Descrizione e allevamento della specie Aphanius mento ‘Zengen’, con l’allestimento di un particolare acquario a loro dedicato – di Andrea Bonito (Entropy)Prima di raccontarvi questa magnifica esperienza con questi splendidi pesciolini vorrei fare un piccolo excursus sulla loro origine ed etologia.
Il genere Aphanius appartiene alla famiglia dei Cyprinodontidae ed è composto da 6 specie e 4 sottospecie di due cladi principali che si ritrovano in Anatolia: • A. asquamatus
• A. mento
• A. fasciatus
• A. danfordii
• A. villwocki
• A. anatoliae anatoliae, A. a. splendens, A. a. transgradiens e A. a. sureyanus (Wildekamp, 1993; Wildekamp et al, 1999; Hrbek e Meyer, 2003; Hrbek e Wildekamp, 2003). Aphanius mento fu descritto da Heckel nel 1843 ed importato come pesce d’acquario nel lontano 1910 in Germania. La distribuzione di questa specie si estende dalla Turchia meridionale al Golfo Persico, passando per Israele, Giordania, Iraq, Libano, Siria. Gli habitat sono costituiti da sorgenti, torrenti, fiumi, piccoli laghi, sia costieri che nell’entroterra. Tali ambienti sono spesso ricchi di vegetazione, comprese molteplici ed abbondanti alghe verdi filamentose. Le acque che vengono popolate sono dolci, ma a volte anche leggermente salmastre. Solitamente i valori sono duri e alcalini, con consistenti concentrazioni di calcio e magnesio. Nella tabella sottostante, riporto, ad esempio, i valori fisico-chimici dell’acqua in cui vive una popolazione di Aphanius mento in località Kirkgöz Spring (Güçlü e Küçük 2008): • Ca+2 (mg/L) : 133.07
• Mg+2 (mg/L) : 25.27
• Cl-(mg/L) : 14
• HCO3 -(mg/L) : 412.36
• SO4 = (mg/L) : 10
• Durezza totale (CaCO3) (mg/L) : 436
• Alcalinità total HCO3 (mg/L) : 338 (CaCO3)
• Temperatura dell’acqua (°C) : 14.6 – 17 (media 15.8)
• Ossigeno disciolto (mg/L) : 6.64 – 10 (media 7.80)
• Saturazione Ossigeno (%): 73 – 105 (media 90.91%)
• pH : 6.88-7.58 (mean 7.09)
• Conducibilità (25°C) (µS/cm): 385 – 801 (media 695.5)
La location Kirkgöz Spring (da Güçlü e Küçük, 2008) | | Una foto di Kirkgöz Spring, Anatolia, Turchia (immagine tratta da www.seriouslyfish.com) | Cerchiato in rosso, il sito di Zengen/Konya in Turchia, habitat di Aphanius mento “Zengen” (immagine tratta da Google Earth) |
Nel mio caso specifico invece, la popolazione di cui sono venuto in possesso è denominata “Zengen”, ed è stato individuata e raccolta da Ruud Wildekamp in collaborazione con Kees Valkenburg e Tomas Hrbek, nell’omonima località della Turchia centro-meridionale (37°49′ N; 34°14′ E). La particolarità di questa popolazione (come di altre presenti in Turchia) è quella di vivere nell’entroterra, dove sono presenti in inverno temperature molto rigide, tanto da formare spessi strati di ghiaccio. Al contrario, in estate la temperatura dell’acqua può superare anche i 30°C. Ne consegue quindi che questa popolazione è adattata ad un ampio range di temperatura, tale da poterla allevare e riprodurre anche fuori dalle nostre abitazioni (balconi, terrazze e giardini, latitudine permettendo).
Secondo lo studio sopra citato di Güçlü e Küçük su popolazioni di Kirkgoz Spring, l’età degli individui può arrivare a 7 anni (media 3 – 4 anni), mentre la loro lunghezza si attesta su una media di 4 – 5 cm (in un intervallo tra i 3 e gli 8.5 cm). La loro dieta si basa su piccoli anfipodi (Gammarus sp.), decapodi (Palaemon sp.), gasteropodi, nematodi, insetti vari e larve di altri pesci. Anche le alghe verdi contribuiscono in maniera importante a completare la dieta. Ora, presentata per sommi capi la loro carta d’identità, vi vorrei raccontare la storia che li ha condotti a me e che mi ha portato a conoscere un pesciolino con una livrea magnifica, un carattere interessantissimo ed una tempra d’acciaio. Una tempra talmente forte che è riuscito ad attraversare indenne avversità di ogni genere. Ma andiamo con ordine.
La storia inizia con il mio desiderio di avvicinarmi al mondo dei killifish proprio con questa specie. Rimasi affascinato dagli Aphanius mento, oltre che per la loro bellezza, anche per la loro capacità di vivere in condizioni ambientali molto particolari, con temperature che vanno dai 2 ai 30°C e in acque dure ed alcaline. E con popolazioni spesso a rischio di estinzione per riduzione degli habitat o inquinamento dei siti.
E visto che stavo affrontando l’argomento killi, la persona giusta da contattare per suggerimenti e consigli non poteva che essere Marco Vaccari.
E’ così successo che, dopo aver discusso con Marco del mio desiderio di allevare tale specie, lui (impagabile come al solito) mi mise in contatto con un suo amico inglese (Nigel, splendida persona).
Nigel mi spedì per posta aerea alcune uova di Aphanius mento “Zengen” il 25 luglio 2011.
Ma purtroppo arrivarono a me solo il 3 Agosto.
Ben 10 giorni dopo.
Mi ritrovai il pacchetto sopra la cassetta della posta.
Alle 14:00 di pomeriggio.
Sotto un cocente sole estivo.
Con tutta la fretta possibile, presi il pacchetto ed iniziai delicatamente ad aprirlo. Era lungo circa 15 cm, profondo 6 e alto 10. Completamente avvolto con nastro adesivo da pacchi. Ma quando tolsi il nastro, mi accorsi di qualcosa di strano. La consistenza del cartone sottostante era alterata, molliccia. Allora notai che anche il mio nome ed il mio indirizzo, scritti con un pennarello sulla facciata del pacco, erano sbiaditi, slavati. In pratica il pacco era bagnato. E questo voleva dire solo una cosa. Che qualcosa lì dentro si era aperto o rotto durante il tragitto. Strappai il cartone e guardai dentro come si spizza a poker l’unica carta appena cambiata di una scala reale ad incastro. Sapendo cioè che l’incastro (con lo stesso seme) sarà altamente improbabile, ma con la speranza almeno di una semplice scala.
Il pacco era in realtà formato da 6 piccoli fogli di polistirolo, uniti dalla carta e dal nastro a formare una scatola. Ed in mezzo a dei batuffoli di lana utilizzati come isolante termico, vidi due piccolissime bustine di plastica trasparente (tipo quelle per i surgelati, ma lunghe appena 5 cm). Una di esse però era priva di acqua. Segno che si era rotta o perdeva da qualche parte. Mi concentrai sull’altra busta. La alzai verso l’alto, cercando di scorgere le uova al suo interno.
Ma non vidi nessun uovo …
Bensì delle piccole virgole che schizzavano impaurite da un angolo all’altro del sacchetto. Erano avannotti. Ed erano nati durante il viaggio. Durato 10 giorni, al buio, al caldo e con pochissimo ossigeno a loro disposizione. Non ci potevo credere. Ce l’avevano fatta (almeno fino a quel momento).
Era entrata la scala reale.
Iniziai a saltare di gioia, come un bambino alla sua prima volta in un Luna Park.
Poi, più che altro per scrupolo, presi anche l’altro sacchetto, ridotto ormai a due pareti di plastica che si toccavano e a qualche goccia residua agli angoli. Ma una volta aperto, scrutai tra quelle poche gocce ben 3 avannotti vivi e 3 uova, che chiedevano di essere liberati. C’erano solo loro e non vidi cadaveri.
Gli avannotti di Aphanius mento, nel giorno del loro arrivo
Dettaglio sugli avannotti di Aphanius mento, nel giorno del loro arrivo
Presi tutti gli avannotti (16) e le uova sopravvissute e le misi in una piccola ciotola con la poca acqua rimasta, dopodiché aggiunsi goccia a goccia (letteralmente) l’acqua dell’acquario a cui erano destinati. Ossia una vasca da 63 litri (fatta partire un mese prima), posizionata all’esterno (precisamente nel mio portico), senza riscaldatore e senza illuminazione artificiale, con un piccolo filtro a zainetto (EHEIM), con un fondo di GRIT misto a silice rossa, un sasso, un paio di legni ed Egeria densa e parecchie alghe filamentose verdi (Spirogyra, Oedogonium e altre) come vegetazione. La vasca è raggiunta dai raggi solari solo le prime ore della mattina e le ultime del pomeriggio. Nel periodo estivo ho posizionato delle tavole di legno dietro e sopra la parete posteriore, per diminuire comunque l’insolazione, mentre in inverno la parete posteriore e le due laterali verranno (per precauzione più che altro) ricoperte esternamente di materiale isolante (polistirolo e/o PVC espanso). E la notte, se necessario, coprirò la vasca con un telo (dipende dalle temperature).
Per le prime 3 settimane tenni gli avannotti in una nursery di rete, per controllarli ed alimentarli meglio. Come alimento, naupli d’artemia (con anguillole dell’aceto nei primi giorni), con l’integrazione di tutta la microfauna formatasi nell’acquario (e quella che ogni tanto prendo dal laghetto e gli riverso)
La vasca da 63 litri
La nursery in rete, utilizzata per le prime settimane
| | Le alghe formatisi sopra il fondo |
L’acquario con i MOP
Avannotti a 3 settimane dalla nascita
Aphanius mento a 6 settimane di vita | | Aphanius mento a 6 settimane di vita,
si notano i primi accenni di colore | Un probabile maschio |
| | L’acquario da 63 litri ai primi di settembre | Visione dall’alto dell’acquario |
L’acquario da 63 litri e gli avannotti di 6 settimane alla ricerca di cibo A sei settimane dalla loro nascita registrai solo una morte e, purtroppo, 3 “belly sliders”, probabilmente proprio quei 3 rimasti senz’acqua e senza ossigeno nel sacchetto rotto. Gli altri (12) stavano tutti benissimo ed avevano già raggiunto la lunghezza di oltre 2 centimetri.
Li tenni nella vasca da 63 litri fino a i primi di ottobre, quando decisi di spostarli tutti in un particolare acquario da 230 litri, allestito ad hoc per loro qualche mese prima. La decisione di utilizzare una vasca così grande per dei pesciolini così piccoli è stata quella di aver a disposizione più spazio, più territori (quindi aggressività diminuita) e maggior isolamento termico (dovuto alla maggior massa di acqua) sia dal freddo che dal caldo. L’aggressività tipica di questa specie verrà anche smorzata proprio dall’elevato numero di individui presenti, reso possibile (appunto) dal litraggio della vasca. Il 63 litri verrà invece destinato alla schiusa delle uova e all’accrescimento degli avannotti.
L’acquario da 230 litri che ho allestito per loro in realtà è un po’ particolare, sia nell’allestimento che nella manutenzione. Non è certamente un acquario “ortodosso”, né una vasca da “Layout Contest”, ma possiede senza dubbio un suo perché. E’ una sorta di acquario alla Konrad Lorenz, con la solo aggiunta del movimento d’acqua. Assolutamente nulla di nuovo quindi. Ma forse un po’ dimenticato. Perché un tempo questa tipologia di acquari era molto più frequente, direi la norma (io stesso ho iniziato così). Poi la tecnologia è arrivata anche nell’acquariofilia e la biologia è stata messa un po’ da parte.
Io invece penso che sia proprio questa l’acquariofilia del futuro. In un epoca di risparmio energetico e acquariofilia consapevole, abbiamo la possibilità di scegliere un percorso poco dispendioso di mezzi e risorse (energetiche), eppur affascinante e ricco di spunti e attrattive.
Per quei pochi che non conoscessero Konrad Lorenz (naturalista ed etologo del secolo scorso), questo era il suo concetto di acquario (dall’ormai storico libro “L’anello di Re Salomone”): Non costa quasi nulla eppure è una cosa magnifica: coprite il fondo di un recipiente di vetro con un pugno di sabbia pulita e piantatevi alcune comuni pianticelle acquatiche, versateci sopra delicatamente alcuni litri d’acqua di rubinetto e ponete il tutto su di un davanzale soleggiato. Quando l’acqua si è purificata e le pianticelle hanno incominciato a crescere, mettetevi dentro alcuni pesciolini: o, ancor meglio, recatevi con un vasetto e con un acchiappafarfalle allo stagno più vicino, immergete alcune volte la rete, e raccoglierete una miriade di organismi viventi. Tornando ora all’allestimento della vasca da 230 litri, le sue dimensioni sono 110x30x70 cm. E’ un acquario di quelli “antichi”, con vetri doppi e base e coperchio in legno trattato (mi ricorda l’acquario di mio padre nei primi anni ’80, quando iniziai ad avvicinarmi all’acquariofilia). In verità l’acquario era rovvisto di un vano filtro ricavato con lastre di vetro opportunamente sistemate e siliconate su di un lato (come appunto si usava una volta). Ma poiché il mio progetto era un altro e volevo sfruttare il massimo spazio possibile, ho tolto e ripulito tutto.
L’acquario da 230 litri prima del riempimento. Accanto un cubetto da 20 litri
La vasca è stata posizionata all’esterno, sotto il portico di casa. L’esposizione del vetro frontale è a sud-ovest. All’esterno del vetro posteriore (esposto di conseguenza a nord-est) è stato posto un pannello di polistirolo espanso, per minimizzare gli effetti dei freddi venti invernali (tramontana e grecale su tutti). Tra il vetro esterno ed il polistirolo è stato posto un foglio nero di polipropilene, per una visione migliore della vasca ed un minor disturbo per i pesci (dovuto all’albedo delle pareti bianche).
Il pannello di polistirolo dietro il vetro posteriore
Il coperchio è assente nei mesi estivi per favorire l’evaporazione ed evitare il surriscaldamento, mentre è presente nei mesi invernali per scongiurare correnti fredde, trattenere il calore e minimizzare eventuali congelamenti della superficie.
L’acquario è sprovvisto di filtro, di riscaldamento e di illuminazione artificiale. In pratica l’unica parte elettrica inserita in vasca è una piccola pompa di movimento di appena 2.5W (viste le dimensioni dell’acquario ho optato per una pompa di movimento, una Hydor Koralia Nano da 1600 lt/h).
La pompa Koralia nano da 1600 lt/h
In realtà il cuore del sistema filtrante biologico è il fondo e le piante annesse.
Il fondo è costituito da 3 zone distinte. Al centro c’è una zona composta da gravelit e cannolicchi (rapporto 2:1) ricoperta da ghiaia grossa di fiume (diametro 1 -2 cm, di provenienza edile), per uno spessore tra i 5 cm (al centro della vasca) ed i 10 cm (ai lati). Ai due lati ho creato, con del polionda tagliato ad hoc, due anse (in maniera da permettermi una pendenza maggiore), riempite con (dal basso verso l’alto): gravelit e akadama (rapporto 2:1), sabbia edile, substrato fertilizzato (JBL Acquabasis Plus), sabbia edile, substrato fertilizzato, sabbia edile. Il tutto per uno spessore variabile dai 20 cm (posteriormente a destra e anteriormente a sinistra) ai 10 cm (viceversa).
Il polionda posizionato sul fondo
Sabbia edile e ghiaia di fiume
Fase di allestimento del fondo
Come arredo (per nascondigli e barriere visive) ho posizionato sul lato sinistro due rocce di fiume ed un legno. La vasca è stata riempita con acqua di rubinetto. La mia acqua di rubinetto (potabile e proveniente da un pozzo profondo) è mediamente dura e ricca in sali minerali. Acqua perfetta per i pesci per i quali è stata progettata la vasca e che vi introdurrò tra poco.
Riguardo la vegetazione ho inserito la Vallisneria americana, che ho recuperato direttamente dal mio laghetto, dove cresce e si riproduce indisturbata da ormai svariati anni. Il vantaggio di inserire questa determinata specie è che è già perfettamente ambientata al clima locale e può vivere tranquillamente all’esterno tutto l’anno (anche sotto il ghiaccio). La particolarità di questa pianta inoltre è la sua estrema adattabilità a vari parametri ambientali; adattabilità che si riflette chiaramente nelle sue caratteristiche morfologiche. Infatti le foglie degli individui presenti nel laghetto sono corte, spesse e rossicce (sintomo di molta luce), mentre le piantine che ho inserito in questa vasca hanno modificato le proprie foglie in un paio di settimane, producendo foglie lunghe, verdi e più fini. L’acquario a qualche giorno dall’avvio | | La parte destra della vasca, in fase di avvio | La parte sinistra della vasca |
Cambio habitus fogliare. Alle vecchie foglie basse e rosse (ormai in decomposizione) si sostituiscono foglie lunghe e verdi.
Il fatto che la vasca sia all’esterno, la rende praticamente una meta abituale di insetti e altri artropodi vari, che la utilizzano come sito riproduttivo e/o alimentare.
Questa larva di odonato zigottero ne è un esempio: Inoltre, con il passare del tempo, un strato algale di vario genere ha ricoperto e proliferato sulla ghiaia, la sabbia e gli arredi. Cosa che non solo non mi è dispiaciuta, ma che è stata da me auspicata e favorita. In tal modo infatti si è creata una variegata microfauna (inoculata anche dall’acqua del laghetto), molto gradita ai pesci. Per di più tale alghe contribuiscono alla stabilità dei valori in vasca, nonché essere cibo per gli stessi pesci. | | L’acquario ad un mese dall’avvio | L’acquario a due mesi dall’avvio |
Con l’arrivo dell’inverno ho fatto una modifica al coperchio.
Come scritto sopra, quello originale della vasca era in legno. Ora, il punto è che la vasca è posta all’esterno ed è senza illuminazione artificiale. L’estate il problema non sussiste perché la vasca rimane scoperta. Ma con l’inverno devo coprirla per trattenere il calore assorbito dall’acqua e per evitare aria fredda sulla superficie dell’acqua. Ma un coperchio di legno non farebbe passare la luce dall’alto, minimizzando l’effetto serra e togliendo la poca luce invernale alle piante.
Così ho costruito un semplice coperchio il plexiglass, con un paio di fori per il ricircolo dell’aria e per il dosaggio del cibo in vasca.
Il coperchio in plexiglass
La manutenzione dell’acquario si limita al reintegro dell’acqua evaporata. Tale reintegro non avviene necessariamente con acqua osmotica, ma è funzione dell’evaporazione, della crescita delle piante e dei cambi d’acqua. Spiego meglio. Come tutti gli acquari con una presenza di piante e di corretto un processo di nitrificazione, anche questo con il tempo consuma alcalinità (valore del KH nel nostro caso) ed elementi nutritivi in soluzione (GH e conducibilità). Di conseguenza i valori di KH, GH (e di riflesso pH) tendono ad abbassarsi. In questo acquario ad esempio, complice anche la crescita notevole di Vallisneria nel periodo estivo e l’attivazione dei processi biologici, il KH è sceso da 12 a 5 in due mesi e la conducibilità da 670 a 350 µS/cm (reintegrati entrambi prima dell’inserimento dei pesci). Se quindi i cambi d’acqua sono poco o nulla frequenti (com’è ora il mio caso), l’evaporazione è molta ed i consumi di KH e GH consistenti, allora l’acqua di reintegro sarà quella normale di rubinetto. Altrimenti acqua da osmosi. Nel caso ciò non fosse sufficiente, verranno effettuati cambi d’acqua e/o reintegro degli elementi carenti.
Per ora i valori dell’acqua vengono mantenuti con un pH intorno a 7.5, un KH di 12, un GH di 17 ed una conducibilità intorno a 600 µS/cm. Una volta inseriti nell’acquario da 230 litri, i pesci si sono subito ritrovati a loro agio. Nelle ore più calde del giorno (mese di novembre, ndr) pattugliano l’intera vasca alla ricerca di animali da predare e alghe da mangiare. Nelle ore più fredde si ritirano nel fondo, tra le alghe e le piante.
Da sottolineare come, con l’irrigidirsi delle temperature, i colori sgargianti della livrea lasciano il posto a sfumature più mimetiche e criptiche.
Li seguirò con estrema attenzione durante quest’inverno, attendendo con impazienza l’arrivo della primavera e l’inizio (si spera) della riproduzione.
La livrea di un maschio di Aphanius mento “Zengen” all’età di 2 mesi |