UNA MALATTIA DELLE NOSTRE ACROPORE NEL LORO HABITAT NATURALE Negli ultimi anni le malattie dei coralli duri nei loro habitat naturali sono aumentate drasticamente, portando a nuove malattie mai viste prima e all’aumento di virulenza delle malattie già conosciute in passato. Una di queste è la cosiddetta “Acropora white syndrome”, la sindrome bianca delle acropore, su cui ci sono in atto molteplici studi per capirne le causa ed eventuali terapie. Il comportamento della sindromeCome già il nome suggerisce la sindrome si manifesta con la formazione di una zona bianca e priva di tessuto sulle colonie acropore; si distinguono però due forme diverse: – tipo I: si presenta con una zona bianca sul corallo, mentre il resto della colonia presenta un tessuto completamente normale, anche nella zona più vicino all’area patologica; In entrambi i casi il restante tessuto del corallo è perfettamente sano. Osservando la patologia in natura si è notato che interessa principalmente i coralli tabulari della parte superiore del reef e le colonie solitarie delle zone più profonde. In particolare la sindrome interessa le 3 specie che si trovano più spesso nella parte superiore del reef: A. hyacinthus, A. cytherea e A. clathrata, e poi secondariamente altre specie come A. microclados, A. granulosa, A. loripes, A. caroliniana.. L’area sbiancata tende a formarsi al centro della colonia, principalmente alla base dei rami, e a estendersi in modo centrifugo in seguito alla degenerazione del tessuto; tutto attorno il corallo non presenta segni di bleaching (cioè di rilascio delle zooxantelle). Con la progressione della lesione si viene a formare una banda verde sullo scheletro nudo, come conseguenza dell’insediamento di un’alga. Spesso succede di osservare contemporaneamente più lesioni su una grossa colonia che si sviluppano contemporaneamente e con velocità simile.
Tendenzialmente questa patologia colpisce soprattutto i coralli di più grandi dimensioni, forse in seguito all’invecchiamento della colonia, abbassando di molto il potenziale riproduttivo delle acropore nel tratto di barriera interessato: le colonie più grandi infatti sono anche quelle che producono un numero maggiore di gameti, tendenzialmente più grandi e più vitali. Il monitoraggio delle acropore infette ha evidenziato un’ampia variabilità nella velocità di progressione della malattia, che tende ad essere cronica e a progressione lenta anche in molti mesi di monitoraggio. La velocità di progressione non sembra essere legata alla quantità di tessuto sano rimasto ma alla stagione: normalmente è più rapida in estate e inverno, rallenta in primavera e autunno. Inizio e progressione della sindrome in un’A. cytherea (monitoraggio settimanale). A volte, durante lo sviluppo della patologia, si sono notati dei tentativi di rigenerazione del tessuto da parte dell’acropora.
Dalle osservazioni in natura e in acquario è stato notato che questa patologia non è trasmissibile ad altri coralli con il semplice contatto. Infatti in natura spesso le acropore malate sono circondate da colonie sane e la stessa cosa è avvenuta in acquario, anche negli esperimenti in cui si tentava di trasmettere la patologia. Le causeMolteplici tentativi sono stati effettuati per cercare di capire le cause di questa patologia, ma rimane ancora tutto decisamente poco chiaro. Un gruppo di scienziati ha infatti cercato di identificare i batteri presenti nei tessuti delle acropore sane e di confrontarli con quelli delle acropore malate per notare le differenze. Da questo studio si è scoperto che il tessuto delle acropore presenta normalmente numerosi ceppi batterici, probabilmente molto importanti per uno sviluppo sano della colonia; molti di questi ceppi non sono stati ritrovati nelle colonie patologiche e questa potrebbe essere una causa che innesca la patologia. Malgrado ciò non si è ancora identificato definitivamente il batterio colpevole, anche se si sospetta di qualche ceppo di Vibrio. Un secondo studio ha invece utilizzato un approccio completamente diverso, sottoponendo i coralli a trattamenti con diversi tipi di antibiotici per cercare di intuire la causa della malattia.
In questo studio i coralli hanno risposto al trattamento con ampicillina e paromomicina. Osservando i tessuti al microscopio si è notato, nei tessuti malati, la presenza di un ciliato, Phialster lucinda, che ingoiava le alghe simbionti del corallo.
Il ciliato è quindi stato identificato come organismo patogeno attivo che probabilmente favorisce lo sviluppo successivo della patologia e l’insediamento di altri batteri che la fanno progredire. Il passo successivo sarà quello di conoscere questi batteri e soprattutto una terapia per debellarli. Intanto… speriamo che non arrivi nelle nostre vasche!!! Per approfondimenti: |