In questo manuale per l’allestimento di un acquario, ci occuperemo di illustrare la realizzazione, in ogni singola parte, di una vasca dalla capacità di circa 30lt, con l’intenzione di andare a creare un cosiddetto Acquario Olandese. La trattazione vuole essere una sorta di guida passo-passo che cercherà di rispondere alle tante domande che ci si pone in questi casi senza saltarne o dandone per scontata alcuna.
Questo tipo di vasca può anche andare bene nel caso si volessero mettere molti pesci (“molti” significa un po’ più di quanti una normale vasca dedicata alle piante possa contenere), ma non è detto che questa possa essere una buona idea. Nel caso si eccedesse con la popolazione ittica, si potrebbe facilmente andare in crisi, avendo diversi problemi, in primo luogo una possibile e incontrollata crescita di alghe. Conoscenza dei materiali e cenni di acquariologia
In questa parte si tratterà dei materiali e delle attrezzature per uso acquariofilo e saranno esposti concetti e tecniche che approfondiremo nelle parti successive. In questo senso la si può considerare una lettura “propedeutica” al mondo dell’acquariofilia; si avrà una visione d’insieme di tutto ciò che occorre al fine di non trovarsi impreparati al momento dell’allestimento vero e proprio. CAPITOLO 1
La vasca Le vasche “in solo vetro” sono ottenute incollando cinque lastre in vetro non temperato di adeguato spessore con siliconi atossici.
La vasca standard è un parallelepipedo a base rettangolare; affinché si possa avere un adeguato scambio gassoso tra aria e acqua è preferibile orientarsi su modelli che hanno un’altezza non superiore alla profondità, quindi con un rapporto superficie / volume favorevole.
Una buona profondità della vasca ci permetterà di arredare l’acquario più facilmente, bisogna ricordare che una volta pieno d’acqua l’acquario presenta un pronunciato effetto di schiacciamento.
Questo tipo di vasche è adatto per acquari dai 10 a 600 litri circa e copre quindi abbondantemente l’acquariofilia hobbistica di cui ci vogliamo occupare.
L’ultima considerazione in merito all’altezza va fatta tenendo conto del fatto che per la manutenzione dell’acquario è preferibile poter arrivare con la nostra mano in tutti gli angoli della vasca. Il braccio di una persona misura generalmente una settantina di cm perciò con vasche alte più di 60 cm è impossibile arrivare agli angoli inferiori dell’acquario. Una vasca per allestimento olandese dovrà essere preferibilmente aperta, cioè senza un coperchio che ne copra in pratica tutta la parte superiore.
In questo modo la vasca sarà molto più facile da controllare e la manutenzione stessa ne sarà agevolata: operazioni di potatura, trapianto, fertilizzazione ecc. sono più agevoli se non si ha un coperchio tra le mani. Ma forse la cosa più importante è la possibilità che avranno le piante di poter fuoriuscire e conseguentemente accedere alla CO2 atmosferica traendone gran giovamento. Il posizionamento della vasca ha alcune direttive, in verità non troppo vincolanti, che andrebbero seguite. Solitamente si tende ad evitare di metterle vicino a porte, finestre, luoghi di passaggio. Tutto ciò è indubbiamente utile ma la mancanza di alcune di queste condizioni non condanna certo la presenza di un acquario! Sarebbe opportuno, invece, posizionare il nostro acquario vicino ad una presa di corrente e lontano da termosifoni o altre fonti di calore.
Maggiore attenzione merita il supporto della vasca. L’ideale è un mobile apposito, dotato di uno o più ripiani o magari di vani con sportello. La cosa fondamentale è che sia assolutamente privo di asperità: un’asperità del mobile, magari proprio al centro della lastra inferiore dell’acquario, provoca senz’altro la rottura della vasca.
Ovviamente per la vasca che stiamo prendendo in considerazione un qualsiasi angolo della casa, tanto robusto da reggere un peso di una cinquantina di chili, andrà benissimo. E’ anche importante assicurarsi che la vasca sia posta in piano. Un acquario che non è in piano, oltre a sembrare innaturale, col livello dell’acqua in pendenza, può essere sottoposto a pressione d’acqua non equilibrata. Una lastra di polistirolo espanso, saranno sufficienti 2-3 centimetri di spessore, posta sotto la vasca, fa da cuscino (pareggiando le superfici irregolari) e da isolatore termico. Può essere utile conoscere la formula per calcolare il volume lordo della nostra vasca:
Nel caso in cui ci si voglia cimentare nella costruzione della vasca indichiamo, nella tabella sotto, lo spessore che dovranno avere i vetri che acquisteremo, in funzione delle dimensioni della vasca:
CAPITOLO 2
Il fondo In una vasca dedicata alle piante la composizione e struttura del fondo è di importanza assoluta. Questo deve avere i nutrienti fondamentali per le piante, li deve rilasciare più gradualmente e a lungo possibile e, inoltre, non deve consentire all’acqua di entrare in contatto con i nutrienti stessi. È altresì fondamentale che (come qualsiasi altro oggetto della vasca) non contenga tracce di calcare. Per accertare la presenza di carbonati eo calcare basterà versare qualche goccia di Viakal o di qualsiasi altro acido (ad esempio l’acido muriatico utilizzato per le pulizie) sul materiale che vorremo mettere in vasca: se si forma un’effervescenza significa che c’è calcare e dunque non lo si potrà utilizzare. Ogni fondo che abbia la pretesa di vedere prosperare bene le nostre piante dovrà avere un’altezza minima di 6 cm. e massima di 12, secondo la consistenza. Un’altezza di 10 cm è ottimale. E ancora, il fondo non deve mai essere troppo compatto, perché potrebbero crearsi deleteri processi di putrefazione per assenza d’ossigeno.
Vediamo di conoscere meglio i vari strati del fondo e i materiali che più si prestano alla sua composizione. Substrato
E’ la parte del fondo che rimane sopra ogni altra e in cui metteremo a dimora le piante, su cui appoggeremo gli arredi e in cui i pesci da fondo scaveranno. Diversi i materiali che si possono utilizzare per la sua realizzazione: Ghiaia:
Costituita da sassi più o meno piccoli e di vari materiali. Non rilascia composti carbonati, è di facile manutenzione ed è disponibile in diversi colori. L’ideale sarebbe utilizzare ghiaia di quarzo ceramizzata. Le granulometrie a disposizione sono molte, da 1-2 mm a 10-30 mm. Esiste un piccolo calcolo che ci permette di sapere la quantità di ghiaia di cui avremo bisogno per allestire il nostro substrato:
Sabbia:
è forse il materiale più naturale con cui preparare un substrato; costa poco, va bene per tutti i pesci, è piacevole da vedere ed ha semplice manutenzione (basta aspirare ciò che vi si deposita senza smuovere il substrato, al contrario della ghiaia). Oltretutto è un ottimo schermo tra nutrienti del fondo e acqua. Un substrato in sabbia sarebbe preferibile ad uno in ghiaia. Akadama:
Substrato recentemente introdotto in acquariofilia, di solito è utilizzato per i bonsai. Proviene dal Giappone, è un terriccio estratto da una cava situata sul famoso monte Fuji. Sono disponibili diverse granulometrie, grande, media e fine. Rende l’acquario più naturale rispetto alla sabbia e alla ghiaia, è graditissimo dai pesci e impedisce il verificarsi dell’anossia del fondo. Unisce tutti i vantaggi della sabbia a quelli della ghiaia, senza gli inconvenienti.Questo prodotto si trova, non senza qualche difficoltà, solo nei centri specializzati in bonsai. Attenzione ad acquistare solo Akadama originale, esistono, infatti, materiali molto simili ma dopo poco tempo a contatto con l’acqua si sfaldano trasformandosi in un vero e proprio fango. Una particolarità dell’akadama è la sua forte tendenza (per i primi due mesi circa) ad assorbire tutti i sali di calcio e magnesio
presenti nell’acqua del nostro acquario. Sarà opportuno dunque, tenere sotto costante controllo i valori di Gh e Kh. Fertilizzante
È la porzione del fondo situata subito sotto il substrato. Non è fondamentale in un classico acquario tropicale ma in un olandese è importantissima. Contiene la maggior parte dei nutrienti che verranno assimilati dalle radici. In commercio esiste un’infinità di terricci fertilizzanti per acquari, ogni principale casa acquariofilia ne ha almeno un paio in catalogo. Tuttavia è possibile utilizzare materiali economici e di resa uguale se non migliore. Pomice:
ha un discreto potere fertilizzante in quanto contiene tutti i nutrienti che servono alle piante e che esse possono facilmente recuperare. E’ porosa e ciò favorisce l’insediamento di batteri che aiutano a decomporre i residui che si dovessero depositare nel fondo. L’unico inconveniente è la bassa densità che la fa galleggiare ma è sufficiente tenerla a bagno in un secchio pieno d’acqua per risolvere il problema. Sarebbe bene mettere 1/5 dell’altezza del fondo in pomice. In alternativa si può utilizzare la Pozzolana (che non galleggia) o la Graniglia lavica. Torba:
E’ consigliabile usare torba in granuli come fonte di materiale organico per le radici delle piante.
Ovviamente la più adatta alle nostre necessità sarà la torna ad uso acquariofilo, molto stabile e con poca tendenza alla decomposizione. La si utilizzerà in ragione di un pugno ogni 100lt d’acqua. Terriccio fertilizzato:
la soluzione più semplice e sicura; sul mercato la proposta è vastissima e vi sono terricci per tutte le esigenze e tasche. L’unica osservazione da fare in merito è che spesso è consigliabile utilizzare, assieme al terriccio di una data marca, tutta la serie di fertilizzanti che essa mette a disposizione; questo perché spesso i vari prodotti sono coordinati tra loro e dunque utilizzando prodotti di marche diverse, potremmo avere eccessi di un elemento e carenze di un altro, con conseguenze spiacevoli. E’ anche possibile usare il terriccio che si usa comunemente per il giardinaggio, sebbene non sia consigliabile per la difficoltà nel controllare il rilascio di nutrienti che può essere improvviso ed eccessivo. Carbone attivo:
L’utilizzo di carbone attivo (lo stesso che si mette nel filtro per purificare l’acqua) può essere utile alla riuscita del nostro fondo. Un cucchiaino da caffè ogni 100lt d’acqua sarà sufficiente.
Adsorbirà l’eccesso di materiale organico, ne rallenterà la diffusione e offrirà rifugio a qualche colonia batterica.
Ora conosciamo i materiali necessari per preparare un buon fondo. Ovviamente non dovranno essere usati tutti insieme, ma in differenti combinazioni. Di seguito alcune possibilità, tutte ottime, per allestire un ottimo fondo ricco di fertilizzanti utili alla crescita delle nostre piante: (per l’allestimento della nostra vasca utilizzeremo il Fondo B) Fondo A
dall’ alto in basso:
1) Ghiaino o sabbia, sia scuri che chiari. (3 cm)
2) Pietra pomice o pozzolana (2 cm)
3) Carbonati utili per tamponare il PH e carbone attivo (pochissimo)
4) torba non trattata che sia naturalmente acida (2-3 cm)
5) fertilizzante Osmocote (fertilizzante per agrumi a lenta cessione, circa 9 mesi. la dose consigliata è di circa 30-50 gr. ogni 100 litri netti di acqua. E’ molto potente e il suo uso deve essere ridottissimo. Sconsigliato a chi non ha molta esperienza). Fondo B
dall’alto in basso:
1) Ghiaino o sabbia (max 2 cm)
2) Akadama (per Bonsai) (3 cm)
3) Pozzolana o pietra pomice (3 cm)
4) Una manciata di torba
5) Carbone attivo (mezzo cucchiaino) Fondo C
dall’alto in basso:
1) Sabbia scura o chiara (5 cm)
2) ADA power sand special (PSS), (3 cm
3) Pietra pomice (pozzolana) (3 cm) CAPITOLO 3
L’acqua l’acqua non è mai, almeno nella vita reale di tutti i giorni, un composto puro; in essa vi sono sempre sostanze che la rendono, per certi versi, unica. L’angolo formato dai legami tra l’ossigeno ed i due atomi di idrogeno è di circa 105° e fu solo nel 1783 che A. Lavoisier riuscì a determinare l’esatta composizione della molecola. Oggi, in realtà, sappiamo ben di più sull’acqua; ad esempio in essa vi sono anche molecole che contengono i vari isotopi di idrogeno ed ossigeno. Il composto più noto fra questi è la cosiddetta “acqua pesante”, formata da un atomo di ossigeno e da due atomi di deuterio, isotopo di massa 2 dell’idrogeno, divenuta famosa durante la seconda guerra mondiale perché utilizzata dagli scienziati tedeschi come moderatore nella fissione dell’uranio per la preparazione della bomba atomica. L’elemento principe in un acquario eppure spesso nemmeno considerato nella sua reale importanza. Se per gli esseri umani non tutte le acque sono uguali, questo concetto è ancora più palese in un acquario.
Nella maggior parte dei casi l’acqua di rubinetto delle nostre abitazioni non può essere utilizzata per riempire il nostro acquario. Questo perché l’acqua dei nostri acquedotti ha caratteristiche chimicofisiche non adatte a pesci e piante. la composizione dell’acqua potabile è immensamente varia ed incostante, anche se fornita dallo stesso acquedotto, ma in giorni diversi. In generale possiamo dire che nell’acqua potabile sono presenti sali e sostanze organiche di varia natura (anche se queste ultime sono, quasi sempre, nocive e si vorrebbe che fossero sempre assenti).
Le sostanze organiche presenti derivano, per la gran parte, dagli inquinamenti delle falde acquifere derivanti dall’uso, e dallo smaltimento, improprio dei prodotti in commercio in ogni campo: dai pesticidi usati in agricoltura per salvaguardare i raccolti, agli oli lubrificanti derivanti dall’industria automobilistica, che non vengono smaltiti secondo la legge ma semplicemente gettati nei tombini, ai detersivi immessi nelle lavatrici in quantità bibliche, con la falsa speranza che “più ne metto, più verrà pulito il bucato”. Tolti questi, ed altri, inquinanti, quello che resta, come dicevamo, sono i sali inorganici più comuni: carbonati, solfati, nitrati, cloruri, fosfati ed altri, accompagnati dai relativi cationi: ferro, calcio, magnesio, rame eccetera. A tutto ciò vanno aggiunti i disinfettanti che vengono usati per rendere l’acqua batteriologicamente sicura per l’uso umano.
Oltretutto l’acqua potabile ha sempre una certa durezza, che può essere più o meno alta a seconda delle pozze o delle sorgenti da cui è prelevata.
Quindi, se i nostri pesci sono abituati a vivere in un’acqua di media durezza, possiamo usare la nostra acqua di rubinetto, ma solo dopo averla trattata convenientemente per allontanare il cloro o gli eventuali altri disinfettanti. Un errore abbastanza frequente è quello di voler allevare dei pesci in un’acqua che sia il più possibile simile a quella in cui vivono in natura, senza tenere conte che in realtà questi pesci ormai vivono da generazioni in acque che nulla hanno più a che vedere con quelle del loro biotopo originale. E’ sempre meglio garantire ai nostri pesci un’acqua dai parametri chimico-fisici costanti, anche se differenti da quelli del loro biotopo, che stressarli con continue variazioni di pH, durezza ed altro nel convincimento di far loro del bene, portandoli a vivere in un’acqua di cui non hanno più nemmeno il ricordo.
E’ altrettanto evidente che se abbiamo la sfortuna di abitare in una zona in cui l’acqua potabile che esce dai rubinetti di casa ha valori chimico-fisici inadeguati, dovremo ricorrere ai potenti mezzi della tecnologia per migliorarne la qualità.
Vediamo di fare un breve salto nel mondo della chimica per cercare di capire meglio l’argomento. Le soluzioni
si ha una soluzione quando un soluto viene sciolto in un solvente. Detta in questi termini sembra una cosa banale, ma non è affatto così. Innanzitutto, cosa è un soluto- Un soluto è una qualunque sostanza che, posta in solvente, passa in soluzione. Il soluto può semplicemente sciogliersi, cioè la sue molecole si separano tra loro, pur mantenendo la loro natura chimica, come capita allo zucchero, oppure può dissociarsi, cioè separarsi negli ioni che lo compongono, come il sale da cucina, ed in tal caso viene detto elettrolita, dato che queste soluzioni sono in grado di condurre la corrente elettrica.
Questa capacità di scindere gli elettroliti in ioni è tipica dell’acqua, dato che altri solventi, come l’alcol etilico, la benzina, il cloroformio ecc. hanno una capacità di dissociare le sostanze in ioni da bassa a nulla. La temperatura
la temperatura dell’acqua di un acquario, non viene quasi mai presa nella giusta considerazione. Il fatto che la maggioranza dei pesci e delle piante che teniamo in vasca provenga da zone tropicali ci porta a supporre che questi vivano la totalità del loro tempo a temperature elevate e, quindi, sarà sufficiente mettere i termostati a 26-28°C e tutto andrà bene. Così non è. i fiumi tropicali, com’è noto, sono spesso sottoposti a piene e secche e le piante in essi contenute vivono differenti condizioni climatiche nell’arco dei dodici mesi annuali. Nelle nostre vasche, invece, le piene e le secche non si realizzano mai (per la precisione, le nostre vasche sono sempre nella situazione di piena). Quindi, per i nostri ospiti mancano le variabilità e i cicli stagionali tanto importanti in natura.
La conseguenza più importante per le piante è il fatto che, al contrario di quanto spesso avviene in natura, esse non finiscono mai all’asciutto; da ciò deriva che, in assenza di vasche aperte (in cui esse possono crescere fino a uscire dall’acqua e mimare, in un certo qual modo, la stagione secca), è molto difficile vedere fiorire le nostre piante (tolte le debite eccezioni costituite da quelle piante che fioriscono sott’acqua, come le Anubias e le Cryptocoryne) e non è facile accorgersi che alcune piante hanno foglie differenti a seconda che crescano emerse o sommerse (il più tipico esempio è dato dall’Hygrophila difformis).
Come noi trascuriamo il problema dei cicli dei corsi d’acqua, trascuriamo anche il fatto che la temperatura di fiumi e laghi, in natura, non è mai costante lungo tutto l’arco dell’anno. In pratica, vi possono essere escursioni termiche anche di notevole entità tra i vari periodi dell’anno (e questo potrebbe essere uno dei fattori che innescano i meccanismi biologici delle piante, che le portano a crescere di più in certi periodi dell’anno o a fiorire in determinate stagioni), senza trascurare il fatto che molte piante vivono addirittura in zone di alta corrente (anche sotto cascate o rapide) dove la temperatura dell’acqua è piuttosto bassa. Inoltre, la stragrande maggioranza delle piante vive al di sopra di un limite, detto profondità di compensazione, al di sotto del quale nessuna pianta può vivere per un tempo prolungato, dato che consumerebbe più di quanto potrebbe produrre con la fotosintesi.
Questa profondità, tranne che per rarissime eccezioni, è di circa otto metri. Potete ben capire che a questi livelli le variazioni di temperatura sono piuttosto frequenti anche nell’arco della stessa giornata.
Ovviamente, pretendere che ci si metta a regolare la temperatura dell’acqua delle nostre vasche in funzione del periodo dell’anno sarebbe troppo…
Quello che è importante, però, è che alle piante è più gradita una temperatura bassa piuttosto che una temperatura alta; e questo perché le piante regolano il proprio metabolismo in funzione dell’ambiente in cui si trovano e più la temperatura sale, più essere accelerano i loro processi, richiedendo una maggior somministrazione di nutrienti e di luce.
Cosa si intende con “alta” o “bassa” temperatura- Non è possibile dirlo a priori; è importante sapere che ogni pianta ha degli intervalli di temperatura in cui la sua crescita è ottimale ed è necessario informarsi sulle loro esigenze e, eventualmente, scegliere quelle che più si adatteranno al grado di calore della nostra acqua.
Il consiglio è di tenere una temperatura che sia compresa tra i 22 e i 24-25°C, non oltre, se non per brevi periodi (alle nostre latitudini è abbastanza difficile che nei mesi estivi si possa tenere l’acqua a valori così bassi senza usare dei refrigeranti o dei sistemi di condizionamento dell’ambiente).
Per temperature ai valori indicati, sarà utile mantenere una fertilizzazione tranquilla e senza eccessi, mentre sarà meglio aumentarla leggermente in caso di incrementi della temperatura, facendo attenzione a non esagerare comunque perché le alte temperature stressano le piante e favoriscono l’insorgere delle alghe, sopratutto i famigerati cianobatteri. La durezza dell’acqua
Le caratteristiche dell’acqua possono essere molto diverse secondo il tipo di terreno che attraversa.
Prendiamo per esempio l’acqua piovana, originariamente si tratta di un acqua abbastanza pura che, però, già attraversando l’aria comincia ad inquinarsi attirando ossigeno, azoto anidride carbonica ed altri gas presenti nell’aria. L’acqua finisce poi sul terreno ed attraversandolo viene a contatto con altre sostanze come: metalli pesanti, alcalino terrosi, ecc…per poi sgorgare in una sorgente, in un lago, in un fiume con caratteristiche completamente diverse da quelle di partenza.
Quindi le caratteristiche dell’acqua dipendono per buona parte dalle sostanze disciolte in essa. In Europa troviamo, perciò, delle acque che sono molto differenti da quelle di certe zone dell’America, dell’Africa o dell’Asia. Se ad esempio prendiamo in esame l’acqua del Rio Negro, un affluente del Rio delle Amazzoni, questa è estremamente tenera e poco mineralizzata; ciò è dovuto al fatto che nella zona percorsa da questo fiume non esistono o quasi rocce calcaree, mentre è elevato l’apporto di acidi umici, dovuti alla presenza
di zone paludose da inondazione, con fogliame e legno putrescente e logicamente una alta percentuale di acido carbonico. La scarsità di minerali disciolti in questo fiume diminuisce la conduttività elettrica, con conseguente bassa pressione osmotica.
Questa è un’acqua tenera, quindi possiamo dire che la durezza è dovuta principalmente alle sostanze disciolte nel liquido ed in particolare al solfato di calcio e di magnesio, al carbonato e bicarbonato di calcio e di magnesio. La durezza dell’acqua si può dividere in:
– durezza parziale o temporanea (kH)
– forma la durezza totale. (gH) Secondo i vari paesi esistono diversi parametri per misurarla, in Italia , per l’acquariologia, si usa il sistema tedesco. Secondo questo metodo un grado di durezza tedesco corrisponde a 10 mg di monossido di calcio (CaO) per litro. In base alla durezza dell’acqua è entrata in uso la seguente classificazione empirica:
Per comodità in acquariologia si usano solitamente i termini “tenera”, “media” e “dura”. L’acqua dura:
Quest’acqua ha, in genere, un’elevata conducibilità (maggiore di 450 mS/cm) e un’elevata durezza (GH superiore a 13, ad esempio). Quest’acqua, purtroppo, è quella che esce dalla maggior parte dei rubinetti delle città italiane e non è adatta a molti tipi di pesci, soprattutto se amanti di acque tenere e acide. Il pH di quest’acqua, infatti, è quasi sempre superiora a 7.5, per non dire, addirittura, superiore a 8 in molti casi.
L’unica soluzione per poterla utilizzare in acquario è quella di “tagliarla” con acqua distillata o RO (Reverse Osmosi = osmosi inversa; è acqua trattata con resine che la privano quasi totalmente dei sali portandola ad un gH vicino allo 0. la troviamo nei negozi di acquari) e portarla così a valori di gH e kH accettabili.Se ad esempio per il nostro acquario abbiamo bisogno di un’acqua con 2°KH e quella di rubinetto è 16°KH allora sarà necessario fare una miscela composta da 14 parti d’acqua demineralizzata e 2 parti di quella di rubinetto; otterremo così una durezza di 2°KH. L’acqua tenera:
Quest’acqua ha un gH uguale o inferiore ad 8 ed è l’acqua che meglio si presta ad essere usata in acquariofilia in quanto ci permette di allevare la maggior parte di pesci e piante. Purtroppo non è certo l’acqua delle nostre città e dunque la si deve ottenere a partire dall’acqua distillata o RO. È un po’ il discorso inverso per l’acqua dura, entrambe si devono tagliare. Più avanti vedremo come preparare l’acqua di cui abbiamo bisogno partendo da acqua RO e una miscela di sali. L’acqua distillata e deionizzata:
Spesso i termini deionizzata e distillata (o bidistillata) vengono usati in alternativa l’uno all’altro. In realtà essi descrivono due trattamenti completamente diversi dell’acqua. L’acqua distillata viene, come dice la parola stessa, ottenuta, previo trattamento con carbone attivo per eliminare gli inquinanti organici, per distillazione (riscaldamento e condensazione dei vapori).
L’acqua che si ottiene è più pura di quella da cui si è partiti, ma per ottenere acqua veramente purificata da tutti i sali, spesso, è necessario ripetere il trattamento; si parla, allora, di acqua bidistillata. Questa acqua contiene quantità di ioni inorganici a livelli inferiori alle parti per milione (ppm o mg/L); il suo pH è sempre piuttosto acido, talvolta anche minore di 6, e la sua conduttività molto bassa (inferiore a 1 mS). Dato il basso contenuto di sali, KH e GH devono essere sempre nulli; ne consegue che un’acqua di questo tipo ha un potere tamponante nullo e mostra una marcata instabilità del pH. Può essere necessario aggiungere tamponi artificiali, come carbonati di calcio, per renderla più idonea all’uso in acquariofilia. Dato il tipo di trattamento, questa acqua ha un costo che la rende sconsigliabile per l’uso acquariofilo. Prima di acquistare acqua distillata si deve essere assolutamente sicuri del suo effettivo trattamento; spesso viene venduta come distillata acqua che è solo demineralizzata (e che costa molto di meno). L’acqua deionizzata (o demineralizzata), invece, proviene da impianti di deionizzazione che la purificano per scambio ionico. Durante questa purificazione l’acqua, anche in questo caso preventivamente trattata con carbone attivo per eliminare gli inquinanti organici, viene fatta passare in una o più colonne di resine sintetiche che trattengono cationi e anioni; in cambio vengono ceduti ioni sodio e ioni cloro. In ogni caso l’acqua che si ottiene è stata privata di ioni indesiderati, che sono però stati sostituiti da altri. Non si ottiene mai dell’acqua pura ma sempre acqua contenente sali in quantità più o meno variabile.
In alcuni impianti, più sofisticati e costosi, gli ioni ceduti sono H+ e OH-, che ovviamente danno acqua; questo trattamento è sicuramente preferibile al precedente in quanto non si ha produzione di acqua salina. Purtroppo, non sempre le case che commercializzano gli impianti di demineralizzazione danno informazioni sul tipo di deionizzazione effettuata; in questo caso è sempre meglio, per precauzione, supporre che la deionizzazione avvenga per scambio Na+/Cl-. Il pH di quest’acqua è sempre molto acido (spesso anche inferiore a 5.0), dovuto al tipo di trattamento che le resine subiscono per essere rigenerate.
Un esempio del tipo di acqua che si può ottenere con uno scambio Na+/Cl-; supponiamo che l’acqua che esce dai nostri rubinetti abbia un GH di 10 (tralasciamo il KH, essendo il suo valore già compreso nel GH, in quanto con KH viene considerata la parte anionica del GH; un’eccezione potrebbe essere un’acqua con un KH superiore al GH che incrementerebbe ulteriormente la quantità di NaCl, anche se di poco). Un GH pari a 10 corrisponde a 178 mg/L di CaCO3 (consideriamo solo gli ioni Ca2+ e CO3 2- in quanto ioni differenti non cambiano la sostanza del discorso), pari a 1.78×10-3 mol/L. Per ogni ione Ca2+ vengono rilasciati due ioni Na+, pari a 3.56×10-3 mol/L (ovviamente per ogni ione CO3 2- vengono contemporaneamente liberati 2 ioni Cl-). Questo significa avere un’acqua contenente 0.208 g/L di NaCl (pari a 20.8 g di NaCl, o 0.02% di NaCl, per ogni 100 L di acqua trattata). |
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L’acqua da osmosi inversa (RO)
Questa acqua viene ottenuta attraverso un procedimento che si basa sul principio dell’osmosi; quando due soluzioni a concentrazione diversa sono separate da un mezzo semipermeabile, il solvente, in questo caso l’acqua, passa dalla soluzione più diluita a quella più concentrata fino a quando le due soluzioni raggiungono la stessa concentrazione. Per purificare l’acqua potabile si sfrutta questo processo con una differenza sostanziale: per convincere l’acqua a passare da una soluzione più concentrata (l’acqua potabile) a quella più diluita (l’acqua purificata) si sfrutta la pressione che è presente nelle canne che portano l’acqua al rubinetto. In tal modo l’acqua viene spinta attraverso la membrana secondo un flusso che è opposto a quello che si avrebbe in assenza di pressione.
E’ da notare che l’acqua, anche in questo caso trattata preventivamnte con carbone ed, in alcuni casi, con resine a scambio ionico, non è comunque pura al 100%, ma contiene ancora alcune tracce di sali (dall’1 al 5% dei sali iniziali) e di composti organici (meno dell’1%). Questa è comunque l’acqua che più si avvicina a quella bidistillata. Una buona acqua da osmosi inversa deve avere valori nulli di KH e GH, un basso valore di conduttività (minore di 5 mS) ed un pH acido, generalmente intorno a 6.5 Il pH
Una delle grandezze principi in acquariologia. Dal pH e dalle sue interazioni con il kH dipende infatti tutto il sistema acquario.
L’acqua può essere acida, alcalina o neutra. Questo dipende dai sali o dai gas disciolti in essa.
Per rendere misurabile anche questo fenomeno, i chimici hanno inventato il valore pH. Tutta la gamma dei valori di acidità e alcalinità,dall’acido più forte fino alla base più corrosiva, è stata suddivisa in 14 unità: pH 0 indica l’acido più forte, pH 14 è il tasso di alcalinità più intensa, mentre pH 7 è il valore neutro.
La nostra acqua del rubinetto di regola si trova si trova su valori neutri, tra pH 6,8 e 7,4. E questo è anche il valore che di norma desideriamo ottenere in acquario e con cui i pesci d’acquario si sentono a loro agio. In natura qualsiasi acqua (sorgenti, mari, laghi, fiumi, mari, pozzi, ecc) è caratterizzata da un suo valore di ph. la determinazione del ph di un’acqua è influenzata dalla tipologia del terreno in cui l’acqua scorre o è contenuta; acque che scorrono in terreni dove vi è una forte componente di sostanze vegetali, data la tendenza di queste ultime a rilasciare acidi umici e tannici, avranno un ph acido.
Al contrario, in terreni caratterizzati dalla presenza rocce calcaree o grandi quantità di sali tenderanno ad avere un ph superiore a 7. l’acqua marina, data l’altissima presenza di sali di calcio e sodio, avrà un ph solitamente superiore a 8.
La maggioranza delle creature acquatiche vive in ambienti con ph compreso tra 5 e 9.per pesci e piante allevati in acquario il range di ph oscilla da 6,5 e 7,5; ovviamente nel caso degli acquari marini questo sarà uguale o superiore a 8. La durezza carbonatica indica, come già detto, la quantità di sali presenti in acqua; questi sali fungono da “tamponi” del pH e impediscono che questo subisca repentine variazioni.
Ecco perché acque con un basso kH sono suscettibili di rapidissimi cali di pH. Vogliamo far alzare il ph- Bene, aumentiamo il kH dell’acqua mettendo più acqua di rubinetto rispetto all’acqua distillata. Per abbassare il pH il discorso è un po’ più complesso; esistono diversi modi e ovviamente la prima cosa da fare sarà abbassare il kH della nostra vasca.
Poi potremo intervenire mettendo della torba nell’ultimo scomparto del filtro (la torba rilascia acidi umici che abbassano il pH) o aggiungendo CO2, ma ne parleremo in seguito. C’è anche da dire che la maggior parte delle piante sembra gradire un pH non troppo alto, in questa sede sarà nostra preoccupazione avere una vasca con pH di circa 6,87 e kH circa 6,57. (vedi appendice) La CO2:
Il carbonio è l’elemento più importante per le piante, in quanto consente loro di costruire i tessuti di sostegno (la cellulosa è, fondamentalmente, uno scheletro di carbonio), le riserve di energia (amido, che è un polimero del glucosio, uno zucchero) e di disporre, mediante la fotosintesi, secondo la seguente formula un po’ semplificata: Anidride carbonica (CO2) + Luce + Acqua (H2O) = Zuccheri (Energia) + Ossigeno (O2) di quell’energia chimica che permette di produrre enzimi, proteine e quant’altro serva per il loro metabolismo. Nell’acqua dei nostri acquari, però, se ne trova sempre troppo poca. Quindi, se davvero vogliamo piante sane e rigogliose, dobbiamo trovare il modo di somministrare loro, in qualche modo, il carbonio che serve. Un ultimo impiego della CO2 in acquario è, più che altro, di carattere chimico: contribuisce a stabilizzare il KH e il pH a valori inferiori a 7, difficilmente raggiungibili con altri metodi, che siano, al contempo, compatibili con la coltivazione delle piante (come, ad esempio, la filtrazione su torba) e duraturi (come gli additivi per abbassare il pH).
Se le piante vengono a trovarsi in un ambiente più ricco di CO2 del normale, rispondono accelerando, e di molto, il processo fotosintetico. Al contrario, se la CO2 scarseggia, le piante rispondono o recuperando il carbonio che serve dai bicarbonati, o rallentando, fino a fermare, la fotosintesi. In realtà, dato che un minimo scambio gassoso tra aria e acqua esiste sempre, il processo fotosintetico delle piante in acqua non si arresta mai. La conseguenza di ciò è che le piante crescono meno e restano più piccole. Ma crescono sempre, dato che il carbonio è indispensabile. Ovviamente, il fabbisogno di CO2 non è uguale per tutte le piante; vi sono piante a crescita lenta che si accontentano della CO2 che si scioglie naturalmente nell’acqua e altre, invece, molto più rapide che senza una somministrazione esterna aggiuntiva deperiscono. Quindi, da questo si può capire che un acquario può funzionare benissimo senza alcuna somministrazione esterna di CO2, a patto che ci si accontenti di avere piante che non si sviluppino in maniera abbondante e che non siano troppo esigenti, o che abbiano la capacità di scindere i bicarbonati, come abbiamo visto.
La richiesta di CO2 da parte delle piante aumenta in seguito all’introduzione di un nuovo neon in acquario; la maggior quantità di luce aumenta il metabolismo e l’attività fotosintetico della pianta che, per crescere, avrà bisogno di quantità di CO2 maggiori.
La CO2 può essere somministrata sempre allo stato gassoso, ma con diverse tecniche.
La più pratica, anche se più costosa in termini strettamente economici, è l’impiego di sistemi a bombola ricaricabile, dotati di manometri di riduzione della pressione e di opportuni diffusori in acqua. Un sistema analogo, anche se decisamente più economico, prevede l’uso di bombole non ricaricabili, da sostituire una volta esaurite.
E’ anche possibile costruirsi un sistema di produzione di CO2 sfruttando la fermentazione alcolica con lievito e zucchero (vedi nella parte dedicata al “fai da te”); l’inconveniente di questo sistema è la sua impossibilità di regolazione, che lo rende adatto solo per vasche che abbiamo un volume d’acqua superiore ai 50 litri (per volumi inferiori, sono possibili sbalzi di pH nelle prime fasi della fermentazione che potrebbero produrre effetti devastanti in vasca). un altro punto importante per l’assunzione di anidride carbonica da parte delle piante: il cosiddetto vantaggio aereo. In pratica, se una pianta riesce a mettere una foglia fuori dall’acqua, ha immediatamente accesso al più grande serbatoio di CO2 del mondo: l’atmosfera.
Quindi, ogni pianta che riuscisse a “bucare” la superficie dell’acqua potrebbe rifornirsi senza più problemi di anidride carbonica. Ecco, perché, le piante galleggianti crescono così rapidamente e senza troppi problemi di fertilizzazione con CO2. CAPITOLO 4
Il filtraggio Prima di parlare del filtro più adatto ad una vasca di piante è conveniente dare qualche cenno generale sui filtri e le loro funzioni.
Il filtro è il semplicemente il cuore dell’acquario. La sua funzione principale è filtrare continuamente l’acqua della vasca purificandola da tutte le particelle macroscopiche e dalle sostanze dannose per l’ecosistema.
Le sostanze più pericolose sono l’ammoniaca, i nitriti e i nitrati, prodotti di scarto del metabolismo dei pesci e dalla decomposizione di materiale organico all’interno della vasca.
L’accumulo di queste scorie può condurre rapidamente alla morte di tutti i pesci per asfissia: l’azoto (N) presente in questi composti si lega all’emoglobina del sangue impossibilitando dunque l’ossigenazione dei tessuti. La trasformazione in sostanze non tossiche avviene grazie ai batteri Nitrosomonas, che trasformano l’ammoniaca (NH3) in nitriti (NO2), e dei batteri Nitrobacter i quali a loro volta trasformano i nitriti in nitrati (NO3). Questi preziosi batteri trovano alloggio proprio nel filtro dove, grazie al continuo flusso d’acqua, possono svolgere la loro azione denitrificante. sono organismi unicellulari procarioti (il loro materiale genetico non è racchiuso da una membrana nucleare bensì è sparso in una specifica regione all’interno della cellula) e le loro dimensioni sono tali da non essere visti ad occhio nudo.
In un acquario i batteri si fissano ovunque: sui vetri, sulle foglie delle piante e sul materiale di fondo: in pratica su tutte le superfici. Essi sono troppo pochi perché riescano a svolgere le proprie funzioni di spazzini biologici, ed ecco allora la necessità di inserire nell’acquario un filtro, che offra al suo interno una superficie colonizzabile molto estesa.
Il filtraggio biologico operato dai batteri presenti nel filtro è importante per compiere le cosiddette decomposizione ossidante e fase riducente. Entrambi questi processi sono necessari per eliminare le sostanze di rifiuto come escrementi, resti di cibo e foglie morte.
Vediamo i diversi tipi di filtraggio che possono essere utilizzata in vasca: Filtraggio meccanico
Serve per rimuovere le particelle più o meno piccole e rende l’acqua limpida setacciandola meccanicamente. Per il filtraggio meccanico si usano normalmente le fibre sintetiche; la più famosa ed importante è la cosiddetta lana sintetica (o lana di perlon).
Sul mercato abbiamo tantissime tipologie, tra cui lane più o meno fini. Logicamente più fine è la lana adoperata più piccole saranno le sostanze che possono essere trattenute. Il filtraggio meccanico non avviene solo per mezzo della lana sintetica, la stessa azione si ottiene con altri materiali, prima di tutto con la resina espansa o spugna sintetica, ed anche con altre sostanze come la farina di Diatomee o farina fossile. dopo un certo tempo, anche in questo tipo di filtro si insedieranno dei batteri, sempre e però a condizione, che il flusso dell’acqua nel filtro rimanga sufficientemente elevato.
I batteri provvedono alla distruzione dei rifiuti trattenuti; quindi dopo un certo tempo il filtro meccanico si trasforma in uno meccanico-biologico che, però, in tempi non troppo lunghi, rischia di intasarsi e quindi non funzionare più. Ciò porta ad una costante manutenzione, con una elevata frequenza dei cambi del materiale atti al filtraggio vero e proprio. Filtraggio adsorbente
Per adsorbimento si intende il fenomeno della adesione su una superficie solida, di molecole di un gas o di un liquido. Assorbimento invece indica i processi di assunzione e penetrazione di diversi materiali, per esempio, una spugna che assorbe l’acqua. Il filtraggio adsorbente viene effettuato con il carbone attivo o iper-attivo, un materiale ottenuto dalla carbonizzazione di gusci di noci di cocco, ossa, cascami vegetali ecc. il potere attivo è incrementato da un cosiddetto processo di attivazione, trattandolo ad esempio con cloruro di zinco a circa 700°C.
E’ un materiale poroso con una superficie molto grande che permette, utilizzando un volume abbastanza piccolo del materiale, una filtrazione molto elevata delle sostanze disciolte nell’acqua. Per il processo di filtrazione esso serve ad eliminare dalla acqua gli odori e tutti i coloranti che hanno come
componenti dei gas od altri composti volatili. Il carbone attivo o quello iper-attivo ha un potere limitato nel tempo, cioè il suo effetto filtrante ha un effetto limitato nel tempo cioè il suo effetto cessa quando tutta la superficie è ricoperta da un sottile strato di molecole.
Questo filtraggio non è indispensabile, anzi sarebbe opportuno utilizzarlo solo nel caso in cui vi siano forti inquinamenti da sostanze tossiche o si siano somministrati medicinali ai pesci. Filtraggio biologico
È il filtraggio grazie al quale si eliminano dall’acquario i composti azotati tramite la decomposizione ossidante e la fase riducente. La fase ossidante avviene in presenza di ossigeno e consiste nell’ottenere composti azotati chiamati nitriti i quali vengono poi a loro volta ossidati a nitrati.
L’ossidazione delle proteine per ottenere nitriti è compiuta dal batterio Nitrosomonas, mentre l’ossidazione dei nitriti per ottenere nitrati è compiuta dal batterio Nitrobacter. Entrambi questi batteri sono autotrofi, ossia organismi in grado di sviluppare sostanza organica atta al loro sostentamento partendo da quela inorganica, e chemiosintetici (in grado di ottenere sostanze organiche utilizzando energia chimica ). Durante la fase ossidante i nostri batteri Nitrosomonas e Nitrobacter riducono anidride carbonica per ottenere uno zucchero, il glucosio (atto al loro sostentamento), tramite l’energia chimica che ottengono dall’ossidazione delle proteine e dei nitriti. Queste reazioni chimiche costituiscono il processo di nitrificazione.
I nitriti sono componenti azotati molto pericolosi, e vengono tollerati dai pesci fino ad una concentrazione di 0.2 mg/L; i nitrati, invece, sono sopportati fino ad una concentrazione di 25 mg/L.
I nitriti soffocano il pesce poiché la molecola di emoglobina (che lega l’ossigeno ai globuli rossi del sangue e tramite il flusso sanguigno lo distribuisce alle cellule) presente nel sangue dell’animale ha affinità più alta per i nitriti che non per l’ossigeno; in questo modo alle cellule invece di arrivare ossigeno arrivano nitriti.
I nitrati invece se presenti in quantità accettabile possono rappresentare dei fertilizzanti azotati per le piante. La fase riducente avviene in assenza di ossigeno e consiste nella trasformazione dei nitrati (ottenuti dalla precedente decomposizione ossidante) in azoto gassoso, sotto forma di bollicine che salgono verso la superficie dell’acquario e si disperdono nell’atmosfera.
Queste trasformazioni sono compiute da numerosi batteri, che a differenza di quelli della decomposizione ossidante usano i nitrati come accettori di elettroni (evento di riduzione) per poter compiere il processo di “respirazione” in assenza di ossigeno. Il processo compiuto da questi batteri anaerobi durante la fase riducente prende il nome di denitrificazione.
Questo tipo di filtro deve anzitutto offrire un buon rifugio per i batteri denitrificanti. A questo scopo si possono adoperare i più svariati materiali, che però devono avere delle caratteristiche particolari: una superficie non troppo liscia ed, in proporzione al volume, una superficie il più possibile grande. I materiali più comunemente usati sono: granulati di lava, basalto, materiali ceramici e di terracotta, spugna sintetica e soprattutto i cannolicchi di ceramica. Questi materiali, data la loro elevata porosità, garantiscono l’insediamento di un numero elevatissimo di batteri sulla loro superficie.
L’insediamento di questi esseri microscopici avviene normalmente senza intervento esterno dopo un certo periodo di funzionamento del filtro ma è opportuno accelerare i tempi (che sarebbero piuttosto lunghi) utilizzando appositi prodotti che contengono già colonie di batteri pronte per
l’insediamento. Il filtro biologico non richiede molta manutenzione e i materiali utilizzati in tal senso non devono mai essere lavati o sostituiti. Filtraggio chimico
E’ un filtraggio possibile grazie all’uso di sostanze che modificano le caratteristiche dell’acqua o permettono di mineralizzare le sostanze organiche senza l’ausilio di batteri. Il materiale più conosciuto per il filtraggio chimico è la torba, che, però, al contrario di altri materiali non riguarda l’eliminazione di sostanze organiche o inorganiche presenti nell’acqua, ma la chimica stessa dell’acqua.
Grazie ad uno scambio di ioni la torba può eliminare gran parte della durezza dovuta ai carbonati e contemporaneamente arricchisce l’acqua di sostanze acide , che provocano un abbassamento del pH. Altri materiali del tutto particolari sono gli scambiatori di ioni; si tratta di resine sintetiche che assorbono degli ioni dall’acqua e ne liberano degli altri. Secondo questo procedimento e secondo il tipo di resine usate, i sali possono diventare acidi, gli acidi possono scomparire completamente o ritornare sali, i carbonati possono diventare gas o gli idrati possono diventare acqua. Quindi esiste la possibilità di eliminare dall’acqua con un processo chimico anche delle sostanze inquinanti, senza ricorrere ad un filtraggio biologico.
Tuttavia l’uso di queste resine è consigliabile solo in casi di effettiva necessità e possibilmente limitato nel tempo; sono sostanze particolari e piuttosto delicate, in mani non esperte possono causare seri danni.
Così come il filtraggio adsorbente, il chimico non è indispensabile. I quattro sistemi di filtraggio sopraelencati solitamente vengono utilizzati in contemporanea, sistemati secondo un preciso ordine all’interno della scatola del filtro. Il più comune ed usato è il filtro interno che viene a far parte integrante della vasca essendo costruito all’interno di essa, chiudendo di regola un lato stretto di quest’ultima con una parete in cui sono praticati i fori di aspirazione e di uscita dell’acqua da filtrare. In questa specie di scatola che si viene a formare nella vasca vi sono dei vani intercomunicanti tra di loro dove l’acqua sarà costretta ad attraversare dei materiali filtranti prima di essere rispedita nella vasca da una pompa sommersa.
Prendiamo in considerazione quello normalmente diviso in tre scomparti, che può essere in vetro o in plastica.
L’acqua entra nel primo scomparto, dove troverà esclusivamente il riscaldatore. Questo scomparto, per il principio dei vasi comunicanti, non rimarrà mai senza acqua, a meno che non si svuoti l’acquario. Per questo motivo, il riscaldatore lavorerà sempre immerso, e si eviterà lo scoppio della provetta. Passiamo ora al vero cuore dell’acquario, ovvero dove avviene il ciclo biologico: il secondo scomparto.
Iniziando dall’alto, il filtro sarà così composto: spugna o lana sintetica, dipende dai gusti personali; dovrà far passare solo acqua, cioè tutto lo sporco grossolano verrà fermato. Questo primo strato dovrà funzionare come filtro meccanico.
In un acquario allestito da molto tempo nel caso di un pesciolino morto (sul fondo) il processo di decomposizione sia molto più veloce che in acquario appena allestito. Questo processo, detto molto semplicemente, non è altro che l’azione dei batteri che svolgono il processo biologico, cioè trasformano il tutto prima in nitriti, molto tossici per i pesci, poi in nitrati poco tossici.
Ma tornando al discorso della prima spugna, l’unico modo che abbiamo per farla funzionare solo come filtro meccanico, è di sciacquarla spesso sotto l’acqua del rubinetto, in modo da non far formare la flora batterica. in realtà a tale proposito, ma come tante altre tecniche, in acquariofilia esistono diverse scuole di pensiero riguardo la pulizia dei filtri: ci sono acquariofili che apprezzano la formazione di flora batterica sulla spugna e sulla lana e lavano quest’ultima raramente;l’ultima parola spetta sempre al singolo acquariofilo che preferirà l’uno o l’altro metodo.
Ma qual è il vantaggio. Prendiamo sempre il povero pesciolino morto e questa volta risucchiato nel filtro; si fermerà per forza sopra la spugna, che, se fosse ricca di batteri, trasformerebbe le proteine del cadavere in nitriti (molto tossici) e poi in nitrati, poco tossici. Si avrebbe comunque un aumento di nitrati.
Lo sciacquare frequentemente la spugna comporta l’eliminazione meccanica dei residui di cibo, foglie morte, ed escrementi, con conseguente controllo dei nitrati. La spugna andrebbe sciacquata 2 volte alla settimana, la sifonatura del fondo andrebbe effettuata una volta ogni 15 giorni. Nel caso in cui si preferisca non lavare la spugna sarà sufficiente mettere delle grigliette all’entrata dell’acqua nel filtro: ciò eviterà che si aspirino materiali troppo grandi Vediamo adesso cosa mettere sotto la spugna. I materiali più usati sono i tubetti di ceramica o i ricci di plastica.
Quanti metterne: Quanti più ne vanno sotto la spugna del secondo scomparto meglio è. Non andranno mai lavati altrimenti uccideremo il filtro biologico. Per agevolare la manutenzione è utile inserire i cannolicchi in una rete a maglie larghe; nelle confezioni di cannolicchi delle migliori marche la troveremo compresa, in alternativa andrà benissimo quella utilizzata per le arance. Alla fine, nel terzo scomparto, subito sotto la pompa, troveranno posto i materiali per un eventuale filtraggio chimico (torba o resine) o adsorbente (carbone attivo). La pompa provvederà ad inviare l’acqua pulita di nuovo in vasca; anche in questo caso si può optare per una pompa con portata pari a 23 volte la capacità dell’acquario o per una con portata uguale. La soluzione migliore è possedere una pompa con portata regolabile da adeguare alle proprie preferenze.
Nel caso in cui si abbia un filtro interno a quattro scomparti sarà sufficiente destinare il secondo vano al filtro meccanico e il terzo a quello biologico.
I filtri esterni seguono lo stesso principio ma sono situati al di fuori della vasca; l’aspirazione e l’emissione dell’acqua avviene tramite tubi.
Esteticamente sono preferibili perché non essendo dentro la vasca non sono visibili, ma spesso hanno una manutenzione un po’ più complessa. Il filtro dovrebbe avere almeno il 10/15% di capacità della vasca: pertanto si può affermare che un filtro più è grande meglio è, poiché potrà trattare più acqua. un filtro adeguato vuole dire maggiore benessere all’interno della vasca, meno malattie, crescita delle piante più rigogliosa, meno manutenzione e maggiori soddisfazioni.
Il circolo dell’acqua avviene grazie ad una pompa ad immersione sulla cui portata esistono diverse scuole di pensiero. Alcuni prediligono un circolo lento per avere un cosiddetto, filtraggio riducente; altri preferiscono una circolazione “vivace” per filtrare l’acqua il più possibile. In linea di massima il seguente calcolo dà una indicazione corretta:
Il getto della pompa dovrà essere diretto quanto più possibile parallelo alla superficie dell’acqua, ma senza creare fontane, per ridurre la possibilità di disperdere la CO2, tanto faticosamente immessa in acqua.
Non va inoltre sottovalutata la limpidezza dell’acqua, legata ovviamente anche al perfetto funzionamento del filtro: più l’acqua è limpida, maggiore sarà la penetrazione dei raggi luminosi provenienti dall’impianto di luce. Un’acqua più o meno torbida o colorata ha una capacità di assorbimento di luce veramente notevole. Spesso anche un potente impianto di illuminazione non può rimediare a questo inconveniente, specialmente se si vogliono coltivare piante con un elevato fabbisogno di luce. Il filtro per la vasca di piante
Abbiamo visto che il compito principale del filtro di un acquario è prendere l’acqua dalla vasca e eliminare da essa tutte le sostanze che possono essere tossiche per i pesci. Un filtro ben avviato converte i composti azotati in sostanze non tossiche per i pesci. Per una vasca dedicata alle piante questo sistema di filtraggio non è il più indicato, pur potendo comunque garantire una buona salute.
Le piante richiedono grosse quantità di azoto, dato che una buona parte del loro tessuto e dei loro componenti cellulari contengono questo elemento. Tuttavia, al contrario di quanto si supponga, l’uso dell’azoto da parte di una pianta non avviene in forma di nitrato, se non in rare eccezioni, ma in forma di ammonio. Questa preferenza è tale da indurre le piante a trasformare i nitrati in ammonio, agevolando così l’assorbimento. Questo processo costa tanta energia alla pianta tanto che, se la pianta avesse a disposizione direttamente l’ammonio, il suo metabolismo sarebbe circa il 30% più veloce. Con i filtri succitati, dunque, le piante fanno più “fatica” a crescere.
Possiamo dunque affermare che, in una vasca dedicata alle piante, il filtro non dovrebbe essere molto efficace. Teoricamente si potrebbe far funzionare un acquario dedicato alle piante senza qualsiasi filtro, ma ciò richiederebbe una quasi totale rinuncia all’allevamento di pesci e creerebbe anche molti problemi di manutenzione.
Detto ciò vediamo come potrebbe essere strutturato un filtro interno per la nostra vasca. Nel primo scomparto, in genere più piccolo e collegato alla vasca tramite una serie più o meno abbondante di griglie o fori, metteremo il riscaldatore a provetta.il wattaggio del riscaldatore non è più così importante, dato che dovrà solo impedire che l’acqua scenda troppo al di sotto del valore impostato.
Il secondo scomparto, sede del filtraggio biologico, avremo cura di non riempirlo troppo, né con cannolicchi né con altri materiali porosi, onde evitare un eccessivo insediamento di batteri. In pratica, nella nostra vasca da 50 litri, sarebbe sufficiente mettere mezzo litro scarso di cannolicchi di ceramica economici e un batuffolo di lana di perlon lasciato quanto più possibile soffice e voluminoso. Nel terzo e ultimo scomparto si potrà mettere la pompa.
In questa nostra realizzazione, date le piccole dimensioni della vasca, si è deciso di non ricorrere a filtro interno a scomparti. Utilizzeremo pertanto un piccolo filtro a cartuccia, meno visibile e di più semplice manutenzione.
Al suo interno avremo una piccola spugna per il filtraggio meccanico e, dopo la colonizzazione di pochi batteri, biologico e una cartuccia di carbone che aiuterà a mantenere la limpidezza dell’acqua. La manutenzione non sarà troppo frequente: una volta al mese controlleremo il livello di intasamento della spugna, se troppo elevato, un blando risciacquo sotto acqua corrente sarà sufficiente. CAPITOLO 5
L’illuminazione Nell’acquario la luce è necessaria per diversi motivi. Stimola l’attività dei pesci, fornisce alle piante l’energia necessaria per la fotosintesi clorofilliana, e infine consente al proprietario di vedere cosa succede nella vasca. È necessario fornire l’acquario di un’illuminazione propria, essendo quella ambientale insufficiente o eccessiva a secondo dell’orario e dell’esposizione, senza contare poi l’impossibilità, altrimenti, di osservare l’acquario nelle ore serali. Vediamo quali sono le soluzioni a disposizione dell’acquariofilo, con i loro pro e contro.
La vegetazione di un acquario d’acqua dolce condiziona notevolmente la scelta dell’illuminazione: vasche ricche di piante avranno certamente bisogno di un’illuminazione più intensa e mirata rispetto ad acquari con poche piante o che ne siano del tutto privi; ancora, una vegetazione in cui vi siano piante rosse o comunque particolarmente esigenti per la qualità e l’intensità della luce richiederà un parco lampade necessariamente più ricco di quello di un acquario con una flora acquatica composta da specie che per il loro sviluppo richiedono un’illuminazione normale o diffusa.
L’illuminazione con lampade al neon è la più comune e ci permette di ottenere già degli ottimi risultati senza dover spendere cifre eccessive. In commercio esistono lampade che coprono quasi tutte le lunghezze d’onda della luce; possiamo così trovare lampade che vivacizzano i colori, lampade che stimolano la crescita delle piante e lampade ai trifosfori che mantenendo lo stesso consumo hanno rese luminose altissime. Il sistema d’illuminazione è generalmente contenuto nel coperchio dell’acquario.
Questo, oltre a contenere le lampade e a limitare l’eccessiva evaporazione, impedisce che la povere (e ogni materiale estraneo) penetri nell’acquario.
Per riuscire ad isolare elettricamente i poli di alimentazione dei neon si trovano apposite cuffie di materiale plastico o siliconico, preferibili, che ci permettono di collegare le lampade al gruppo d’accensione.
Nel caso di una vasca aperta, come quella a cui si riferisce questo manuale, i tubi fluorescenti o le lampade a vapori metallici (HQL, HQI) possono essere appese direttamente al soffitto o installate in una plafoniera di dimensioni adeguate che sarà mantenuta ad una certa distanza dalla vasca tramite sostegni collocati sui vetri. A tal proposito rimandiamo alla sezione del “fai da te” dove è presente un progetto di plafoniera da autocostruire. Vediamo adesso gli impianti più utilizzati in acquariofilia. L’impianto con lampade ad incandescenza
è stato uno dei primi adottati in acquariologia, ma oggi è praticamente superato. La luce che emette una lampada elettrica ad incandescenza è dovuta al riscaldamento elettrico del filamento; all’aumentare della temperatura aumenta il potere emissivo specifico, cioè l’energia emessa al secondo da un cm2 di superficie emittente, ma aumenta in maggiore misura l’emissione di radiazioni a bassa lunghezza d’onda e tra queste quelle visibili, con conseguente aumento del rendimento luminoso.
Nelle lampadine si verificano due fenomeni: all’aumento della temperatura migliora il rendimento luminoso con minor consumo di energia, ma allo stesso tempo il filamento si consuma più velocemente. Bisogna, quindi, farle funzionare ad una temperatura che renda minima la spesa di esercizio. L’impianto realizzato con questo tipo di lampade presenta diversi inconvenienti: il primo riguarda la durata media di questo tipo di lampade, che di circa 1.000 ore, poi l’efficienza di una buona lampada ad incandescenza è più bassa delle lampade a fluorescenza od a vapori di mercurio, essa varia, per quelle con gas inerte al loro interno, da 7 a 18,2 lm/W a secondo della loro potenza. Si ha quindi un maggiore consumo di energia elettrica ed inoltre una forte emissione di calore, cosa che può renderne complicato il loro uso in un acquario. Un altro fattore da tenere presente, usando questo sistema, è la sicurezza.
Come già detto le lampade vanno collocate il più vicino possibile alla superficie dell’acqua e conseguentemente sono esposte all’umidità più o meno intensa; è necessario adottare degli accorgimenti per impermeabilizzare l’impianto. Questo per le lampade ad incandescenza è piuttosto complicato non esistendo in commercio degli impianti di questo tipo già predisposti per essere adoperati in ambienti alquanto umidi. Pertanto l’illuminazione ad incandescenza non è consigliabile per l’uso in acquariologia anche se la spesa iniziale è molto inferiore a quella degli altri tipi di impianti. Oggi è adoperata, con schermature in vetro od altro materiale trasparente, solo per vasche molto piccole fino a 20- 30 l e per impianti aggiuntivi di illuminazione, usati per periodi molto brevi (es. quarantena). L’impianto con lampade fluorescenti
che più precisamente dovrebbero chiamarsi tubi fluorescenti oggi è il più diffuso in acquariologia. Si basa sulla capacità di alcune sostanze chimiche organiche ed inorganiche di emettere radiazioni nel campo visibile, se sollecitate da raggi ultravioletti. Questa lampade sono costituite da un tubo di vetro rivestito all’interno di composti chimici fluorescenti e con due elettrodi sistemati all’estremità, poi il tubo è riempito con vapore di mercurio a bassissima pressione (qualche mm di colonna d’acqua) o eventualmente con una piccola quantità di gas (neon, elio, argon, azoto) secondo il tipo di lampada. Se viene fornita energia elettrica si ha una differenza di potenziale tra i due elettrodi, che produce un arco attraverso il vapore di mercurio, questo arco determina una piccola radiazione visibile ed una grande quantità di radiazioni ultraviolette alla lunghezza d’onda di 253,7 nm. Queste radiazioni vengono trasformate dai composti chimici fluorescenti in radiazioni luminose. Da ciò si intuisce che tra i principali componenti di un tubo fluorescente ci sono queste sostanze chimiche che prendono il nome di foto-fosfori e che a seconda delle sostanze usate per la loro fabbricazione determinano per buona parte lo spettro luminoso e di conseguenza anche il colore della luce prodotta. Il colore della luce di una lampada è individuato dalla temperatura di colore e rappresenta la temperatura assoluta in °K a cui si dorrebbe riscaldare il corpo nero affinché emetta lo stesso spettro luminoso della luce della lampada presa in considerazione. In base ad accordi internazionali sono state definite tre tonalità di colore dette normali per le lampade fluorescenti: Bianco caldo Tc = 2900 °K – simile alla luce emessa dalle lampade ad incandescenza.
Bianco Tc = 4300 °K – con luce emessa a colore intermedio tra lampade ad incandescenza e luce diurna.
“Luce diurna” Tc = 6750 °K – con colorazione che si avvicina allo spettro solare.
Logicamente le lampade usate per l’illuminazione di acquari sono nella maggioranza dei casi quelle a luce diurna, alcune volte accoppiate con lampade aventi spettri particolari. I vantaggi dei tubi fluorescenti rispetto alle lampade ad incandescenza sono diversi: come primo la durata che mediamente è di circa 7.000 ore e che può arrivare fino a 15.000 per alcuni tipi speciali; quindi il rendimento luminoso che si avvicina a circa 80 lm per ogni watt di potenza ed ancora la limitato produzione di calore, cosa di notevole importanza specie in acquari marini mediterranei ed infine la sicurezza: cioè la praticità di applicazione di queste lampade sia in ambienti umidi che addirittura sott’acqua. Esistono in commercio degli impianti standardizzati già pronti per l’uso in queste condizioni o per esigenze particolari si può ricorrere ai singoli elementi già impermeabilizzati in modo tale da poterli assemblare secondo le nostre esigenze. Ci sono naturalmente anche degli inconvenienti, primo tra tutti il costo. La stessa lampada soprattutto se si tratta di un tipo speciale, come ad esempio le fitostimolanti, ha un prezzo relativamente alto anche in considerazione di una più lunga durata rispetto alla normale lampadina ad incandescenza; inoltre a questo bisogna aggiungere il costo non indifferente dell’impianto costituito da un alimentatore che funziona da limitatore della corrente dell’arco e da un apparecchio per innescare il preriscaldamento dei catodi (starter) più naturalmente due portalampade impermeabilizzati. Nonostante i costi elevati, questo sistema ha avuto tanto successo, poiché con i tubi fluorescenti, al contrario delle lampade ad incandescenza si può ottenere qualsiasi tipo di luce. Gli svariati tipi di foto-fosfori che ricoprono l’interno del tubo permettono di ottenere vari spettri luminosi e si avvicinano moltissimo a quello della luce solare.
In pratica, con l’avvento delle cosiddette lampade fitostimolanti, studiate con uno spettro luminoso tale da rispettare le esigenze vitali delle piante acquatiche e non, per quanto riguarda la fotosintesi, è diventato possibile tenere in casa nostra un biotopo naturale lontano migliaia di chilometri da noi. Consigliabile, comunque, utilizzare sempre lampade con il massimo wattaggio possibile consentito dalla lunghezza della vasca. Da alcuni anni sono in commercio fluorescenti “compatte” che, a parità di lunghezza, hanno un potenza in watt molto maggiore dei normali tubi al neon, e sono, quindi, molto adatte a vasche in cui è necessaria una grande quantità di luce ma vi è poco spazio a disposizione. L’ impianto con lampade a vapore di mercurio
si stanno diffondendo solo ultimamente. Si tratta di lampade di forma molto compatta simile a quella delle lampadine ad incandescenza, riempite con vapori di mercurio ad alta pressione (circa 1 Kg / cm2) o a sovrapressione. Le prime, denominate HQL, sono il tipo più adoperato in acquariologia. Il tubo di scarica di queste lampade è sistemato in un bulbo tubolare privo d’aria che impedisce la trasmissione di calore per convenzione. Per innescare la scarica viene adoperato l’argon. Durante la vaporizzazione del mercurio la pressione del vapore del tubo arriva fino ad una atmosfera. Il bulbo della lampada è ricoperto internamente da uno strato di polveri fluorescenti al vanadaio-ditrio. Queste polveri trasformano parzialmente le radiazioni ultraviolette, emesse dai vapori di mercurio in radiazioni visibili, pertanto la luce emessa è bianca ed è molto più corretta della luce tendente al rosso delle normali lampade al mercurio. Come per i tubi fluorescenti questo tipo di illuminazione necessita di uno speciale impianto alimentatore. La loro durata, anche rispetto alle normali lampade a vapore di mercurio è assai notevole, dopo due anni perdono soltanto circa il 20% della loro luminosità iniziale. La potenza varia al variare delle potenze delle lampade; i tipi più usati in acquariologia sono quelli da 80 e 125 W ed hanno un’efficienza di 40 e 75 lm per ogni watt di potenza. Da sottolineare che lo spettro luminoso è molto vicino a quello solare soprattutto per quanto riguarda le necessità vitali delle piante. Il vantaggio principale di questo sistema è che per illuminare un acquario lungo circa un metro, basta una sola lampada con relativo impianto. Per quanto riguarda poi il prezzo, sempre per un acquario da un metro, esso è simile a quello di un impianto con tubi fluorescenti. Naturalmente ci sono anche degli inconvenienti: primo tra tutti è la produzione di calore, per cui tali lampade devono essere applicate ad una certa distanza dall’acqua, circa 40cm, ciò porta all’eliminazione del coperchio della vasca, cosa discutibile con pregi e difetti. La parte della vasca che di solito è riservata al coperchio, contiene gli impianti elettrici per l’illuminazione, viene allontanata dall’acqua, cosa molto positiva, ma allo stesso tempo non a tutti piace vedere una lampada, abbastanza grande, appesa sopra l’acquario. La luce è meno uniforme ma più concentrata di quella dei tubi fluorescenti e l’effetto ottico è molto simile a quello ottenuto con la luce naturale, inoltre lo spettro luminoso di queste lampade favorisce particolarmente la crescita delle piante più delle fitostimolanti e senza coperchio sarà finalmente possibile vedere la fioritura delle piante fuori dall’acqua. Il difetto più grande del senza coperchio è l’eccessiva evaporazione specie se la temperatura esterna è inferiore a quella della vasca. L’acqua che rimane, se non corretta con l’aggiunta di acqua distillata, aumento sensibilmente la sua durezza. Consumi
L’incidenza sul consumo di corrente elettrica è davvero limitata, infatti:
Una lampada al neon da 20 w accesa per 12 ore al giorno, costerà 1,75€ al mese iva inclusa, ipotizzando che la fascia di consumo sia la più cara e cioè 5 centesimi di euro al giorno. Sostituzione delle lampade
Le prestazioni di una lampada di qualsiasi tipo (ad incandescenza, fluorescente, ad alogenuri metallici, ecc.) decadono nel tempo per effetto di alcuni meccanismi fisici di invecchiamento. Il decadimento in genere riguarda sia un calo dell’intensità emessa che una modifica dello spettro di emissione. Sui cataloghi sono spesso reperibili dati sulla durata delle lampade, che, grazie allo sviluppo delle tecnologie, negli ultimi anni si è andata allungando soprattutto per alcuni tipi di lampade. Questo dato viene determinato dal produttore seguendo normative ben definite, che tuttavia possono essere ben diverse dalle reali condizioni di esercizio in cui una lampada viene utilizzata nell’illuminazione degli acquari. Normalmente quella che viene indicata nei cataloghi europei è la cosiddetta “vita economica della lampada” che viene determinata: “prendendo un certo numero di lampade (1000 pezzi) del tipo in esame, alimentandole a tensione e frequenza nominale di rete (220 V e 50 Hz) ed accendendole secondo un ciclo con un periodo costituito da 3 ore di accensione e da 1 ora di spegnimento fino a quando il livello medio di illuminamento non cala del 30 %”. (la parte quotata in corsivo è una citazione da un messaggio di Gianluca Gadani, tecnico Philips Lighting). Con questo metodo si determina una vita economica che si aggira ad esempio per le moderne lampade fluorescenti sulle 8000-9500 h . Questo significherebbe che, ammesso che mediamente un calo del 30 % della luce emessa rappresenti un livello accettabile di calo delle prestazioni per una lampada fluorescente nell’illuminazione di acquari, allora la sostituzione si renderebbe necessaria all’incirca ogni due anni prevedendo un’accensione di 12 ore al giorno. Tuttavia, a causa di alcuni fattori, l’invecchiamento delle lampade può essere molto più rapido negli acquari e non è neppure detto che il 30 % di calo possa costituire un valore accettabile, senza considerare tra l’altro che per alcune lunghezze d’onda le diminuzioni possono essere ben superiori a seguito delle menzionate variazioni che si hanno anche nello spettro di emissione. Le più importanti cause di invecchiamento sono: – frequenza di accensione e spegnimento
– temperatura di esercizio Più è alta la frequenza di accensione e di spegnimento, più è rapido l’invecchiamento, ma negli acquari ciò non costituisce un problema in quanto si hanno solitamente una sola accensione ed un solo spegnimento al giorno.
Considerando invece che le temperature ottimali di funzionamento delle lampade fluorescenti si collocano tra i 40 ° ed i 50 °C, le temperature che raggiungono le lampade negli alloggiamenti in cui sono poste sopra l’acqua possono essere anche significativamente al di fuori del campo ottimale di temperatura. Spesso la temperatura d’esercizio è superiore ai valori ottimali (solo raramente può risultare più bassa) a causa di difficoltà di smaltimento del calore dai portalampada e dalla plafoniera od in generale dall’alloggiamento della lampada. In tal caso l’invecchiamento può essere anche molto più rapido e spesso si manifesta anche attraverso un annerimento delle estremità della lampada. Quando l’annerimento è abbastanza accentuato è comunque sicuramente arrivato il momento di sostituire la lampada.
Per ovviare all’eccessivo riscaldamento è consigliabile: – utilizzare gruppi di alimentazione di potenza adeguata a quella della lampada. In effetti con gruppi di alimentazione per lampade più potenti di quelli richiesti (ad esempio gruppi da 30 W per lampade da 25 W) si determina infatti un maggior sviluppo di calore.
– Utilizzare gruppi di alimentazione elettronici che per le proprie caratteristiche portano ad un funzionamento a temperature più basse di quelle che si raggiungono con gruppi di alimentazione tradizionali.
– Ventilare opportunamente l’alloggiamento della lampada e scegliere portalampade non troppo isolanti termicamente. Gli spruzzi d’acqua che raggiungono la superficie della lampada possono localmente determinare una diminuzione significativa e temporanea della temperatura (a causa dell’evaporazione delle gocce d’acqua che hanno raggiunto la lampada) ed a lungo andare possono anch’essi ridurre la durata della lampada.
Da quanto esposto è evidente che l’invecchiamento delle lampade può variare molto da un acquario all’altro e quindi non esiste una regola precisa per decidere quando sostituire le lampade. Solo molto indicativamente si può consigliare di sostituire le lampade fluorescenti ogni 8-16 mesi, a seconda soprattutto dell’utilizzo o meno di gruppi di alimentazione elettronica, della durata giornaliera di accensione e dell’adozione di accorgimenti per avere una temperatura di funzionamento ottimale. Inoltre non conviene mai sostituire contemporaneamente tutto il parco lampade, per evitare che cambi eccessivi ed improvvisi nell’illuminazione determinino effetti negativi nella vasca. Spettri luminosi e temperature
Le lampade hanno emissioni diverse lungo lo spettro d’onda a seconda del modello, del tipo e della temperatura di colore: in altre parole, le componenti della luce bianca (principalmente componenti rosso, giallo e blu) si trovano con percentuali diverse, dando così una luce “finale” diversa. Le lampade danno una luce, alla fine, più o meno bianca; ma la composizione di questa luce è ben diversa da lampada a lampada.
La temperatura di colore (misurata in gradi Kelvin °K) è la responsabile della composizione della luce. E’ possibile notare che più è alta la temperatura di colore e più diventa preponderante la parte di luce dovuta alla componente blu; lampade ad altissima temperatura di colore (> 10000°K) sembrano addirittura blu.
Invece, più bassa la temperatura di colore e più alte le componenti del rosso e del giallo; per questo motivo la luce a basse temperature di colore tende al giallo. Le radiazioni rosse della luce favoriscono la crescita in lunghezza delle piante, le radiazioni blu quella in grossezza, ma entrambe devono essere nella giusta proporzione tra di loro affinché le piante possano crescere regolarmente, cosa normale in natura ma più difficile con la luce artificiale.Ogni produttore di lampade utilizza un codice che identifica la temperatura e la resa della lampada stessa. Per esempio, Osram 840, Philips TL/D 84 e GE 84 sono sigle identificative della stessa lampada: una lampada a 4000°K con una resa dei colori superiore all’80%. Infatti, la prima cifra di ogni sigla (8) rappresenta la resa dei colori (8 > 80%, 9 > 90%), le altre la temperatura di colore (27 = 2700, 4 o 40 = 4000, 5 o 50 = 5000, 6 o 65 = 6500, ecc.). Per avere un’indicazione di massima sui watt da utilizzare utilizzeremo questo semplice calcolo:
È bene arrotondare il valore ottenuto in eccesso: in acquariologia di solito, più luce c’è, meglio è.
Teniamo sempre a mente che in ogni caso il numero di W da utilizzare è condizionato da diversi fattori. Ad esempio:
– le caratteristiche della vasca (rapporti geometrici tra le dimensioni, acquari più profondi necessitano di maggiori potenze soprattutto se si utilizzano tubi fluorescenti);
– proprietà ottiche dell’arredamento (ad esempio rocce e fondo chiari o scuri);
– proprietà ottiche dell’acqua (acqua colorata o con particelle in sospensione può assorbire o diffondere la luce in misura molto diversa di un’acqua limpida);
– caratteristiche della sorgente di luce (ad esempio i raggi di luce “collimata” provenienti da una lampada ad alogenuri metallici portano ad effetti diversi da quelli prodotti dalla radiazione diffusa proveniente da un tubo fluorescente);
– esigenze specifiche delle piante e degli altri organismi;
– posizione delle piante e degli organismi all’interno della vasca;
– l’intensità non è l’unico fattore importante nella determinazione della quantità di luce ricevuta giornalmente dalle piante, ma anche la durata del fotoperiodo può avere importanza;
– lo spettro utilizzato;
– risultati che si desidera ottenere;
– altri fattori. Anche sulla tipologia delle lampade esistono diverse correnti di pensiero: alcuni acquariofili preferiscono utilizzare solo lampade fatte apposta per l’acquario, dal costo più elevato; altri ritengono che con le comuni lampade in commercio sia possibile ottenere ugualmente ottimi risultati. Durata del fotoperiodo
Il tempo di accensione delle luci in acquario determina il fotoperiodo con cui gli organismi nella vasca vengono illuminati, in quanto la luce che proviene dall’esterno può nella maggior parte dei casi (se l’acquario riceve direttamente luce solare la situazione è evidentemente diversa) soltanto rischiarare senza avere un’intensità sufficiente a superare il livello di soglia per fare avvenire ad esempio la fotosintesi. Anche nella determinazione del tempo ottimale di accensione delle luci è consigliabile fare riferimento alla situazione che si realizza in natura per cercare di riprodurla in vasca. alcuni artifizi, come quello di spegnere temporaneamente durante la giornata le luci per qualche ora allo scopo di inibire la Per aumentare l’effetto visivo di profondità nella vasca in
genere si preferisce disporre le lampade a tonalità più calda
in primo piano e quelle a tonalità più fredda verso lo sfondo.
Questa scelta naturalmente può non accordarsi con alcune
delle soluzioni appena presentate, per cui in tali casi si tratta
di arrivare ad un compromesso attraverso una scelta
personale. |
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crescita delle alghe, andrebbero evitati perché rendono l’illuminazione innaturale, anche se altri sono di diversa opinione. Alcune caratteristiche che si riscontrano in natura sono qui di seguito elencate: – L’illuminamento non è costante durante l’arco della giornata.
– Lo spettro della radiazione non è costante durante la giornata.
– La direzione da cui proviene la luce varia durante la giornata con lo spostarsi del sole nel cielo.
– La durata della “giornata” varia nel corso dell’anno.
– Durante la notte la pur debole luce fornita dalla luna è rilevabile da molti pesci ed invertebrati.
– Tutte le precedenti proprietà variano a seconda della latitudine o più in generale con la località presa in considerazione. Dunque i fattori che andrebbero presi in considerazione sono molteplici e forse tenere conto di tutti è al di là della capacità dell’acquariofilo, anche se la tecnica sta cercando negli ultimi tempi di fornire soluzioni anche complesse che riproducano il più possibile la situazione in natura. Senza dovere arrivare però a soluzioni estremamente sofisticate (che non verranno perciò discusse) è tuttavia importante determinare quali, tra queste condizioni, sono più importanti e cercare di adattare di conseguenza il sistema d’illuminazione in modo da soddisfare, in maniera quanto più semplice possibile, tali esigenze.
Talvolta anche con mezzi tecnici limitati si possono raggiungere buoni risultati.
Ad esempio è stato visto che è abbastanza opportuno ricreare un effetto di alba e tramonto, anche per evitare che alcuni animali reagiscano negativamente al cambio repentino di luce determinato dall’accensione contemporanea di tutte le luci dell’acquario. A tal fine sarebbe anche consigliabile che l’accensione e lo spegnimento avvengano in un ambiente che sia illuminato. Esistono soluzioni sofisticate per ricreare questi fenomeni naturali, ma in genere è sufficiente prevedere l’accensione e lo spegnimento sfalsati delle lampade, utilizzando un adeguato numero di timer per comandare l’accensione e lo spegnimento. Più lampade ci sono e più progressiva potrà essere l’accensione e lo spegnimento delle stesse. In questa operazione è anche bene, visto che non costa nulla in più, programmare l’accensione partendo dalle lampade poste in acquario ad “est” e procedere poi all’accensione di quelle centrali ed infine con quelle ad “ovest”. I punti cardinali possono essere semplicemente “virtuali” non essendo necessario che coincidano con quelli reali. Lo spegnimento dovrebbe avvenire nello stesso ordine. Questo al fine di ricreare in maniera molto rozza lo spostamento del sole nella volta celeste.
Una soluzione ancora più sofisticata prevede di tenere conto nell’accensione progressiva dello spettro presente nei diversi momenti della giornata. Al mattino ed alla sera i blu e gli ultravioletti sono molto più scarsi che nelle ore centrali della giornata e vi è una relativa abbondanza di radiazioni a lunghezza d’onda maggiore. Dunque, potendo scegliere, è meglio accendere le lampade a minore temperatura di colore o ricche di radiazioni rosse all’alba ed al tramonto e quelle a maggior temperatura di colore nelle ore centrali. Chi utilizza nei marini lampade superattiniche è bene che le accenda solo nelle ore centrali della giornata (UV e blu sono scarsi od assenti negli altri momenti della giornata) anche perché è comunque opportuno tenere accese queste lampade, che emettono fotoni con elevata energia, per un periodo limitato e complessivamente minore di quello delle altre.
Il discorso non si esaurisce qui, ma forse non è neppure opportuno approfondirlo troppo e passare invece a fornire alcune regole di base per la durata del fotoperiodo a seconda del tipo di acquario. Vi è da notare che la durata del fotoperiodo non può essere indicata con estrema precisione sia perché non esistono dati definitivi ed universali su cui tutti sono d’accordo sia perché dipende pure dall’intensità di illuminazione adottata, essendo possibile correggere, ma solo entro limiti ristretti, una scarsa illuminazione aumentando la durata del fotoperiodo e viceversa. Acquario d’acqua dolce tropicale:
Generalmente i pesci e le piante allevati in acquario provengono dai tropici, dove la durata del giorno e della notte è equamente divisa in 12 ore ciascuno.
Verrebbe dunque spontaneo affermare che anche l’illuminazione dell’acquario soddisfi a questa condizione.
In acqua la situazione è un po’ diversa. Dovremo infatti considerare l’angolo di incidenza e la rifrazione e riflessione della luce operata dalla massa d’acqua; più il sole è basso, maggiore sarà la perdita di luce per riflessione. A seguito di ciò possiamo affermare che nelle regioni tropicali la giornata subacquea sarà più breve di quella terrestre.
Sarà sufficiente dunque, mantenere in acquario una illuminazione compresa tra 9 e 12 ore, possibilmente regolata da un timer che ci garantirà un’assoluta precisione. Oltretutto, è stato dimostrato che all’aumentare dell’illuminazione non aumenta l’attività delle piante; queste cessano di fotosintetizzare dopo circa 9 ore di luce.
Tempi più brevi possono determinare carenze ed anche se vengono adottati da alcuni per limitare la crescita delle alghe è meglio, in tal caso, cercare di intervenire su altri fattori che sicuramente determinano lo sviluppo eccessivo delle alghe infestanti. Tempi più lunghi non sono necessari ed anzi possono determinare scompensi nella crescita di piante ed alghe superiori.
L’alba ed il tramonto possono essere relativamente brevi (ad esempio circa 1 ora ciascuno), in quanto ai tropici queste fasi sono piuttosto veloci. Una luce notturna molto debole è utile e si può cercare di variarne l’intensità per simulare le fasi lunari. CAPITOLO 6:
Materiali per l’arredamento E’ bene disporre nell’acquario, oltre alle piante (di cui parleremo nel capitolo successivo), anche rocce e radici in modo da formare un “paesaggio” che rompa l’uniformità di un disegno piatto. Sebbene si arredi l’acquario a vantaggio dei pesci e delle piante, tanto meglio se l’ambiente progettato piace anche a chi lo guarda. Si deve avere molta cura nella scelta delle rocce da usare nell’acquario, queste, per i motivi di cui abbiamo già parlato, non dovranno contenere la minima traccia di calcare. In commercio si trovano moltissimi tipi di rocce utilizzabili per l’acquario d’acqua dolce tropicale. Da quelle arcobaleno, forate e dai colori piuttosto vivaci, che possono essere utilizzate per creare dei rifugi per i pesci più timidi o territoriali, alle lastre di granito ed ardesia , che forniscono degli spettacolare sfondi alla vasca (ma non bisogna eccedere, visto il loro notevole peso). Particolarmente belle sono anche quelle granitiche e basaltiche, molto adatte, in virtù dei loro colori scuri, a mettere in risalto le livree dei pesci.bellissime e molto facile da lavorare sono le rocce laviche; sono sufficienti un puntello e una lima per creare in esse cavità atte all’alloggiamento delle piante rendendo più realistica la realizzazione di terrazze.
Gli zeoliti, hanno, invece, la particolarità di riuscire ad assorbire piccole quantità di sostante azotate (ammoniaca), svolgendo, per un certo periodo di tempo, la funzione di filtro naturale. In ogni caso, qualsiasi roccia si decida di utilizzare (ma questa regola vale per tutti i materiali inerti che dovranno essere posti in acqua), sarà opportuno falla bollire a lungo per eliminare così eventuali germi e sostanze potenzialmente tossiche.
Un altro materiale utili per arredare l’acquario è il legno. Certi rami di alberi sembrano, sott’acqua, vecchie radici o ceppi sommersi. Bisogna prendere anche in questo caso alcune precauzioni; si deve usare solo legno molto da tempo , o il “legno pietrificato” o fossile che si può acquistare da commercianti d’articoli acquatici o nei negozi dei fiorai. Il legno tende a galleggiare, ma si può ovviare all’inconveniente in due modi: facendo bollire il legno per parecchie ore, e poi lasciandolo per parecchi giorni (o anche settimane) a bagno in acqua cambiata di frequente; ciò non solo rende il legno pulito e libero da parassiti, ma lo impregna di acqua e quindi lo fa pesare più dell’acqua. Un’altro metodo consiste nel fissare con una vite di plastica il ceppo o il ramo a un pezzo sottile di ardesia e poi seppellirla sotto la ghiaia perché il suo peso trattenga sul fondo il legno. Quello di torbiera può resistere per anni in immersione senza essere attaccato da funghi e batteri, ma è spesso galleggiante e rilascia una notevole quantità di acidi umici, che tendono ad abbassare il pH dell’acqua,donandole, oltretutto un colore ambrato. Affondanti e dalle forme bizzarre, sono invece i legni di savana, atossici e chimicamente neutri, che provengono da ambienti aridi e ventilati. Il legno fossile, a causa della sua rarità, è uno fra i più costosi materiali d’arredamento. A metà strada fra roccia e pianta, proviene dalle foreste pietrificate, ammassi di alberi che in milioni di anni hanno visto le loro molecole vegetali sostituite da elementi minerali.
Esistono in commercio anche rocce e ceppi realizzati con materiale sintetico, fabbricati con resine e il loro calco viene fatto con uno stampo modellato su un vero ceppo i ramo. Tali strutture sommerse sono pure utili ai pesci per deporvi le uova e come riparo, dietro cui il proprietario dell’acquario può nascondere qualche attrezzatura, come per esempio i riscaldatori o i diffusori. CAPITOLO 7
Quali piante e pesci Le piante Le piante acquatiche, oltre a creare un suggestivo ed esotico effetto decorativo, assolvono due funzioni di vitale importanza per la vita dei nostri pesci: consumando anidride carbonica durante il processo fotosintetico cedono ossigeno; l’altra funzione è l’assorbimento dei composti azotati, potenzialmente velenosissimi, che insieme alla CO2 sono gli elementi base su cui attraverso la fotosintesi, viene creata la materia organica. Le specie di piante disponibili sul mercato sono innumerevoli. per quanto le possiamo amare, anche avendo a disposizione diverse vasche non potremo mai allevare tutte le piante che ci vengono proposte. Le prime piante da mettere in un acquario sono quelle a crescita veloce; ma perché inserire piante veloci a crescere.
La risposta a questa domanda è abbastanza intuitiva: una pianta che cresca velocemente ha la prerogativa di consumare, altrettanto rapidamente, i nutrienti sciolti in acqua. Dato che nelle fasi iniziali di allestimento delle vasche l’accumulo di nutrienti provenienti dal fondo è alto (soprattutto quando si allestiscono vasche seguendo certi metodi) è utile abbinare a frequenti cambi d’acqua una discreta quantità di piante a rapida crescita. Certo, piante rapide significa anche potature frequenti; ma questo è lo scotto da pagare per avere vasche in salute e che non abbiano troppi problemi di alghe o di malattie.
Anche se questo potrà sembrare strano, è sempre meglio acquistare piante giovani piuttosto che piante già adulte. Certo, viste le cifre fa sempre piacere poter portare a casa un bosco, ma una pianta giovane si adatta meglio alle nuove condizioni della vasca che una già adulta. Senza contare che è molto più semplice mettere a dimora nel fondo una pianta giovane, a cui siano state spuntate le radici, che non una pianta madre con un apparato radicale da far invidia a una quercia.
La pianta giovane, inoltre, essendo in piena crescita, ha un vantaggio non indifferente che deriva direttamente dall’impiegare meno tempo ad adattarsi alle nuove condizioni: ha un tempo di latenza nella nuova vasca che è notevolmente inferiore a quello di una pianta adulta, che ha già un tasso di crescita più ridotto. E questo, soprattutto in vasche appena avviate e che richiedono di consumare in fretta i nutrienti in eccesso, è un vantaggio da non trascurare. Le piante non sono mai troppe. Ricordate: sempre meglio mettere una pianta in più e un pesce in meno. I criteri per la scelta delle piante sono molteplici; si deve considerare la luce, l’acqua, il tipo di fondo, i pesci e anche l’abilità e la pazienza dell’acquariofilo. In aggiunta a tutto ciò interviene un fattore, decisamente più complesso: la tipologia di fertilizzazione che vorremo usare per esse. Per quanto questo particolare possa sembrare di poco conto, in realtà esso nasconde diverse insidie in quanto la fisiologia vegetale è così complessa da richiedere parecchia attenzione. Infatti, la scelta delle piante dovrebbe essere fatta pensando, oltre al tipo di acqua che useremo e al tipo di vasca che allestiremo, anche a come decideremo di coltivarle, dal tipo e dalla quantità di luce che decideremo di dar loro, dalla possibilità di somministrare CO2, dal tipo di fertilizzazione che adotteremo (in acqua e/o nel fondo).
Poiché la parte relativa all’acqua è già stata trattata in precedenza, parleremo degli altri punti relativi all’allestimento che potrebbero interessarci. Luce
E’ inutile acquistare piante eliofile se possiamo offrire loro solo una debole illuminazione, o mettere piante sciafile sotto potenti fari HQI. Quando acquistiamo delle piante amanti della luce (in genere, tutte le piante rosse lo sono, per esempio) assicuriamoci di poter fornire loro una posizione in vasca che le metta in condizione di riceverne in quantità adeguata mentre se vogliamo comperare delle Anubias, abbiamo almeno l’accortezza di sistemarle in zone della vasca in cui la luce arrivi smorzata da piante più alte o galleggianti.
In ogni caso, ricordiamo che la luce è il “motore” delle piante e questo motore funziona se c’è un adeguato rifornimento di benzina, costituito dall’apporto di fertilizzanti e CO2. Mettere tanta luce senza fertilizzare di conseguenza o riempire la vasca di prodotti adatti ma senza mettere una luce adeguata, significa dare un grosso vantaggio alle alghe che, prima o poi, ne approfitteranno.
Per cui, è molto importante dimensionare bene i vari componenti e bilanciarli accuratamente in base alle esigenze delle nostre piante.
Quasi tutte le vasche industriali vengono vendute già dotate di impianto di illuminazione; in genere, queste lampade sono a fluorescenza (più impropriamente chiamate “neon”) e sono tra le più versatili in campo acquariofilo. Purtroppo, per motivi legati alla sicurezza degli impianti elettrici installati sulle vasche, l’illuminazione di serie non è quasi mai sufficiente a permetterci di avere vasche “olandesi”. Quindi, è meglio mettere subito in chiaro che se vogliamo avere una vasca di questo tipo dovremo, necessariamente, rivolgerci a una tipologia di illuminazione del tutto differente.
Con la luce fornita dalle vasche industriali possiamo, comunque, avere vasche ricche di vegetazione se sapremo scegliere le piante giuste e adatte alla scarsa luce che riceveranno. Il mercato acquariofilo, infatti, ci permette di scegliere una gran varietà di piante in grado di darci soddisfazioni anche con questa illuminazione; quasi tutte le Cryptocoryne, ad esempio, saranno in grado di adattarsi alla scarsa luce disponibile e di produrre folte foreste subacquee. Accanto a queste, abbiamo le classiche piante sciafile come le Anubias, di cui possiamo trovare moltissime varietà in negozio. Anche parecchi Echinodorus e Rotala possono ben svilupparsi in queste vasche (escluderemo, però, la R. macrandra, una pianta decisamente difficile), oltre all’Egeria densa e alla Limnophila sessiliflora. Ad esse si possono aggiungere il classicissimo Microsorum pteropus, in tutte le sue varianti, alcune Ceratopteris, soprattutto se lasciate galleggiare, e il Ceratophyllum demersum.
Da evitare le Cabomba, piante decisamente poco adatte ai neofiti, soprattutto se coltivate senza CO2. L’anidride carbonica
Questo nutriente costituisce, di certo, il nodo più difficile da sciogliere all’atto dell’acquisto di un acquario; difficile, infatti, far digerire a un acquariofilo la quasi sempre notevole spesa per l’acquisto di un impianto di diffusione di CO2.
In ogni caso, è sempre possibile coltivare piante acquatiche senza dover somministrare necessariamente CO2; quello che conta è sapere che la loro crescita non sarà eccezionale e, di conseguenza, il consumo di inquinanti (come nitrati e fosfati) sarà rallentato.
Tolte alcune eccezioni, moltissime piante acquatiche possono crescere bene in acquario anche senza l’ausilio di questa fonte di carbonio. Attenzione, però, che se esso divenisse carente, le piante andranno a recuperarselo dai bicarbonati, rendendo instabile il sistema acquario, soprattutto se non avremo l’accortezza di eseguire sufficienti e regolari cambi d’acqua.
Una cosa che è utile sapere, però, è che la somministrazione di CO2 diventa davvero necessaria solo se provvederemo a fornire alle nostre piante tutta la luce di cui hanno bisogno; ci accorgeremo se le piante vanno in carenza proprio dal “consumo” di bicarbonati (il nostro KH scenderà in maniera preoccupante, accompagnato da una salita altrettanto preoccupante del pH verso valori troppo basici) o da un rallentamento della crescita.
In ogni caso, il mercato, oggi, offre diversi sistemi, alcuni dei quali decisamente abbordabili come prezzo, tanto da permetterci di valutare più adeguatamente se il nostro sistema acquario necessiti o meno di un più sofisticato impianto di diffusione di CO2 di più ampia durata (in bombola, ad esempio).
In ogni caso, nell’indecisione, meglio acquistare un impianto per la diffusione della CO2 piuttosto che un meno utile cavetto riscaldante per il fondo. La fertilizzazione
Anche questo parametro è molto importante e andrebbe valutato prima di allestire un acquario.
E’ piuttosto difficile, infatti, rifare un fondo in una vasca finita.
Quindi, se decideremo di acquistare piante dotate di buon apparato radicale (Crypto ed Echino, ad esempio), meglio pensare a un fondo fertilizzato fin da subito, mentre se vorremo mettere in prevalenza piante a stelo (con poche radici, quindi), fertilizzare il fondo sarà del tutto inutile.
Una cosa da non dimenticare è che i fertilizzanti per il fondo sono terricci specifici per acquari e sono venduti con la chiara dicitura che si tratta di fertilizzanti per il fondo; giusto per dirla tutta, quindi, la laterite, come tutte le terre rosse ad essa simili, non è un fertilizzante per il fondo. Se, viceversa, si preferisce una fertilizzazione liquida dell’acqua, sarà meglio munirsi di prodotti che siano i più semplici e completi possibili, evitando linee troppo specializzate che comportino l’uso di decine di fertilizzanti diversi.
verificheremo, quindi, che essi contengano i più utili nutrienti come il ferro, il potassio, il magnesio, il manganese e altri micronutrienti.
La varietà di forme e caratteristiche delle piante ne condiziona ovviamente la disposizione nella vasca. Avremo dunque: -Piante per il primo piano che verranno messe davanti a tutte le altre, vicine al vetro da cui si guarda l’acquario, caratterizzate da un’altezza ridotta e una crescita lenta.Ricordiamo tra le altre:Anubias spp, Cryptocoryne spp, Echinodorus tenellus, Sagittaria subulata e platyphilla, Glossostigma elatinoides, Lilaeopsis brasiliensis, Eleocharis acicularis. – Piante per il centro sono quelle sulle quali si focalizza l’attenzione dell’osservatore, piuttosto vistose è bene non collocarle esattamente al centro della vasca ma leggermente spostate a destra o a sinistra. Annoveriamo tra queste: Bacopa caroliniana, Echinodorus parviflorum, Ludwigia arcuata, Micranthemum spp, Nymphaea spp. Vesicularia dubyana, fontinalis antipyretica. – Piante per lo sfondo disposte lungo le pareti laterali e posteriori della vasca, mettono in risalto le livree dei pesci, l’arredamento e le altre piante. Sono utilissime anche per coprire la scatola del filtro ed eventuali tubi. Alcune di queste: Vallisneria spp, Egeria densa, Althernanthera reinickii, Ammania gracilis, Aponogeton spp,Cabomba spp, Cardamine lyrata, Limnophila sessiflora, Myriophillum spp, Higrophila polisperma. – Piante galleggianti utilissime come consumatrici di nutrienti. Devono essere tenute sotto controllo dato che tendono a fare ombra alla piante sottostanti. Inoltre, queste piante costituiscono un ottimo rifugio per molti avannotti che tra esse trovano riparo e cibo; una perfetta alternativa alle “sale parto” in plastica, non troppo belle da vedere. Ad esempio: Lemna spp, ceratophillum spp, Riccia fluitans. La scelta delle piante
Il primo e il più importante criterio che si deve tener presente quando si scelgono le piante, è quello delle esigenze vitali inerenti le caratteristiche chimiche dell’acqua. Dovrebbe essere impensabile tentare di far convivere, nella stessa acqua, piante che necessitano di un’acqua tenera e acida e piante che invece la prediligono relativamente dura con un pH neutro o addirittura basico. Purtroppo però, in molti casi, l’errore principale che gli appassionati fanno è proprio questo.
Per fortuna molte piante sono abbastanza adattabili, ma ciò non esclude che, non trovando le condizioni ambientali ideali, la loro crescita e il loro sviluppo in generale ne risenta. È inutile sottolineare che, secondo il tipo di acquario che si vuole allestire, molto spesso le caratteristiche chimiche dell’acqua sono condizionate dagli ospiti “primari” cioè dai pesci; di conseguenza si dovranno impiegare piante che possano vivere bene nell’acqua necessaria per l’allevamento e l’eventuale riproduzione dei pesci da noi prediletti. Tuttavia non va dimenticato che le cose, anche se a prima vista possono sembrare complesse, in realtà non lo sono se ci si accontenta un po’.
Invece di volersi sbizzarrire nella scelta di piante particolarmente “strane”, conviene ricorrere ad una vegetazione più comune, con piante cioè che vivono molto bene in una cosiddetta acqua standard, che sarebbe poi in pratica il tipo di acqua che normalmente viene erogata dal rubinetto di casa nostra. Molte piante, infatti, possono essere coltivate con successo in un’acqua con durezza media (10-15° dGH) e pH neutro o leggermente basico (pH 7-7,5). D’altra parte queste sono anche le condizioni più adatte per la maggioranza dei pesci. Chi si vuole specializzare nell’allevamento di pesci che richiedono condizioni acquatiche particolari, può condizionare a ciò anche la scelta delle piante. Se invece si pensa di allestire un acquario per ben determinate piante, le quali hanno particolari esigenze per quanto riguarda le caratteristiche chimiche dell’acqua, saranno i pesci ad essere scelti in considerazione di questo fatto. La scelta del tipo di acquario è di conseguenza di notevole importanza durante questa prima fase di progettazione. Una volta chiarite queste questioni preliminari si dovrebbe affrontare il ben più difficile compito della scelta delle varie specie di piante da introdurre nella vasca da arredare. Il compito è difficile, non tanto perché si devono rispettare certi criteri, quanto per la disponibilità delle piante sul mercato.
Non sempre tutte le piante che l’appassionato trova elencate nei libri sono disponibili sul mercato. Inutile fare dei progetti per poi dover rinunciare alla loro realizzazione per mancanza di materiale vivo. Conviene perciò informarsi prima presso alcuni negozi specializzati sulla disponibilità dei vari tipi di piante. Questo anche in considerazione del fatto che l’allestimento dell’acquario dovrebbe avvenire in un solo colpo, evitando cioè dei vuoti che, almeno nelle intenzioni, dovrebbero essere riempiti in un momento successivo con qualche nuova pianta. Ma l’acquario non è una collezione di francobolli che può essere completata con qualche pezzo raro man mano che il tempo passa. Tutto questo significa, ovviamente, anche tenere presenti i problemi di carattere economico. Fra le piante, come fra i pesci, esistono delle specie costose ma anche moltissime (e sono la maggioranza) che vengono offerte relativamente a buon mercato. Un altro fattore da considerare è la grandezza delle piante.
Come per i pesci non è tanto importante la grandezza che le piante possono avere al momento dell’acquisto quanto quella che raggiungeranno dopo che sono state introdotte nell’acquario. Spesso esistono notevoli differenze. Una pianta acquistata di dimensioni minute, dopo breve tempo, può diventare nell’acquario un esemplare stupendo che occupa mezza vasca. Le dimensioni delle piante inoltre condizionano anche il loro utilizzo nell’ambito del progetto di arredamento.
Le piante basse che formano compatti cespugli o tappeti vengono ovviamente usate per i primi piani, mentre piante alte che eventualmente occupano anche poco spazio, sono più adatte per ricoprire le pareti della vasca, lasciando un sufficiente spazio libero ai pesci per nuotare. Per ottenere inoltre un gradevole effetto estetico, conviene prevedere, già in fase di progettazione, alcune piante con differente tipo di fogliame e anche di diversa colorazione. Cespugli di qualche pianta con fogliame rossastro danno un notevole effetto ottico, come pure una pianta con fogliame grande può creare un
ottimo contrasto con un gruppo di piante con foglie esili e frastagliate. Per effettuare questa prima selezione fra le piante disponibili sul mercato, conviene consultare anche qualche testo specializzato dotato di buone fotografie, in modo da trovare sufficienti spunti per la progettazione dell’arredamento.
In ogni caso ci si deve sempre ricordare che, salvo poche eccezioni, nessuna pianta deve essere inserita nell’acquario singolarmente. Non solo per motivi estetici, ma soprattutto per motivi di carattere botanico, la maggior parte delle piante d’acquario cresce meglio se coltivate in gruppi. Dipende ovviamente dal tipo della pianta se questi gruppi sono più o meno compatti e cioè se le singole piante hanno uno spazio libero intorno più o meno grande. Alcune piante possono essere però impiegate singolarmente. In genere sono le specie che raggiungono maggiori dimensioni, che inoltre negli acquari di una certa grandezza vengono in genere impiegate come richiamo ottico. In base al progetto e al tipo di piante scelte, si potrà poi anche stabilire quale materiale di fondo usare. Infatti, insieme con le caratteristiche chimiche dell’acqua, il materiale di fondo è uno degli altri principali fattori che condizionano la crescita delle piante in acquario. Normalmente basta introdurre nella vasca uno strato di speciale terriccio per piante acquatiche. In commercio esistono delle miscele speciali che contengono argilla e sostanze nutritive particolarmente adatte per la coltivazione delle piante acquatiche.
È assolutamente da sconsigliare l’uso di terriccio per la floricoltura. Questi tipi di terriccio non sono adatti per l’uso in acquario. Alcuni contengono dei fertilizzanti che a contatto con l’acqua dell’acquario potrebbero diventare tossici per i pesci. Tutti, inoltre, sono fisiologicamente inadatti per l’impiego in coltivazioni di piante sommerse perché provocherebbero uno sviluppo sproporzionato di alghe, dannose per la coltivazione delle piante acquatiche. I terreni speciali per la coltivazione delle piante acquatiche, vengono poi ricoperti da uno strato di ghiaietto (grana non troppo fine). Tutto il materiale di fondo non deve essere troppo alto (non superiore ai 5-7 cm di spessore) per evitare pericolosi processi di decomposizione tramite batteri anerobici (mancanza di ossigeno). Nel caso si volessero coltivare delle piante particolarmente grandi in grossi acquari, conviene utilizzare dei vasi da fiori (esistono speciali vasi da fiori in torba) in modo che il materiale di fondo sia particolarmente alto solo in una zona ben delimitata, più che sufficiente per la coltivazione di questa singola pianta.
Per la coltivazione di alcune piante particolari, prima di tutto per le Cryptocoryne, si potrà rendere necessaria la somministrazione di speciali sostanze a base di ferro al materiale di fondo. Infatti queste piante vivono in natura in un ambiente acquatico particolarmente ricco di sostanze ferrose . Chi vuole creare le condizioni più favorevoli per la coltivazione delle piante dovrà eventualmente prevedere anche l’impiego di un rifluitore di fondo o di un riscaldatore a cavetto, posto sul fondo dell’acquario prima dell’introduzione della sabbia. Si è potuto dimostrare infatti che una lenta ma continua circolazione di una piccola quantità d’acqua, dal basso verso l’alto attraverso il materiale di fondo, crea le condizioni più favorevoli per la crescita di quasi tutte le piante d’acquario. Non va dimenticato inoltre che alcune piante acquatiche sono particolarmente sensibili ai cosiddetti “piedi freddi” preferiscono cioè affondare le radici in un fondo riscaldato. A seconda della sua potenza il cavetto riscaldatore può sostituire il normale riscaldatore o semplicemente affiancarlo e va applicato ad un termostato come qualsiasi riscaldatore normale.
Per non incorrere in problemi successivi che spesso sono di difficile soluzione, è opportuno considerare tutti questi fattori ancora prima di iniziare il vero e proprio arredamento e soprattutto prima di piantare qualsiasi pianta. Il buon funzionamento di un acquario dipende per una percentuale assai elevata proprio dall’accuratezza con cui è stata programmata tutta l’installazione degli accessori e l’arredamento della vasca. I pesci Una delle principali attrazioni dell’acquario è la varietà dei pesci in esso contenuti. Osservare le loro attività e reazioni, studiare il loro comportamento, il loro riprodursi, o semplicemente godersi la macchia di colore che creano, tutto ciò rende il prendersi cura dell’acquario un hobby affascinante. Molti sono i pesci ornamentali adatti alla vita nelle vasche domestiche e sono facilmente acquistabili presso i negozi specializzati. Prima dell’acquisto però occorre conoscere bene la vasca che abbiamo allestito e di conseguenza scegliere i pesci in base anche alla compatibilità tra le varie specie che poi dovranno convivere. Inoltre i pesci possono occupare diversi livelli dell’acqua (alto, medio, basso), per cui nella scelta devono essere tenute conto anche queste particolarità per evitare di avere una vasca popolata da pesci che si muovono tutti sul fondo o sotto il pelo dell’acqua. L’allestimento previsto per questa vasca non sarà olandese “puro” (totale assenza di pesci), ma prevede la presenza di pochi pesci che ne movimenteranno l’insieme. Indicheremo di seguito alcune combinazioni di pesci atte a essere ospitate nel nostro acquario; l’assortimento è mirato in modo tale da evitare qualsiasi problema di incompatibilità tra le specie. 1° COMBINAZIONE:
2 otocinclus (pulitori da vetro)
4 corydoras (pulitori da fondo)
2 Colisa laila (una coppia ) L’allestimento di questa combinazione dovrà prevedere moltissime piante, anche galleggianti. Il fondo è meglio allestirlo con sabbia scura, ciottoli e radici. 2° COMBINAZIONE:
(avendo cura di alzare un po’ il gH e il kH)
1 ancistrus (pulitore da vetro)
4 corydoras
2 portaspada (un maschio e una femmina)
Anche in questo caso bisogna provvedere ad un’abbondante vegetazione, molto gradita dai portaspada e nascondigli per Corydoras e Ancistrus, quest’ultimo sarà attivo soprattutto di notte. I Corydoras preferiscono un fondo morbido, perciò è da preferire la sabbia o ghiaino molto fine e ben arrotondato. 3° COMBINAZIONE:
(avendo cura di alzare un po’ il gH e il kH)
4 botia macracantha (pulitore da fondo, controlla anche le lumachine)
1 gyrinocheilus
4 Platy (1 maschio 3 femmine)
Ghiaia e sabbia fine con moltissimi ciottoli arrotondati sono un buon arredo per questa vasca con una grossa radice e molte piante soprattutto fluttuanti lungo i lati della vasca, così da lasciare tutto lo spazio centrale per il nuoto di queste specie. 4° COMBINAZIONE:
5 caridina japonica
2 betta splendens (coppia)
4 otocinclus 5° COMBINAZIONE
2 botia macracantha
10 neon
2 otocinclus Nonostante la spiccata preferenza di questo manuale per le piante proponiamo qualche nozione generica sulla scelta dei primi pesci.
Sarà opportuno iniziare con pesci facili da gestire e poco costosi, in modo da imparare gradualmente le regole dell’acquariofilia ed evitare spiacevoli inconvenienti.
Con il tempo e con un po’ d’esperienza, arriveremo ad affrontare situazioni sempre più complesse, ma anche molto più ricche di soddisfazioni ed emozioni. Pecilidi
La famiglia per eccellenza adatta ai principianti è rappresentata dai pesci ovovivipari (cioè che partoriscono un avannotto già formato) cioè i Pecilidi, di cui il più famoso rappresentante è senza dubbio il Lebistes Reticulatus o Guppy. Questo splendido pesciolino è il primo in genere che ci fa avvicinare al mondo degli acquari e non c’è acquariofilo al mondo che nelle sue vasche non lo abbia ospitato almeno una volta. Una tempo era consigliato per la sua eccezionale robustezza, adattabilità e moltitudine di forme e di colori.
Oggi purtroppo a causa dell’allevamento industriale di cui è oggetto, le manipolazioni genetiche per migliorare forme e colori, l’uso di ormoni, il Guppy ha subito probabilmente delle degenerazioni genetiche che lo hanno reso estremamente sensibile alle malattie e sostanzialmente la razza di importazione sembra molto più indebolita rispetto ai predecessori che nuotavano nella mia vasca una ventina di anni fa.
Infatti la forma originale non ha ne le lunghe code ne i bellissimi colori de pesci degli allevamenti specializzati, ma in compenso erano robustissimi e praticamente indistruttibili.
Altri rappresentanti della famiglia sono il black molly: dal colore nero-velluto è di grande effetto estetico, ma non tutti sanno che vive in acqua salmastra o addirittura salata. Il platy: dalle livree vivaci e dal comportamento pacifico. il portaspada: pacifico e robusto, affascina per la lunga “spada” che forma il margine inferiore della coda del maschio.
La caratteristica principali di questa categoria di pesci è che sono molto facili da riprodurre, non sono molto esigenti e possono assumere svariate colorazioni. pH e GH dovrebbero essere intorno ai 7,5 per il primo e 15/20 gradi per il secondo. Ciprinidi
Una famiglia ricca di specie molto diffuse è quella dei ciprinidi e troviamo: la rasbora, il barbus tetrazone, il danio zebrato, l’acanthophthalmus kuhilii (occhio spinoso) e molti altri tra cui anche il “pesce rosso”. Questi pesci, in genere di dimensioni contenute, sono pesci di branco e quindi non vanno mai tenuti da soli, ma almeno 4-5 unità. infatti questi pesci se non tenuti in branchi numerosi, possono dilettarsi, per noia, a sbocconcellare le pinne dei loro coinquilini; pertanto sono sconsigliati come compagnia a pesci con pinne lunghe (Scalari, Betta, Lebistes, ecc….). Altri ciprinidi molto conosciuti sono il genere Brachydanio, che hanno la prerogativa, unita ad una gran varietà di colori, di essere nuotatori velocissime e di essere sempre in movimento. Acque di durezza media\tenera e Ph 7,0\6,5. Caracidi
Per quanto riguarda la famiglia dei Caracidi si può affermare che, a parte qualche eccezione, sono tutti adatti al principiante, in particolare i generi Hemigrammus, Hyphessobrycon, Gymnocorymbus e Paracheirodon cui appartengono le specie dai colori iridescenti conosciute universalmente con il nome “Neon” e “Cardinale”. Hanno necessità molto simili a quelle dei ciprinidi. Ciclidi
La famiglia dei Ciclidi offre poche possibilità al neofita, perché si tratta di pesci o troppo delicati o viceversa troppo aggressivi. L’unica eccezione ci è concessa dal famosissimo Scalare. È un pesce territoriale e con il tempo, può diventare aggressivo ed è quindi consigliabile ospitarli in acquari grandi se di comunità o in acquari dedicati solo a loro. Questi pesci molto eleganti necessitano per esternare tutto il loro splendore e la regalità dei movimenti di un acqua lievemente acida e tenera. Labirintidi
La famiglia dei Labirintidi, a cui appartengono pesci originari del Sud-Est Asiatico, sono caratterizzati da due prerogative comuni: la prima è di poter utilizzare attraverso un organo particolare detto “Labirinto” (da qui il nome) l’ossigeno atmosferico, la seconda è costituita dal fatto che i maschi di questa famigli costruiscono nidi di schiuma galleggiante dove curano le uova. Trichogaster, Colisa, e Betta Splendens sono gli esponenti più conosciuti di questa famiglia. Passiamo ora a vedere i cosiddetti “pesci pulitori”, i quali devono essere suddivisi in due categorie: mangiatori di alghe e pulitori di fondo.
Gyrinocheilus è il genere che dagli albori dell’acquariofilia è rinomato per la sua attività fitofaga, ma a volte può diventare aggressivo anche in giovane età e disturbare eccessivamente i suoi compagni di vasca.
I Loricaridi invece sono pesci pacifici in tutto e per tutto e sono degli insostituibili divoratori di alghe e di detrito organico: i generi Ancistrus e Plecostomus sono fra quelli di più facile reperimento presso i negozianti.
Il genere Otocinclus ultimamente è molto apprezzato dai vari acquariofili per la sua sobrietà oltre ad essere un instancabile divoratore di alghe.
I più comuni pulitori di fondo appartengono al genere Corydoras; sono molto robusti e non necessitano di cure particolari, tranne per ciò che concerne l’alimentazione.Troppo spesso vengono considerati solo pulitori, pensando che si nutrano esclusivamente del cibo avanzato dagli altri pesci: non esiste metodo migliore per far deperire questi buffi quanto utili animali. Loro unico tallone d’Achille è proprio l’alimentazione che deve essere abbondante. A tale proposito esistono in commercio apposite pastiglie di cibo che cadendo sul fondo dell’acquario forniscono ai Corydoras tutto il nutrimento necessario.
Altri pulitori da fondo sono i Botia, splendidi pesci dalle livree affascinanti, rovistano in continuazione sul fondo e lo mantengono pulito oltre ad avere il grandissimo pregio di essere voraci divoratori di lumache.
CAPITOLO 8
Impianti collaterali e accessori Per la realizzazione e il mantenimento della nostra vasca avremo bisogno di alcuni attrezzi e accessori.
L’offerta del mercato è vastissima e spesso i prezzi sono elevati. Cerchiamo di capire insieme quali sono i più utili e quali invece possiamo trascurare. L’aeratore:
è una semplice pompa che aspira aria dall’ambiente e la immette in acquario tramite un tubo, diffondendola con una pietra porosa o un altro strumento adatto alla bisogna. Comunque sia, si tratta di aria; non facciamoci confondere da chi suggerisce l’uso di questo strumento per ossigenare l’acqua. Il gas che andremo a diffondere con questo apparecchio è aria e non ossigeno. Il suo uso è consigliabile nelle vasche con tanti pesci e poche piante per aiutare lo scambio gassoso ossigeno – acqua. Nelle vasche con molte piante e pochi (o nessun) pesci, e magari un impianto CO2, se ne può tranquillamente fare a meno: il suo continuo smuovere l’acqua aumenta la dispersione della preziosa CO2. Il riscaldatore e il termometro:
il mantenimento di una temperatura costante è affidato al termoriscaldatore, costituito da una robusta provetta di vetro speciale, contenente una resistenza elettrica con termostato meccanico incorporato.
La potenza di un termoriscaldatore si misura in Watt, di solito questa oscilla tra 25 e 300 W. La scelta della potenza è relativa, in quanto a parità di volume d’acqua un termoriscaldatore di potenza inferiore impiegherà poco tempo in più per portarla a temperatura rispetto ad uno più potente; tuttavia è preferibile utilizzare una potenza adeguata al volume d’acqua, questo per evitare che il riscaldatore stia acceso ininterrottamente. Se si vuole risparmiare, dunque, lo si faccia per la potenza ma non per la qualità.
Ovviamente, per mantenere costantemente sotto controllo la temperatura dell’acqua un piccolo termometro è indispensabile. I fertilizzanti
I fertilizzanti sono indispensabili per fornire alle piante i nutrienti necessari al loro sviluppo e che non riescono a trovare né in acqua, né nel fondo. Ve ne sono tantissimi in commercio: liquidi, solidi, a stick, a barrette, con somministrazione giornaliera ecc. I fertilizzanti per il fondo
Questi fertilizzanti sono i più consigliati in quanto permettono di “nascondere” alle alghe tutti i nutrienti che servono alle piante. Esistono in commercio diversi prodotti ed il loro scopo è quello di fornire nutrimento alle piante dotate di radici. Purtroppo, però, sopratutto se le vasche sono molto illuminate, la loro durata è limitata nel tempo e dovrebbero essere reintegrati. La difficoltà sta nel fatto che questi fertilizzanti devono stare sotto il substrato e non è possibile ripristinare la loro funzionalità se non rifacendo ex novo l’acquario. Va da sé che questo tipo di fertilizzazione deve essere ben preventivato e studiato prima di allestire un acquario in quanto una volta avviata la vasca è impossibile rimettere mano al tutto e rifare il fondo. Il fondo che prepareremo in questo caso possiede già una notevole azione fertilizzante dunque sotto questo aspetto non dovremmo avere problemi. Gli additivi per il fondo
Questi prodotti sono usati come palliativi per rifornire un fondo esaurito o non ben fertilizzato; in genere, però, si tratta di prodotti di scarsa o dubbia efficacia e di durata breve. Inoltre, il loro posizionamento richiede di intervenire in prossimità delle radici delle piante con rischio di danneggiarle o di sollevare detriti e sedimenti. Infine, la loro formulazione è tale da produrre un discreto inquinamento in quanto i leganti usati per tenere insieme i nutrienti sono sostanze estranee all’acquario e del tutto inutili per la sua ecologia. Alcuni utilizzano gli stick per piante d’appartamento e, pare, funzionano egregiamente. Nel caso si voglia intraprendere questa via (anche se, senza la necessaria esperienza, è sconsigliabile) cercheremo quelli con il più basso contenuto percentuale di azoto e fosforo e li spingeremo bene in profondità. I fertilizzanti per l’acqua
Si tratta dei prodotti forse più usati in assoluto. Dato che non tutte le piante acquatiche assorbono dalle radici (alcune, le radici non le hanno nemmeno), ma tutte assorbono dalle foglie, questo è di gran lunga il metodo di fertilizzazione più usato e utile. Il problema principale che si pone con questo tipo di somministrazioni è la facilità di sovradosaggio con conseguente accumulo in acqua di sostanze nutritive utili per le alghe. Per questo motivo staremo sempre molto scarsi coi dosaggi, sopratutto se la vasca non è molto dotata di piante. ricordiamo che, spesso, molti dei componenti di questi prodotti, sopratutto quelli da dosare giornalmente, sono sostanze con una stabilità limitata nel tempo e non possono essere conservati per lunghi periodi salvo perdita di efficacia. Quindi, non compreremo mai quantità eccessive e li terremo lontano dai raggi diretti del sole o dalle alte temperature. Se potendo scegliere, preferiremo il metodo “poco, ma spesso”, piuttosto che “tanto, ogni tanto”, di somministrazione.
La fertilizzazione va fatta in base alla massa vegetale che abbiamo in vasca, per cui, se potiamo le piante, non fertilizzeremo per le prime 24 ore e, dopo, con moderazione. Le piante potate, per i primi tempi, impiegano la loro energia fotosintetica per porre rimedio ai danni della potatura e non consumano nutrienti per crescere. Inoltre, per i primi tempi, la massa vegetale sarà ridotta rispetto a prima e richiederà meno nutrimento.
Sarà dunque indispensabile possedere almeno un fertilizzante liquido; il fondo che allestiremo in questa nostra vasca ci garantisce già un buon apporto di nutrienti per un lasso di tempo abbastanza lungo. Per quanto riguarda il dosaggio è buona norma iniziare con la metà delle dosi consigliate in confezione; successivamente, potremo provare con dosi più o meno elevate e che meglio si adatteranno alla caratteristiche, uniche, del nostro acquario. Ricordiamo che con temperature dell’acqua più elevate si dovrà fertilizzare più “pesantemente” e che in presenza di alghe conviene ridurre, se non eliminare del tutto, la somministrazione. L’ impianto di anidride carbonica
L’ unico modo efficace di somministrare CO2 in acquario è mediante l’ utilizzo di particolari impianti di diffusione reperibili in tutti i negozi di acquariologia. Le caratteristiche e i prezzi variano molto, si va da apparecchiature manuali molto semplici ed economiche fino ad apparecchiature sofisticate e precise, gestite da piccoli processori digitali. E’ importante precisare che tutte, dalle più semplici alle più complesse, utilizzano praticamente il medesimo efficiente concetto di somministrazione: una bombola che rilascia CO2 all’ acqua mediante un diffusore. I sofismi che fanno lievitare i prezzi sono principalmente legati alla precisione della somministrazione e del controllo, e alla facilità della gestione. Con questo non si intende dire che la tecnologia in acquario sia superflua, anzi spesso ci è di enorme aiuto, ma semplicemente che per ogni tasca può esistere un efficacissimo metodo di somministrazione di CO2.
Tuttavia, La somministrazione di CO2 deve essere commisurata alle piante che coltiviamo e alla nostra voglia di vederle crescere. Alcune di esse (come Anubias, Microsorum e Cryptocoryne, ad esempio) possono crescere benissimo con la sola CO2 atmosferica che diffonde in acqua grazie al movimento superficiale. Altre, invece, possono sfruttare la CO2 dell’aria se riescono a raggiungere la superficie e a emergere.
In altri casi, tranne che con piante particolarmente esigenti, ci si potrà accontentare di piante che crescono a velocità contenuta, solo con la CO2 che entra in vasca dall’aria.
Infine, non dimentichiamo che le piante che provengono da ambienti con acque che non siano del tutto prive di KH, e che sono quasi la maggioranza di quelle usate in acquario, hanno la capacità di assorbire il carbonio che serve loro dai carbonati; certo, il processo ha un certo costo energetico per la pianta, ma in caso di carenza è meglio di niente.
In ogni caso si ritiene che, parlando di acquario olandese, si usufruisca dei vantaggi della CO2 ; la nostra vasca infatti prevede un impianto artigianale a base di lievito e zucchero che, pur non garantendo la precisione di un impianto apposito, ci fornirà una giusta quantità del prezioso gas. La CO2, se somministrato per errore in dosaggi troppo elevati, può dare problemi di intossicazione ai pesci (impedisce loro di liberarsi dalla CO2 della respirazione). I valori limite oscillano a seconda delle specie di pesci, in ogni caso non devono superare i 60 mg/litro. I sintomi di avvelenamento da CO2 sono respirazione accelerata, nuoto agitato, barcollamenti, posizione laterale o obliqua. La paralisi respiratoria e la morte sopraggiungono abbastanza rapidamente. Per eliminare l’ eccedenza del gas è necessario effettuare immediatamente un cambio dell’ acqua e, se possibile, aerare abbondantemente. |
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Il carbone attivo:
è frutto della parziale combustione di legnami specifici, spesso legno di cocco.
Si presenta di una colorazione nera e le forme più consuete in commercio sono le scaglie e gli stick (o granuli), con misure varianti fra 1 e 10 mm. circa.
La caratteristica di questo materiale è quella di attirare ed assorbire, processo favorito dalla struttura molecolare simile ad una spugna, molte sostanze.
Nell’affermare questo è d’obbligo considerare che esistono in commercio diverse qualità di carbone attivo, più o meno valide, e si differenziano tra loro per alcune caratteristiche fondamentali: forza di assorbimento, e capacità di non alterare il pH dell’acqua in cui agisce (caratteristica abbastanza rara
comunque verificabile con un semplice test appropriato). Questo prodotto dovrebbe essere usato negli acquari con molta parsimonia e solo in caso di effettiva necessità: dopo un trattamento con farmaci per ripulire l’acqua o in presenza di un avvelenamento da sostanza tossica presente nell’acqua dell’acquario. Ogni altro uso del carbone attivo dovrebbe essere evitato. E’ infatti noto che il suo impiego elimina dall’acqua anche gli oligoelementi utili per le piante. Inoltre, un carbone non di ottima qualità ha degli effetti collaterali sgraditi; ad esempio potrebbe rilasciare fosfati, oppure potrebbe alzare, anche di diversi decimi di unità, il pH dell’acqua. Quindi è bene limitarci all’acquisto di carboni di buona marca, anche se non sempre i più cari sono anche i migliori. L’uso di questo materiale filtrante è da consigliarsi in quattro casi in ordine di priorità:
1. al termine di trattamenti medicinali allo scopo di assorbire le rimanenze degli stessi spesso sottoforma di coloranti
2. quando si desidera eliminare sostanze coloranti nell’acqua emesse da materiali d’arredo ad esempio legni di torbiera
3. quando si desidera un acqua estremamente priva di coloranti e cristallina.
4. quando per qualsiasi motivo non si è in grado si fare il cambio parziale dell’acqua Il carbone attivo va posto in appositi contenitori di rete e posizionato all’interno del filtro come ultimo materiale filtrante, in modo da ricevere un’acqua prefiltrata e priva di particelle grossolane o medie.
Le quantità d’uso sono riportate sulle confezioni in commercio in rapporto al volume d’acqua contenuto nell’acquario.
I primi 5-6 giorni viene sfruttato circa il 95% del potenziale assorbente per altri 20 giorni circa il c.a. assorbe ancora, anche se in maniera veramente minima dopo 25 giorni circa tende a rimettere in circolo tutte le sostanze prima assorbite.
Mai scordarsi del carbone attivo nel filtro, perlomeno per più di 10/15 giorni, comunque 5-6 sono più che sufficienti.
Il potere adsorbente di questo materiale non è di tipo selettivo, cioè trattiene inquinanti non graditi all’acquario, ma anche sostanze molto importanti come vitamine, oligoelementi e fertilizzanti per piante, tutte sostanze da reintegrare al termine di trattamenti con il materiale filtrante in questione. La torba:
ovviamente, ma per scrupolo lo si specifica ugualmente, la torba di cui ora andremo a parlare è quella apposita per acquari, in granuli o liquida. Questo perché in molti centri giardinaggio è possibile trovare torba fertilizzata o anche torba di sfagno: non sono adatte ad essere usate in vasca (la prima per l’ovvio potere inquinante e la seconda perché ha la tendenza a decomporre se tenuta troppo tempo immersa in acqua). Questo prodotto viene oggi venduto sotto diverse forme: solido, come granuli da inserire nel filtro o nel materiale di fondo, o liquido, sotto forma di estratti. Entrambi abbassano il pH e aumentano il potere tampone. Questo prodotto rappresenta probabilmente il miglior mezzo per abbassare il pH in modo naturale e innocuo per pesci e piante.
Ma passiamo ad esaminare le differenze esistenti tra le due forme. Innanzitutto, la torba in granuli ha un potere colorante molto marcato, impartendo all’acqua il classico colore ambrato (in alcuni casi addirittura marrone scuro), tipico di alcuni fiumi sud Americani e caratteristico del biotopo di alcuni caracidi, quali i Neon ed i Cardinali, e dei Discus. Inoltre i granuli hanno un discreto potere adsorbente (anche se non pari a quello del carbone attivo).
La torba liquida, meglio nota come estratto di torba, rappresenta un concentrato dei componenti della torba stessa. Ha il pregio, secondo alcuni, di non colorare l’acqua come invece fa la torba in granuli.
I componenti principali della torba sono i cosiddetti acidi umici, acidi aromatici ad alto peso molecolare, che hanno diverse caratteristiche utili nell’acquario. Vediamone alcune. Innanzitutto, essi sono costituiti da composti di diverse famiglie quali lignine, tannini e acidi fulvici. Essendo acidi carbossilici essi hanno il pregio di poter complessare molti ioni positivi, rendendoli più stabili e disponibili per un uso biologico, ad esempio, per le piante. Inoltre possono chelare i metalli pesanti e tossici come il piombo ed il cadmio, neutralizzandoli. Gli acidi umici possono, ovviamente, essere eliminati per adsorbimento su carbone attivo.
L’utilizzo della torba, così come già detto per il carbone attivo, è utile in determinati casi.
Vediamoli 1. Per regolare il pH
La torba, ha il potere di abbassare il pH dell’acqua in quanto rilascia acidi umici (principalmente composti fenolici e derivati dell’acido gallico, ottenuti dalla degradazione delle lignine) che sono acidi organici di debole forza. gli acidi umici oltretutto hanno il potere di legare metalli pesanti diminuendone la tossicità e rendendoli più assimilabili dalle piante. Inoltre, reagiscono con composti basici presenti nell’acqua e formano sali che hanno un elevato potere tampone, tanto che acque da osmosi inversa trattate SOLO con torba (e che, quindi, hanno una durezza carbonatica nulla o quasi) risultano essere molto stabili agli sbalzi di pH. Quindi, trattare un’acqua con torba (a tale proposito rimandiamo alla parte dedicata al “fai da te” per realizzare una “bomba di torba”) può servire a portare il pH sotto il limite invalicabile di 7.2-7.3, soglia minima raggiungibile in una qualunque acqua a cui non venga aggiunta CO2, e può stabilizzarne il suo valore. E’ molto importante fare attenzione al fatto che la torba, ha un discreto potere addolcente e che potrebbe far calare il KH a valori pericolosamente bassi, tanto da far precipitare il pH sotto 5 se non si prendono le opportune precauzioni. 2. Per intenerire l’acqua
Come appena detto, la torba ha il potere di intenerire l’acqua, sottraendo ioni calcio, magnesio e bicarbonati; il suo potere addolcente, tuttavia, è dipendente da quanto trattata è la torba e da quanto alte sono le percentuali dei sali, oltre che dalla quantità usata. Usare la torba per questo scopo, tuttavia, potrebbe rivelarsi un problema maggiore di quello a cui si vuol porre rimedio in quanto, come si sa, la torba ha il potere di colorare l’acqua in maniera anche pesante. Questo, per chi coltiva piante, potrebbe rivelarsi un problema di non facile soluzione. Sarà dunque preferibile utilizzare acqua RO o distillata tagliata con acqua di rubinetto o preparata con apposite soluzioni saline di cui parleremo in seguito. 3. Per mimare l’habitat naturale dei nostri pesci
Molti dei pesci utilizzati in acquariofilia provengono da zone in cui l’acqua dei fiumi è resa scura dalla decomposizione di foglie, rami e altre materie organiche; ovviamente, cercare di riprodurre queste condizioni in acquario potrebbe contribuire a mettere a loro agio i pesci di tali zone. E’ anche abbastanza evidente, però, che la maggior parte dei pesci oggi disponibili sul mercato è riprodotta in cattività, in acque che nulla hanno a che vedere con quelle originarie della specie; quindi, non pare molto conveniente cercare di ricreare condizioni ormai estranee e sconosciute. E’ però accertato che l’acqua scura, più per l’effetto di smorzare la luce che per altro, rende più tranquilli i pesci che, spesso, assumono comportamenti più vicini a quelli reali. La scelta a questo punto è rimandata al gusto di ogni singolo acquariofilo, anche se, chi ama le piante d’acquario, non ama vedere smorzati i colori delle sue beniamine dall’acqua scurita dalla torba. gli acidi umici
disciolti in acqua hanno il potere di assorbire una gran quantità della radiazione blu dello spettro luminoso che a fatica abbiamo cercato di fornire alle nostre piante con un’illuminazione più o meno potente. Quindi, l’uso della torba, potrebbe vanificare lo sforzo di fornire alle piante tanta luce magari con l’applicazione di tanti tubi fluorescenti e/o l’impiego di costosi riflettori. Teniamo presente che la torba rilascia sempre acidi umici. anche nel caso in cui a noi sembri che la colorazione dell’acqua sia solo leggermente mutata, e questi composti assorbono, tanto, la radiazione blu. I test:
i parametri chimico-fisici dell’acqua dell’acquario possono e devono essere tenuti costantemente sotto controllo; oggi la moderna tecnologia ci mette a disposizione sia strumenti scientifici di alta qualità, affidabilità, precisione e costo, che mezzi più economici, anche se sufficientemente attendibili. La scelta può cadere sui primi o sui secondi in funzione dei risultati che vogliamo ottenere. Se non abbiamo velleità allevatorie, allora la seconda classe di strumenti è più adeguata alle nostre esigenze ed alle nostre tasche. I Test fondamentali NITRITI, PH, GH, KH.
I più diffusi sono quelli a liquido, costituiti da una provetta graduata, uno o più flaconcini contagocce di reagente e da una scala colorimetrica sulla quale, secondo il colore che avrà assunto il nostro campione d’acqua, potremo conoscere il valore del dato test.
Esistono pure i test a strisce, sottili strisce di materiale plastico alla quale sono attaccate piccole spugnette intrise di reagenti;si immergono in acqua e, sempre secondo una scala colorimetrica, si leggono i valori. Ogni striscia può eseguire più tipi di test contemporaneamente. Sono più comode dei reagenti liquidi, tuttavia sono preferibili questi ultimi perché più precisi. Anche se la precisione dei test è un parametro abbastanza relativo; spesso una stessa grandezza misurata con diversi strumenti, o con lo stesso strumento ma da differenti persone, può dare risultati differenti. Questo significa, ad esempio, che se provassimo a misurare il pH dell’acqua del nostro acquario con kit di misurazione di diverse marche, otterremmo quasi di sicuro risultati diversi tra loro. La cosa paradossale è che se due persone misurassero il pH della stessa acqua con lo stesso kit, nello stesso momento, potrebbero ottenere due risultati differenti. Queste apparenti contraddizioni sono semplici da spiegare. Dato che tutti questi kit si basano sullo stesso procedimento, ma utilizzando spesso dei reattivi diversi, la risposta di ogni kit può essere diversa in funzione dell’accuratezza con cui questi kit sono stati preparati (e, soprattutto, conservati da chi ce li ha venduti). Inoltre l’occhio umano risponde ai colori in modo del tutto diverso da individuo ad individuo e quindi un test colorimetrico, se osservato da occhi diversi, è logico che possa dare risposte diverse.
Ma vediamo ora più in dettaglio i singoli kit. I kit per pH
Questo è forse il parametro più “misurato” in acquariofilia. I kit colorimetrici sono soluzioni di coloranti in acqua o in miscele idroalcoliche. Purtroppo è abitudine dei produttori omettere le date di preparazione e di scadenza dei kit e quindi, a volte, possiamo acquistare dei kit vecchi senza rendercene conto. Ovviamente, i valori misurati con questi prodotti non saranno quelli reali. Un consiglio che vale per tutti i kit in commercio, è: acquistate sempre i vostri kit in negozi che abbiano uno smercio abbondante, in modo tale che i prodotti in vendita siano sempre nuovi, e non acquistate mai confezioni che mostrino chiari segni di vecchiaia. I kit per KH e GH
I kit che misurano questi due parametri si basano sulla tecnica della titolazione, cioè determinano il contenuto di ioni carbonato e bicarbonato (KH), neutralizzando con un acido la basicità di questi ioni, e di ioni Ca2+ e Mg2+ per complessazione. Questi kit sono forse i più sensibili all’invecchiamento, che provoca un aumento della concentrazione per evaporazione del solvente. I kit vecchi tendono a dare valori di KH e GH inferiori a quelli reali, anche di parecchie unità. Un avvertimento; i kit per il KH possono dare valori più alti del reale in presenza di ioni fosfato, che vengono titolati anch’essi insieme ai carbonati. I kit per NO2 e NO3
Questi sono forse i kit più costosi tra i tanti in commercio. A parte quanto già detto fin ora possiamo solo aggiungere che prima di acquistarli è necessario controllare le scale di sensibilità che mostrano. Ricordiamo che è perfettamente inutile che un kit per i nitriti mostri una scala che arriva a 30 ppm o oltre; la moria di pesci che deriva da valori così alti è un test più che sufficiente! A 10-20 ppm i nitriti sono già letali mentre concentrazioni di 0.5 ppm sono già stressanti per i pesci. i livelli di tossicità dei nitriti sono di circa un ordine di grandezza superiori a quelli dell’ammoniaca. Per quanto riguarda i nitrati, i kit in soluzione sono probabilmente più accurati delle strisce.
Anche per i nitrati ricordiamo che le concentrazioni tossiche per i pesci, in funzione delle loro dimensioni e specie, sono comprese tra 50 e 300 ppm: Per gli avannotti sono tossiche anche concentrazioni inferiori. I kit per l’ammoniaca
In questo caso si deve evidenziare un difetto di questi kit: non sono in grado di discriminare lo ione ammonio dall’ammoniaca, e quindi il risultato ottenuto è una somma dei due; sarà il valore di pH a determinare l’esatto rapporto tra ammonio e ammoniaca (vedi appendice). Un altro problema è dovuto alla bassa sensibilità dei kit. Normalmente livelli di ammoniaca dell’ordine di 0.01-0.02 ppm, già abbastanza stressanti per i pesci, non sono rilevabili con i comuni kit di misurazione. Quindi, ricordate che in un acquario ben avviato, l’ammoniaca deve essere sempre non rilevabile. Se un kit rileva dell’ammoniaca, allora è già troppo tardi. Un campanello d’allarme può essere rappresentato dal livello di nitriti; se i nitriti sono alti, allora il vostro filtro non funziona a dovere e, probabilmente, avete in giro anche dell’ammoniaca. Un ultimo avvertimento: un correttore di ammoniaca può falsare la determinazione dei più comuni kit, che saranno indotti a dare falsi positivi, rilevando ammoniaca anche quando essa è del tutto assente, soprattutto se sono kit che si basano sul metodo di Nessler (soluzioni alcaline di ioduro di mercurio (II) in potassio ioduro).
L’uso costante e programmato dei test ci fornirà preziosissime indicazioni sullo stato di salute dell’acquario e ci permetterà di agire per tempo alle prime avvisaglie di un problema.
Biocondizionatori:
nell’acqua potabile vengono aggiunti dei disinfettanti atti a diminuire la carica batterica, nociva agli esseri umani. Il problema è che questi disinfettanti sono sì innocui per gli umani, ma sono molto tossici per i pesci. In Europa il disinfettante più comunemente usato è il cloro, mentre in nord America si usa molto la cloramina, un composto che libera lentamente cloro e ammoniaca.
I biocondizionatori in commercio non sono altro che delle soluzioni atte a ridurre il cloro a cloruro per renderlo innocuo. Nel caso delle cloramine, i cui livelli tollerati sono molto bassi (0.1 ppm stressa i pesci, 0.5 ppm portano a rapida morte), il problema consiste nella loro stabilità; infatti, mentre è sufficiente insufflare aria nell’acqua o lasciare aperto il contenitore per 24 ore perché tutto il cloro abbandoni l’acqua, l’unico sistema per eliminare le cloramine resta la reazione chimica. Uno dei composti più noti in commercio è costituito da una soluzione di sodio idrossimetansolfonato che è in grado di neutralizzare sia l’ammoniaca, producendo un composto innocuo e solubile in acqua, che il cloro, riducendolo a cloruro.
Un altro metodo economico ed efficace per neutralizzare il cloro nell’acqua è l’uso di una soluzione di sodio tiosolfato, che agendo da riducente, trasforma il cloro in cloruro, innocuo per piante e pesci.
A molti biocondizionatori vengono poi aggiunte altre sostanze che proteggono la mucosa dei pesci ed altro ancora; il tutto, sicuramente molto utile, serve però a giustificare i costi decisamente alti che hanno questi prodotti. Gli attivatori batterici:
assolutamente indispensabili per qualsiasi acquario degno di questo nome. in flaconi ma anche in pastiglie o stick, si versano nel filtro all’avvio dell’acquario e successivamente a scadenze quindicinali o mensili. Contengono i preziosi batteri Nitrobacter e nitrosomonas addetti all’eliminazione dei composti azotati. Mangimi:
ovviamente i pesci che andremo ad ospitare nella nostra vasca andranno nutriti adeguatamente. La forma del corpo ha una sua importanza anche nel modo di nutrirsi del pesce, un modo spesso estremamente specializzato.
In un pesce “tipico”, nel caso più comune, la bocca del pesce si apre all’estremità anteriore del corpo, secondo una linea orizzontale che passa proprio al centro del pesce. La gran parte dei pesci hanno questo tipo di bocca terminale. I pesci che raccolgono il cibo a pelo dell’acqua hanno la superficie dorsale piatta, invece che convessa, il che consente loro di nuotare orizzontalmente appena sotto la superficie. Da questa posizione superficiale essi possono vedere molto bene il cibo (insetti, larve galleggianti, frammenti di vegetazione o piccoli animali che nuotano in superficie); in queste specie la bocca è terminale ma volta verso l’alto a cucchiaio. Al contrario i pesci che cercano il cibo sul fondo del mare e dei fiumi hanno bisogno di una bocca verso il basso e hanno assai appiattita la superficie ventrale del corpo.
La dieta dei pesci è quanto mai varia: dagli organismi microscopici animali e vegetali (infusori, plancton) sino agli insetti e alle loro larve, a minuti pesciolini, alghe, piante acquatiche, frutti e persino animali nuotanti e uccelli. Le dimensioni del pesce non condizionano necessariamente le dimensioni della preda o del cibo assunto. E’ insolito trovare in acquario dei pesci che si nutrono filtrando l’acqua, mentre si trovano invertebrati marini che usano questo sistema per alimentarsi.
Ma una volta che è catturato e trasferito dal suo ambiente originario in un acquario, l’intero processo nutritivo diventa innaturale in quanto la gran parte del normale cibo del pesce non sarà reperibile nel nuovo ambiente artificiale, e il pesce dovrà nutrirsi in modo diverso. Naturalmente il tipo di dieta alimentare condiziona la struttura dei denti, e non tutti i pesci sono carnivori; molti sono vegetariani e i loro denti sono adatti a strappare alghe e erbe dalle rocce. I pesci marini che distruggono i coralli hanno denti fortissimi, specie i molari, e mascelle altrettanto robuste. In commercio esiste una vastissima proposta di mangimi adatti alle più diverse esigenze: in fiocchi, in granuli, in pastiglie, per migliorare la colorazione, per pesci vegetariani, mangimi vivi, surgelati e anche da allevare. Per iniziare basterà avere un mangime in pastiglie per pesci di fondo, uno “di base” in fiocchi e, per i Betta, un mangime vico o surgelato adatto. Le dosi indicate nelle confezioni generalmente sono troppo alte, è bene, dunque mantenere un po’ di parsimonia nella somministrazione. Ad esempio, sarà sufficiente somministrare le pastiglie 2 volte a settimana anziché ogni 2 giorni. Di seguito alcuni consigli per un’alimentazione corretta:
– Non dare da mangiare quando il vostro acquario ha la luce spenta (eccezion fatta per le pastiglie da fondo: in questo caso si daranno a luce spenta per evitare che gli altri pesci se ne approprino).
– Verificare che tutti i pesci mangino
– Cercare di dare il cibo sempre agli stessi orari
– Variare periodicamente l’alimentazione.
– Verificare che il cibo inserito in acquario venga consumato entro pochi minuti, se ciò non avviene diminuite la quantità
– Spargere il cibo, su tutta la superficie dell’acquario in modo da dare a tutti i pesci l’opportunità di mangiare
– Ogni tanto è possibile inserire in acquario cibo fresco, in piccole quantità, come lattuga, spinaci, piccolissimi pezzetti di gamberetto sgusciato. Altri accessori:
oltre ai vari accessori sopraccitati, esistono altri oggetti che aiutano a risolvere piccoli problemi. Si rivelerà utile una calamita tergivetro, composta da due magneti contrapposti e recanti una fibra abrasiva (lato a contatto col vetro interno) e un feltro (lato a contatto col vetro esterno; il tergivetro ci permetterà di rimuovere eventuali alghe presenti sui vetri interni e al contempo eliminerà eventuali macchie di calcare dai vetri esterni.
Un piccolo retino consentirà di raccogliere i pesci nel caso in cui li si voglia spostare e ci permetterà di asportare dalla superficie dell’acqua eventuali foglie o altri resti galleggianti.
Un tubo di gomma di buona sezione (andrà benissimo quello per annaffiare i giardini) sarà indispensabile per effettuare i cambi d’acqua parziali. |