Esperienze con un pesce molto spesso trascurato (a torto) Aequidens Maronii è un pesce conosciuto sin dalla fine del 1800, tanto è vero che nei sacri testi viene indicato che la prima descrizione di questa specie è avvenuta nel 1881 ad opera di Steindachner, che gli assegnò il primo nome, Acara Maronii.
Oggi è classificato come Cleithracara Maronii, ma personalmente continuo a chiamarlo Aequidens Maronii. Per chi ama le lingue, in Francia credo che sia generalmente chiamato solo Maronì mentre gli Anglosassoni lo chiamano da sempre Keyhole Cichlid (ciclide buco di serratura), riferendosi in questo modo, sembrerebbe, alla macchia nera presente sui fianchi di questo pesce, simile al buco nero di una serratura… mah, potenza della fantasia inglese. La mia esperienza con A. Maronii si riferisce a due diversi periodi, nei quali ho potuto allevare questo Ciclide, in condizioni differenti. E’ importante sapere con chi si ha a che fare La prima volta che ho tenuto questi pesci, li ho ospitati in un acquario comune, con altri Ciclidi e Loricaridi. In particolare si trattava di una vasca di 330 litri lordi (vedi foto1), abitata da 4 Discus, una quindicina di Neon, 1 coppia di Farlowella Gracilis, 1 Chaetostomus Thomasi, 1 Peckoltia Vittata e 1 coppia di Nannacara Anomala. In questo contesto avevo inserito anche 5 Aequidens Maronii, delle dimensioni iniziali di circa 5 centimetri l’uno. Al tempo consideravo gli Aequidens come semplici pesci di “compagnia” per i Discus, pertanto il mio interesse per la specie era molto basso.
L’acqua della vasca era trattata, miscelando acqua distillata con acqua di rubinetto al fine di ottenenere un pH stabilmente compreso tra 6,9-7,1, anche senza aggiunta di anidride carbonica.
L’acquario era ricco di piante, Vallisneria Gigantea, Nymphaea Stellata, Crinum Thaianum, Crinum Natans, Microsorium, Vescicularia Dubiana, Cryptocoryne Wendtili, Cryptocoryne Nevillii, che mi davano parecchie soddisfazioni, con l’unica eccezione della Vallisneria che cresceva un po’ stentatamente. Probabilmente soffriva l’illuminazione non abbondante (2×36 watt) oppure la concorrenza delle altre specie o forse (cosa più probabile) l’elevata temperatura (28°C) a cui mantenevo l’acquario; fatto sta che la crescita delle Vallisnerie, in questa vasca, è stata sempre insoddisfacente. | particolare della prima vasca |
L’altezza della vasca era notevole (55 centimetri di livello acqua) ideale per i Discus, sicuramente esagerata per A. Maronii che passa la maggior parte del suo tempo nella parte medio-bassa dell’acquario.
Il filtraggio, biologico interno, come si può intravedere dalla figura 1, caricato a lana filtrante (prefiltro) e cannolicchi di ceramica di varie dimensioni e marche, era gestito da una pompa da 600 litri/ora.
Completavano l’arredamento alcuni legni, pietre piatte di varie dimensioni ed un paio di anforette per favorire la formazione di territori difendibili a favore della coppia di Nannacara, oltre che nascondigli per il maschio che prevedevo sarebbe stato aggredito dalla femmina, dopo la eventuale deposizione, come è nella natura delle cose per quanto riguarda il comportamento di Nannacara Anomala. I primi tempi tutto andò abbastanza bene, i pesci godevano di ottima salute ed ogni specie, ognuna con le proprie tempistiche, aveva cominciato ad adattarsi/ambientarsi nel nuovo ambiente. Problemi derivanti dalla timidezza
Purtroppo, con il passare del tempo divenne abbastanza chiaro che gli Aequidens avrebbero stentato non poco, nonostante le spaziose dimensioni dell’acquario.
In sintesi riassumo i principali problemi che mi trovai a dover fronteggiare: - al momento dei pasti, la maggior velocità dei Nannacara e l’aggressività (!!) dei Discus, rendeva difficoltosa l’alimentazione degli Aequidens, per cui dovevo immettere un quantitativo di cibo superiore al necessario per consentire a questi Ciclidi di nutrirsi con calma sul fondo.
- ogni riproduzione dei Nannacara provocava dei veri e propri “shock” agli Aequidens, in quanto, nonostante la maggior mole, subivano gli attacchi dei Ciclidi Nani senza riuscire a difendersi e così si nascondevano per giorni interi.
- lo stato di tensione che si era venuto a determinare impediva la formazione di coppie e qualsiasi velleità riproduttiva degli Aequidens.
| Questo stato dei fatti è mostrato chiaramente: si nota infatti la tipica livrea scura assunta dai pesci quando sono impauriti o in stato di tensione. |
Gli Aequidens avevano scavato una piccola fossa dietro una roccia, nella zona dove la ghiaia era del tipo più fine; lì dietro passavano la maggior parte del tempo.
Quando uscivano, soprattutto dopo lo spegnimento delle luci, rimanevano vicino al fondo e si precipitavano a nascondersi ad ogni minimo atteggiamento offensivo degli altri pesci, oppure al passaggio di qualche persona un po’ troppo vicino al vetro della vasca. Purtroppo, come già detto prima, in quel periodo non ero molto interessato agli Aequidens e la mia attenzione era dedicata soprattutto ai Discus (perché non si riproducono ? era questo il mio pensiero fisso) ed alle coppie di Farlowella e Nannacara che, invece, si riproducevano abbastanza regolarmente. Tentai, comunque, di favorire un comportamento più naturale degli A.Maronii, variando l’alimentazione il più possibile. Scoprii, così, che con l’utilizzo delle larve rosse di zanzara surgelate (i chironomus) potevo consentire ai pesci di alimentarsi con maggiore tranquillità, in quanto: - si spargono con facilità e scendono lentamente verso il fondo
- mantengono consistenza per un periodo di tempo abbastanza lungo, per cui gli Aequidens riuscivano ad alimentarsi mangiandole anche sul fondo, senza subire la competizione degli altri Ciclidi più veloci ed aggressivi
- sono facilmente identificabili, per il loro colore, perciò difficilmente ne rimangono quantitativi non mangiati che potrebbero innescare processi inquinanti nell’acquario.
Alla fine, dopo diversi mesi, gli Aequidens erano comunque discretamente cresciuti raggiungendo i 7-8 centimentri di lunghezza, però il loro atteggiamento non era sostanzialmente cambiato, rimanendo la timidezza la loro principale caratteristica.
Nel frattempo, permanendo il mio problema con la riproduzione dei Discus, decisi di semplificarmi la vita e perciò regalai gli Aequidens ad un amico negoziante. L’ esperienza non era stata, comunque, inutile: avevo capito che Aequidens Maronii richiede la predisposizione di un acquario dedicato, per poter superare la naturale timidezza di questo ciclide e consentire il suo più adeguato ambientamento. | la fuga è un comportamento tipico degli Aequidens Maronii |
E’ meglio predisporre una vasca dedicata
La seconda volta che mi sono “cimentato” con Aequidens Maronii, non è stato per caso, ma la scelta è stata mirata. Mi era sempre rimasta una sorta di frustrazione a seguito della negativa esperienza passata ed una domanda mi assillava: possibile che siano così “insipidi” ? (senza alcun riferimento ad iniziative di tipo culinario !!).
Avevo liberato una vasca, nella quale si era felicemente riprodotta una stupenda coppia di Archocentrus Sajica (ex Cichlasoma Sajica, oggi sembrerebbe riclassificato in Cryptoheros Sajica) di cui ho disponibile un video e purtroppo nessuna foto; niente di meglio che un piccolo ritocco all’arredamento per trasformare l’acquario nella residenza ottimale per il mio nuovo tentativo. Tolsi il vaso di terracotta ed inserii qualche roccia piatta e via. L’acquario era più piccolo del precedente, circa 230 litri lordi, ma era comunque ben più che sufficiente per il mio esperimento.
Alla fine la vasca si presentava come in figura 4. Le Vallisnerie in primo piano non erano certo il massimo, però non è mia abitudine togliere le piante dalle posizioni in cui prosperano spontaneamente e poi, in questo caso, potevano contribuire ad aumentare la protezione visiva dagli sguardi indiscreti, tanto cara agli Aequidens.
L’acquario era dotato di tre lampade fluorescenti da 30 watt: decisi di sconnetterne una per diminuire la luminosità e favorire le attitudini degli Aequidens, creando una maggiore alternanza tra zone illuminate e zone in ombra.
Un filtro biologico interno con pompa da 450 litri/h, oltre che un termostato da 150 Watt, completavano la dotazione dell’acquario. Tarai la temperatura a 27° C, ritenendo che ciò consentisse un migliore e più rapido ambientamento dei Ciclidi. Comunque, eravamo ai primi di Giugno e, con l’estate alle porte, sapevo che il mio problema non sarebbero certo state le basse temperature. Le caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua non vennero toccate rispetto alla situazione precedente (acqua di rubinetto di Roma), per non creare alterazioni all’equilibrio biologico che si era venuto a creare. L’acquario, infatti, era in funzione da tempo e girava molto bene; il successo ottenuto con Archocentrus Sajica me lo aveva confermato.
Poi mi organizzai per l’acquisto e dopo circa una settimana riuscii a trovare degli Aequidens Maronii “degni” di essere comprati. Anche questa volta optai per un gruppetto di 5 esemplari di circa 5 centimetri; i pesci sembravano in gran forma ma per evitare di fare “casino” decisi di non mettere, per il momento, altri coinquilini nell’acquario dedicato.
Era sera quando li portai a casa; per minimizzare il rischio di traumi, spensi le luci della vasca, lasciando solo l’illuminazione ambiente della stanza e procedetti con l’immissione.
Pluff e tutto il gruppo si nascose tra le piante. Lasciai la luce spenta con l’intento di ripristinare il giorno dopo l’usuale ciclo di illuminazione. Mi misi a vedere la televisione e parimenti buttavo anche un occhio verso l’acquario. Dopo un po’ di tempo i Ciclidi cominciarono ad affacciarsi in primo piano e notai che sembravano abbastanza a loro agio. | la seconda vasca |
Chiaramente chi lavora non ha sempre molto tempo da dedicare ai propri hobbies e, spesso, neanche la testa per osservare in continuazione il proprio acquario; per cui come avrebbe fatto la maggior parte di noi (credo), tornai ad occuparmi dei miei Aequidens la sera del giorno successivo al loro acquisto.
Ricordo che rimasi particolarmente soddisfatto e, devo dire, orgoglioso di me stesso, perché i 5 pesciotti nuotavano tranquillamente allo scoperto, seppure sempre nella parte medio-bassa dell’acquario.
Anche la colorazione mostrava sfumature inattese, di colore giallo ed azzurro e la macchia nera sul fianco era ben evidente, contornata da una cornice di colore giallo canarino: segno di ottima salute, pensai.
Decisi, allora, che appena possibile avrei integrato la popolazione presente, immettendo altri pesci con lo scopo di arricchire l’acquario senza mettere a repentaglio la serenità degli Aequidens; in tal senso mi orientai su un genere molto simpatico e sicuramente (ritenni) adatto a convivere con gli Aequidens Maronii, ovvero Carnegiella Strigata. Carnegiella strigata è un ottimo compagno per A. maroni Tempo dopo riuscii a reperire le Carnegiella ed acquistato un gruppetto di 5, le inserii insieme ai Ciclidi. A posteriori posso dire che fu una mossa azzeccato, in quanto le due specie si divisero praticamente lo spazio disponibile, in alto i Gasteropelecidi e nella parte medio-bassa i Ciclidi. Devo dire che l’ unico problema che ho avuto con le Carnegielle fu causato dalla loro estrema propensione a saltare fuori dell’ acqua, credo per la loro natura di predatori insettivori. La mia vasca aveva un piccolo dettaglio che si rivelò fatale per due esemplari (trovati morti stecchiti sul pavimento): il coperchio nella parte anteriore non aderiva perfettamente al vetro ma lasciava un spiraglio largo un paio di centimetri, provocato dalla deformazione del materiale di cui era costituito. Insomma in quel piccolo spazio riuscirono ad infilarsi le due povere vittime. Dovetti rimpiazzarle e chiusi ogni possibilità di fuga con una guarnizione di plexiglass. Questa volta riuscii anche a superare il problema dell’ alimentazione, che mi aveva assillato durante la precedente esperienza; perfettamente a loro agio gli Aequidens si nutrivano tranquillamente, tirando finalmente fuori tutta la loro voracità di Ciclidi; anzi, mi cominciai a porre il problema opposto, ovvero quello di evitare di sovralimentare i pesci. Il cibo preferito rimanevano i Chironomus, ma anche pezzetti di gamberetto scongelato, cibo secco di varie tipologie ed artemia salina, erano ben graditi. | Carnegiella Strigata |
Insomma, tutto procedeva per il meglio e ciò mi consentì di aumentare ancora la densità della popolazione presente, accettando da un amico 4 Neon in regalo. Eravamo in estate e il caldo, le vacanze, la voglia di stare maggiormente all’ aria aperta, mi distrassero abbastanza, per cui seguii le vicende della vasca con gli Aequidens in maniera molto disincantata; di conseguenza non posso essere certo che in quel periodo si siano verificati episodi particolari, tipo deposizioni.
In genere l’estate causa sempre qualche problemino agli acquari, sia per le alte temperature raggiunte sia per la ridotta manutenzione dovuta alla maggior frequenza di assenze da casa di noi acquariofili. Nel caso in questione, facendo il consuntivo a settembre, mi ritenni abbastanza soddisfatto: mancava all’appello un solo neon e le piante avevano superato abbastanza bene la calura. | vista laterale della seconda vasca |
La riproduzione
Come si legge nella letteratura, in Aequidens Maronii non esiste un ben preciso dimorfismo sessuale; maschi e femmine hanno la stessa colorazione ed anche la forma delle pinne dorsali e ventrali, più allungata nel maschio, viene chiaramente rilevata soltanto con la piena maturità dei pesci. Nel mio gruppo di 5 Aequidens, uno aveva chiaramente assunto il ruolo dominante e sicuramente lo ritenni un maschio, anche se il dimorfismo con gli altri era praticamente trascurabile; dopo di lui altri due pesci erano in lotta per il ruolo di vice-capo, mentre gli ultimi due soggiacevano alla maggiore forza ed aggressività dei primi tre. Ciò mi consentì di assumere che anche i timidi Aequidens Maronii, nell’ambito della propria specie, si danno una gerarchia ben chiara e precisa. Le varie lotte si protrassero fino alla fine di settembre e portarono alla formazione di una coppia, costituita dal pesce dominante (che identificai come maschio) e dal vincitore (anzi la vincitrice) della battaglia per la conquista del ruolo di vice-capo. L’aggressività dei due costrinse i tre rimasti ad assumere una colorazione più dimessa, scura ed uniforme. La coppia si diede ulteriormente da fare, creando il proprio territorio nella zona centrale dell’acquario, rivolgendo particolare attenzione più verso i tronchi di legno che verso le pietre. | la coppia alla ricerca del luogo per la deposizione, il maschio in basso |
Finalmente il giorno 8 ottobre, tornando a casa dal lavoro trovai la coppietta che nuotava indaffarata sopra delle uova, che erano state deposte su uno dei legni.La temperatura dell’acqua era di 26°C. Le uova non erano molte, circa una cinquantina. Purtroppo mi accorsi quasi subito che qualcosa non andava per il verso giusto, perché il maschio partecipava alla cura delle uova solo apparentemente, in realtà se le stava mangiando. La femmina tentava di scacciarlo, ma senza successo, forse per inesperienza. Il giorno dopo le uova erano sparite ed il maschio sembrava abbastanza nervoso, arrivando anche ad inseguire la femmina con atteggiamento molto aggressivo. Nel giro delle successive 24 ore le cose tornarono normali ed i due coniugi ripresero a convivere serenamente con gli altri 3 Aequidens, consentendo a questi ultimi di riassumere una colorazione più naturale. Il 15 novembre avvenne la seconda deposizione; io non ero a Roma ma fuori per lavoro. I miei figli mi avvisarono e mi tennero al corrente dei fatti. In pratica questa volta soltanto uno dei due partners accudiva le uova e credo che fosse la femmina (i miei figli non erano ancora così ferrati da distinguere i due sessi). Il 17 (cioè due giorni dopo la deposizione) mi avvisarono telefonicamente che le uova erano sparite e che tutti gli Aequidens litigavano tra di loro. Tornato a Roma decisi di tentare una carta forse un po’ azzardata, così tolsi il terzetto non accoppiato, ritenendo che potesse essere fonte di distrazione o nervosismo per la coppia. | Un dettaglio della vita di coppia, la femmina in alto |
I due pesci rimasti soli, non sembrarono subire ripercussioni negative a seguito del mio operato. Filavano d’amore e d’accordo come in precedenza. Notai, però, un aumento di interesse nei confronti dei Neon e delle Carnegielle, che invece in precedenza erano stati sempre ignorati.Il 6 dicembre, preceduta dai soliti rituali e con la temperatura dell’acqua a 25°C, avvenne la terza deposizione. Questa volta anche il maschio sembrava partecipare alla cura delle uova, seppur con un certo nervosismo. Per non creare disturbo alla coppia, decisi di proteggere l’acquario attaccando un foglio di giornale al vetro anteriore, lasciando alcuni piccoli buchi nella carta per consentire la mia osservazione (mi ricordavo di aver letto qualcosa a proposito di questa tecnica, utilizzata nei casi di riproduzioni difficili). Certo una bella mazzata per l’estetica.. | La coppia durante i preliminari della deposizione, il maschio in primo piano |
Le cose proseguirono così per due giorni, poi il 9 mattina mi accorsi che non c’era più traccia né delle uova, né di eventuali larve; inoltre i due coniugi stavano litigando di brutto ma, questa volta, la femmina teneva testa al maschio molto bene: i capovolgimenti di fronte erano continui e nessuno dei due riusciva a prevalere. Bocciata la tecnica della copertura del vetro frontale, mi rassegnai ad attendere ulteriori sviluppi. Eravamo intanto arrivati all’anno nuovo e nuovamente mi dovetti assentare per lavoro. Il 10 gennaio i miei figli mi segnalarono via telefono che una nuova deposizione era avvenuta. Lo scenario appariva tranquillo e le uova venivano ventilate da entrambi i coniugi. Le cose proseguirono in tal senso positivamente nei due giorni seguenti. Il 13, tornando a casa, ebbi un primo momento di delusione nel vedere che le uova erano sparite, ma subito il cuore riprese a battermi forte, accorgendomi che dietro al legno su cui era avvenuta la deposizione, stava accadendo qualcosa di strano. Infatti i due pesci, in coppia o alternandosi, si attardavano in maniera sospetta dietro al legno; purtroppo l’arredamento della vasca non mi consentiva di vedere quello che stava accadendo, ma la mia esperienza mi diceva che là dietro c’erano dei piccoli appena sgusciati dalle uova. La temperatura era di 25°C. Non toccai niente e continuai ad osservare il via vai. Il giorno dopo le cose tornarono a precipitare; infatti, la sera tornando dal lavoro, notai subito che la femmina stazionava in un angolo dell’acquario, con la livrea molto scura, tipica di una situazione di stress. Il maschio girovagava per la vasca, come in cerca di qualcosa; ogni tanto si avventava sulla femmina, inseguendola, tentando di morderla, ma senza molta convinzione né cattiveria. Forse, pensai, si è già abbastanza sfogato durante la mia assenza, mentre ero al lavoro e non potevo guardare. Comunque, questo comportamento del maschio fu sufficiente per farmi capire che anche questa volta il tentativo di accoppiamento era finito in malo modo.
Nei giorni successivi, come usuale, la coppia si rappacificò e tornò a convivere civilmente. Dentro di me era però scattata una molla, forse in quel periodo non avevo abbastanza pazienza per assecondare le “bizzarie” dei pesci, perciò assecondai i desideri di un mio conoscente che mi chiedeva da tempo la coppia, ritenendola un completamento ideale per il suo acquario olandese di 250 litri netti (circa 60-70 litri più voluminoso del mio), in cui già nuotavano allegramente Neon, Rasbore, Epalzeorhyncos Siamensis e Corydoras. A lui serviva un coppia di Ciclidi pacifici, che non danneggiassero né le piante né i pesci già presenti e che fossero visibili, cioè con delle dimensioni intorno ai 9-10 centimetri; inoltre non voleva partire da un gruppetto di giovani per ragioni di tempismo (non voleva perdere tempo). E poi non gli interessava che le cure parentali fossero portate a temine. Insomma i miei pesci rappresentavano la scelta ideale e più a portata di mano per lui. Inoltre, per le maggiori dimensioni dell’acquario, era confidente che la femmina avrebbe avuto più spazio per sfuggire alle eventuali aggressioni del maschio.
Insomma, dopo circa 10 mesi, mi separai dai miei Aequidens Maronii che traslocarono in un altro acquario.
Per chi fosse curioso, posso dire che la storia proseguì più felicemente. Nella nuova sistemazione la coppia continuò a deporre, alternando mangiate di uova a tentativi di allevamento della prole. Certo è che, sia gli Epalzeorhyncos Siamensis che i Corydoras, si davano sempre un bel daffare nel divorare il più possibile sia le uova sia gli avannotti. Infatti la coppia non riusciva a difendere concretamente la prole. Però non mi vennero più segnalate particolari litigate tra il maschio e la femmina. Conclusione Errori umani a parte, nel complesso, si tratta di pesci ottimali per acquari di comunita’, purchè ricchi di piante ed in compagnia di pesci di piccole dimensioni, non aggressivi. Ritengo che Epalzeorhyncos Siamensis e Corydoras (ma anche i vari tipi di Botia) non siano assolutamente compagni ideali per questa specie, a meno che l’acquario non sia di dimensioni significativamente grandi.
Nel mio caso, credo di aver peccato di superficialità o fretta, allontanando troppo presto gli altri A. Maronii ed isolando la coppia. Probabilmente l’affiatamento non era ancora sufficientemente elevato e la presenza di altri conspecifici avrebbe sicuramente rafforzato il legame coniugale, in quanto il maschio e la femmina avrebbero “scaricato” le loro eventuali “frustrazioni” sui coinquilini.
Devo aggiungere, un mio commento personale: A. Maronii non è assolutamente così insignificante come viene spesso descritto nella letteratura. E non vi fate trarre in inganno dagli esemplari che troppe volte si vedono mogi mogi stazionare in un angolo delle vasche nei negozi specializzati.
Quando è in buone condizioni sia fisiche che di umore, sa diventare un pesce molto bello e credo che alcune delle mie foto lo possano testimoniare. Bibliografia
• Enciclopedia illustrata dei pesci – Stanislav Frank – Istituto Biologico Università di Praga – 1978
• “Il libro dei Ciclidi” – A. Konings – 1993
• “The most complete colored lexicon of Cichlids” – Herbert R. Axelrod – 1993
• Bede ATLAS “Enciclopedia dei pesci d’acqua dolce” |