comunque parte del fenotipo di un individuo. Stesso discorso per le facoltà intellettive e comportamentali (vedi la selezione operata dall’uomo sul cane per l’intelligenza, l’obbedienza o particolari capacità). La differenze poi tra acclimatamento e adattamento stanno nel fatto che il primo fenomeno coinvolge l’individuo (non la specie) e riguarda solo il fenotipo, non toccando minimamente il corredo cromosomico, mentre l’adattamento è una modificazione sia del fenotipo che del genotipo (intra o extra specifico che sia). Per fare un esempio comprensibile : se noi Italiani andassimo a soggiornare qualche mese in Ecuador, a 3000 m di quota, dopo qualche tempo i nostri globuli rossi “tenderebbero” a diventare più piccoli e numerosi (acclimatamento ad un’atmosfera più rarefatta), con modificazioni anche del sistema endocrino, polmonare e muscolare. Ma una volta ritornati a casa, tutto tornerebbe come prima. E anche se facessimo un figlio in Perù, il suo genotipo sarebbe uguale al nostro (crossing-over a parte). Gli Ecuadoregni invece, che lì ci vivono da migliaia di anni, tutti quegli adattamenti li hanno già (adattamento intraspecifico). E lo trasmettono ai loro figli. Allo stesso modo, un leccio che vive su di una rupe del lago di Garda (quindi gelate invernali, forte vento e tanta pioggia) tenderà ad avere foglie, fotosintesi e ghiande con grandi differenze rispetto ad un leccio cresciuto in Salento, in un ambiente arido e caldo. E tali caratteri sarebbero tali anche se le due popolazioni (o più propriamente “ecotipi”) verrebbero fatti crescere nelle medesime condizioni, anche se sempre di leccio si tratta. Lo stesso discorso si può fare per i pesci. Ci sono specie più adattabili a variazioni dei parametri ambientali (alta plasticità fenotipica, hanno un range più ampio) come ad esempio i carassi e molti poecilidi, mentre ci sono altre specie con una bassa adattabilità e range ecologici molto ristretti, come alcuni ciclidi sudamericani e anabantidi di acque nere. E una specie che possiede un’alta plasticità fenotipica è anche più facile da selezionare fenotipicamente, perché produce individui che si diversificano maggiormente l’uno dall’altro anche a livello genetico, rendendo così più veloce e “produttivo” il loro differenziamento morfologico (vedi la creazione delle molteplici varietà di carassi e poecilidi).
LA STRATEGIA DI RIPRODUZIONE Molti pesci adottano la strategia di riproduzione “r” ossia producono molti figli perchè se ne salvino alcuni, l’obiettivo di tutte le specie animali è il propagarsi della specie, per cui alcune specie possono riprodursi in condizioni ben lontane dalla idealità (come un acquario a valori non ideali) pur di assicurarsi una discendenza. La selezione naturale (predatori, malattie, competizione) opererà una selezione massiva, lasciando in vita una percentuale di individui variabile, più adatte all’ambiente che arriverà a riprodursi.
L’ALLEVAMENTO Nella pratica, molti pesci sono allevati in cattività, a valori non ideali. Questo è un adattamento dell’individuo, non della specie (l’adattamento della specie avviene tramite le mutazioni e la successiva selezione di esse, secondo regole statistiche), perché i pesci, anche se non vivranno per la loro longevità naturale o non cresceranno alle dimensioni massime, riusciranno comunque a riprodursi a loro volta senza l’intervento della selezione naturale. Per cui i figli avranno un corredo genetico dello stesso pool genico (insieme dei geni della popolazione da cui derivano i genitori) dei parenti selvatici (o per lo meno di quella parte di parenti selvatici che sono stati prelevati in natura per iniziarne, generazioni addietro, l’allevamento) almeno per quel che riguarda la fisiologia, a meno che non subentrino mutazioni che devono però essere riconosciute e selezionate. L’allevamento in condizioni non idonee implica comunque maggiore esposizione a malattie, minor colorazione, comportamenti anomali. Questo è dovuto a diversi fattori: i pesci acidofili, per esempio come già ricordato, trovandosi in un ambiente a bassa carica microbica, compensano l’energia utilizzata per mantenere l’equilibrio osmotico risparmiando sulle energie che utilizzano per il sistema immunitario, per cui in ambiente basico o neutro si trovano a rischio di attacchi patogeni. Basti pensare alla diversa percentuale di uova di scalare ammuffite a seconda che queste si trovino pH 6 o a pH 8. LA SELEZIONE I pesci di oggi sono selezionati e distanti dai parenti selvatici: vero e falso. L’uomo ha selezionato solo i caratteri fenotipici (in particolare colori e forma delle pinne), anche qui in maniera massiva e a volte discutibile, cosa che con un po’ di pratica possiamo fare tutti noi. I geni responsabili di tali caratteri sono pochi, quindi facilmente selezionabili. In linea di massima non ha toccato la fisiologia, che viene regolata da un gran numero di geni, o comunque non è stata curata una razionale selezione di caratteri fisiologici per far adattare i pesci a valori diversi. Statisticamente parlando, possono essere avvenute delle mutazioni collaterali anche a livello fisiologico, ma queste non sono state identificate e selezionate. E’ POSSIBILE MODIFICARE LA FISIOLOGIA DI UN PESCE? Possibile si, ma molto improbabile, specialmente in campo acquariofilo. L’ insieme delle funzionalità fisiologiche è molto difficile da modificare, perché implica una perfetta conoscenza delle stesse, che non sempre (anzi, quasi mai) sono visibili. Per questo intraprendere la strada delle modifiche alla fisiologia dei nostri pesci significa intraprendere una strada che porta a risultati incerti, comunque sempre dopo un lavoro infinito.
CONCLUSIONE I concetti sopra esposti spiegano il perché, nonostante le innumerevoli generazioni di allevamento, le specie che ospitiamo nelle nostre vasche conservino ancora esigenze molto vicine a quelle delle popolazioni da cui derivano. Per cui è inutile e dannoso per i nostri ospiti in vasca essere ospitati a parametri non rispondenti alle esigenze della specie, sebbene essi sopravvivano anche a valori diversi, consci che nelle nostre vasche dobbiamo puntare a ottenere di più della semplice sopravvivenza dei nostri ospiti. Si ringraziano per la preziosa collaborazione: Andrea Bonito (Entropy), Fabio Rasa (Faby), Matteo Miceli (Nebulus), Paolo Piccinelli, Massimiliano Spineda de Cattaneis (Tuko) |
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