SistematicaSottoregno: Metazoi Tipo: Echinodermi Classe: Echinoidi
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In base alle caratteristiche esterne, questi animali si dividono in 2 gruppi principali: Regolari, con simmetria raggiata pentamera, e Irregolari, con simmetria bilaterale.
Ecologia
Gli Echinoidei, detti comunemente ricci di mare, comprendono 850 specie viventi, di cui 25 presenti nei mari italiani, e 5000 specie fossili. Si tratta di animali esclusivamente bentonici che vivono generalmente a 200 m di profondità, anche se sono state riscontrate specie che frequentano gli abissi, come nel caso di una specie di Pourtalesia, dragata a una profondità di ben 7000 metri!
I regolari occupano in genere i fondali rocciosi. In Italia, alcune specie come Arbacia e Paracentrotus sono diffusi a tal punto da pregiudicare la marcia dell’uomo attraverso il fondale, perlopiù in prossimità di scogliere a bassa profondità. Molte specie, tra cui il summenzionato Paracentrotus, vivono permanentemente in fessure e fori ricavati nella roccia, spesso ampliate dagli animali stessi tramite l’azione combinata dei denti e del movimento rotatorio impresso dalle spine.
Asthenosoma ijimai (Foto di Roberto Sozzani)
Spesso il “soggiorno” in tali crepe risulta forzato date le dimensioni maggiori dell’animale rispetto a quelle minori della tana, creata in epoca giovanile. In tal caso la nutrizione è subordinata all’afflusso di materiali trasportati nel foro dal moto ondoso. Le specie “ambulanti” catturano il cibo in modo differente: si pongono da esso a notevole distanza, in posizione superiore rispetto ad esso, e, afferrandolo grazie alle spine e i pedicelli, affondano in esso i denti della lanterna. Le specie che, invece, non risiedono nei buchi rocciosi, tendono ad accalcarsi sul modo seguendo un moto piuttosto lento; a seconda della specie la velocità può variare da 20 a 150 mm al minuto. Per muoversi i Regolari fanno uso di aculei e pedicelli in modo da fendere i substrati duri, quali le rocce, mentre gli Irregolari, soliti vivere sprofondati nella sabbia, si servono della Lanterna di Aristotele, sollevandosi sui denti per poi lasciarsi ricadere bruscamente su un lato. Se accidentalmente si capovolgono sono comunque in grado di raddrizzarsi.
Asthenosoma varium (Foto di Roberto Sozzani)
Questo si verifica mediante determinati pedicelli retrattili, il cui allungamento permette all’animale di collocarsi in modo aderente al substrato in posizione verticale, in modo di acquisire gradualmente una postura normale. A discapito, tuttavia, della rapidità di esecuzione, invero piuttosto lenta!. I movimenti dei ricci di mari avvengono preferibilmente in orari notturni, visto che essi manifestano uno spiccato fototropismo negativo. Infatti, alcune specie, per ripararsi dalla luce, trattengono su di essi conchiglie o sassolini con l’ausilio dei pedicelli. Ritornando all’aspetto alimentare, i ricci marini sono generalmente onnivori, anche se alcune specie sono carnivore, come nel caso di Psammechinus, Echinus, i Cidaridi, “golosi” di Briozoi, Serpulidi, animali dotati di guscio duro frantumati per mezzo del robusto apparato masticatorio. Altri ricci Regolari preferiscono nutrirsi di alimenti di origine vegetale brucando alghe e raschiando il rivestimento delle rocce.
Asthenosoma varium (Foto di Roberto Sozzani)
Tuttavia, non disdegnano prede piccole, solitamente sprovviste di guscio. In alternativa, possono drenare il fondale sabbioso alla ricerca di micro organismi, particelle alimentari, ecc. Da predatori a prede il passo è breve: nonostante gli aculei e le pedicellarie velenose, i ricci possono essere cacciati da alcuni grossi crostacei, stelle marine, pesci e uccelli. Marthasterias glacialis rappresenta uno dei nemici più insidiosi: incurante degli aculei e delle spine, estroflette il proprio stomaco per “calamitare” il corpo del riccio e digerirlo lentamente. La specie ittica Balistes Vetula ghermisce le proprie vittime mediante un aculeo facendole ricadere più volte allo scopo di rendere a portata d’attacco il punto più vulnerabile della preda, il peristomio.
Asthenosoma varium (Foto di Roberto Sozzani)
I gabbiani frantumano la protezione acuminata dei ricci sbattendoli ripetutamente sulla roccia, mettendo così a nudo il loro corpo. Altro tipo di rapporto è quello che i ricci intrattengono con alcuni pacifici commensali, quali numerosi Ciliati che albergano nelle viscere intestinali dell’Echinoide Regolare. Citiamo l’esempio dei Rabdoceli della famiglia Umagillidi; classica è la permanenza di Turbellari e Policheti riscontrata in Echinocardium e Spatangius. Inoltre, i ricci possono ospitare piccoli organismi anche in corrispondenza della loro superficie esterna, ci riferiamo perlopiù a Idrozoi, Briozoi, Serpulidi e piccoli Gasteropodi. Gli ospiti possono vivere in associazione con l’Echinoide, condividendone il rifugio, come nel caso dell’anfipoden Urothoe marina, che abita all’interno della nicchia di Echinocardium cordatum. Il rapporto di coesistenza può essere dannoso per il riccio, che può ospitare suo malgrado molteplici parassiti che attentano alla sua incolumità organica perforandone il tessuto esterno, oppure formare delle galle dall’aspetto singolare che si fissano sugli aculei compromettendone l’efficienza. Tali micro organismi nocivi sono perlopiù identificabili in piccoli Gasteropodi e nei Copepodi.
Diadema setosum juvenile (Foto di Roberto Sozzani)
Storia
Questi echinodermi erano già noti agli antichi Greci e ai Romani, che li chiamavano “frutti di mare”. Erano considerati come animali utili, non solo perché appetibili come cibo, ma anche poiché servivano alla preparazione di vari medicinali e di antidoti contro determinati veleni. Tant’è che, fino al secolo scorso, erano noti nella farmacopea popolare: in Iugoslavia i gusti di questi invertebrati venivano macinati per ottenere una polvere astringente, e in Francia se ne usava il liquido celomatico addirittura come digestivo. Si deve ad Aristotele il primo studio dell’anatomia degli Echinoidei, in particolare riguardo alla fisionomia dell’apparato masticatore, descritto come una forma molto simile a quella di una lampada greca.
Per questo motivo, nel 1734, Klein, in onore del grande naturalista greco, battezzò con il nome di “lanterna di Aristotele” il loro apparato boccale.
Aspetto fisico
Il corpo dei ricci di mare ha un diametro che spazia da alcuni millimetri fino ai 30 cm per gli esemplari più grandi, e può assumere una forma sferoidale, globoidale o discoidale. Tale forme sono generalmente caratterizzate da un rivestimento di aculei mobili, in parte perforati per dare passaggio ai pedicelli.
Peculiarità che contraddistingue questi echinodermi è data dai cromatismi accesi e vivaci. I Regolari, quelli più frequenti e noti (ricordiamo alcuni esemplari italiani, quali il ligure “zin”, e il siciliano “marancitulo”), sono caratterizzati da forme globose e ovoidali, protette da un dermascheletro rigido e robusti rivestimenti di spine, variabili in lunghezza a seconda della specie. Gli Irregolari possiedono aculei molto corti e sottili, al punto da essere confusi con del rivestimento peloso. La composizione delle spine è data da carbonato di calcio in forma di calcite mescolata con sostanza organica. A differenza degli Irregolari, rimarcati da pezzi scheletrici collocati secondo una simmetria bilaterale, presentano un’evidente simmetria pentareggiata. La loro bocca è posta al centro della superficie orale, circondata dal peristoma (un’area membranosa), che porta in prossimità dell’apertura buccale 5 pedicelli composti da placchette calcaree.
Oltre ai pedicelli, adibiti a funzione di difesa e di appoggio, sono riscontrabili in corrispondenza dell’endoscheletro e della membrana buccale (in alcuni casi addirittura sulle branchie!) delle minuscole pinze, dette “pedicellarie”, sorrette da peduncoli mobili. Queste ultime consentono all’animale di catturare le particelle alimentari, di pulirsi il corpo, e di difendersi, visto che alcune di esse inoculano un veleno paralizzante negli animaletti serrati nella loro presa. Altri tipi di spine sono costituite dagli sferidi, di piccolissima misura, ricoperte da un epitelio ciliato, articolati su tubercoli della placca calcarea e ad essi legati tramite fibre muscolari; i radioli; le spine secondarie e terziarie, queste ultime di grandezza veramente infinitesimale! L’apertura anale è localizzata nella superficie del polo aborale, insieme alla piastra madreporica. Negli Echinoidi Irregolari, invece, l’ano è spostato centralmente e quindi in prossimità della bocca. Alcune placche, incastrate in posizione immobile le une con le altre, formano la parete del corpo, caratterizzata altresì da un’epidermide fibrosa e ciliata, alla cui base si trova uno strato nervoso.
Echinometra mathaei (Foto di Roberto Sozzani)
Sistema nervoso e organi di senso
Il sistema nervoso consiste di un anello nervoso unito alla faringe mediante bande connettivali e fornisce di fibre nervose la regione boccale e il tubo digerente. I cordoni radiali, costituiti da cellule e fibre nervose, risalita la superficie interna della parete del corpo, mandano in ciascun pedicello un nervo podiale che forma uno strato nervoso del disco terminale del pedicello stesso. Inoltre, i cordoni radiali si diramano nella parete del corpo confluendo in un ampio plesso subepidermico. La notevole capacità sensoriale dei ricci di mare è garantita da tale plesso che, formando un anello alla base di ciascuna spina, invia un notevole flusso di fibre nervose. Nei Diadematidi si notano sulle placche genitali e sul peristoma delle macchie azzurrine avvolte alla base da pigmento nero, caratterizzato da uno spesso strato di neurofibrille. Tali organi, si suppone, abbiano una funzione fotorecettiva.
Echinothrix diadema (Foto di Roberto Sozzani)
Apparato digerente
Caratteristica base di tutti gli Echinoidi Regolari è costituita da un robustissimo apparato masticatore (assai ridotto o mancante del tutto negli Irregolari) noto con il nome di “Lanterna di Aristotele”; questo complesso organo ha forma conica, e risulta di cinque piramidi costituite da pezzi calcarei, entro ognuna delle quali è alloggiato verticalmente un dente di sostanza dura, (simile a smalto), nonché da poderosi muscoli, che hanno il compito di allontanare o avvicinare le piramidi, con conseguenti analoghi movimenti dei denti. Tale complesso di pezzi calcarei e muscoli circonda l’esofago. Quest’ultimo, al punto di congiunzione con l’intestino, presenta una tasca cieca. Nella quasi totalità degli Echinoidi esiste un paraintestino che, sembra, abbia la funzione di consentire il passaggio diretto dell’acqua ingerita dall’esofago al retto, dove si accumulano gli escrementi in modo da permettere la concentrazione degli enzimi digestivi nella parte centrale dell’intestino.
Phyllacanthus imperialis (Foto di Roberto Sozzani)
Cavita celomiche
Negli Echinoidi Regolari, la cavità principale, detta perifangea, è separata parzialmente o completamente dal complesso assai spazioso di cavità celomatiche. Tale separazione avviene mediante una sottile membrana consistente in 2 epiteli ciliati tra cui si trovano fibre di tessuto connettivo e muscolare. Inoltre, nei Cidaridi e Echinoturidi, posti in posizione radiale, sono situati dei diverticoli allungati, appendici della cavità perifangea e noti come organi di Stewart, che si proiettano nel celoma principale.
I celomotici a funzione fagocitica (anche se alcuni come gli amebociti hanno una funzione non ancora chiarita) sono contenuti in un liquido simile all’acqua di mare, che attraversa gli spazi celomici. L’apparato ambulacrale corrisponde in tutto a quello tipico degli Echinodermi: la piastra madreporica si apre sulla faccia aborale ed è raggiunta da un canale petroso una volta ascesa verticalmente la cavità celomatica.
Rigenerazione
Le capacità rigenerative sono sorprendentemente veloci, anche se a scapito della grandezza e robustezza dell’appendice da sostituire. Infatti, la rimozione di un intera spina in corrispondenza di un tubercolo, ne comporta la sostituzione con un’altra più piccola e sottile. In condizioni sfavorevoli, i ricci possono perdere le spine più deboli e sottili. Per rimarginare le ferite del guscio si forma una membrana composta di celomociti e cellule dermiche, la cui crescita graduale garantisce il buon esito dell’operazione. Successivamente, nella membrana si ha la deposizione di materiale calcareo.
Phyllacanthus imperialis (Foto di Roberto Sozzani)
Riproduzione sessuale
I ricci marini sono generalmente di sesso differente, nonostante non siano pochi le occorrenze di ermafroditismo occasionale registrati in alcune specie mediterranee. Emblematici i casi di Arbacia e Paracentrotus. Solo eccezionalmente è rilevante un dimorfismo sessuale, che si presenta con la maggiore lunghezza delle papille genitali maschili, mentre sono del tutto assenti nella femmina.
Tale mancanza non è invece riscontrabile in Echinocyanus, anche se la lunghezza delle papille genitali femminili è sensibilmente inferiore rispetto a quelle degli esemplari maschi.
Negli Echinoidi Regolari si riscontra la presenza di 5 gonadi; da 2 a 4 negli Irregolari. Tali organi riproduttivi, uniti da filamenti mesenterici, sono evidenziati da una forma voluminosa specie durante la fase di maturità. Sono situate nelle zone interambulacrali e sboccano al polo aborale nei gonopori delle piastre genitali. Durante la riproduzione (di durata variabile a seconda della specie) gli animali hanno la tendenza a formare gruppi che si spostano verso il litorale. La fecondazione avviene esternamente espellendo i prodotti germinali dei 2 sessi direttamente nell’acqua. Tale operazione è riscontrabile dalla presenza di materiale simile a una nuvoletta chiara o a un fiotto opaco. Al contatto dei gameti con l’acqua fa subito seguito la fecondazione, che dà luogo alla formazione di una larva, detta “echinopluteo”. Questa è caratterizzata da un corpo allungato di forma conica, uno stomaco sacciforme e 5 paia di braccia percorse da una caratteristica banda cigliata, sorretta da appositi bastoncelli calcarei.
La bocca si apre sulla faccia dorsale e l’ano su quella ventrale. La larva nuota attraverso la superficie marina per un certo periodo, variabile in relazione alla specie, durante il quale si manifestano le trasformazioni che danno origine al giovane echinoide. Il “cucciolo” non supera il millimetro di lunghezza ma esibisce già piastre, aculei e pedicelli. La sua crescita è abbastanza rapida e al termine del suo sviluppo evidenzia un’atrofia delle braccia. Successivamente cade sul fondo e si trasforma in un giovane esemplare, la cui lunghezza è di circa 1 mm. A questo punto, (si calcola che sia già trascorso un anno), spesso, è già in grado di riprodursi. Alcune specie sono incubatrici, in particolar modo quelle antartiche. Nei Cidaridi, le uova, ricche di vitello, si sviluppano nel peristoma attorno al pentaprocto. Negli Spatangidi l’incubazione avviene tramite l’intrecciarsi delle spine in corrispondenza della cavità dei petaloidi; questo permette il mantenimento in sito delle uova. Emocidaris Nutrix protegge le uova all’interno di una sorta di tenda composta da spine compresse e inclinate attorno alla bocca.