La brillante ed interessante “Presentazione” del Trichogaster lalius (meglio conosciuto come Colisa lalia) fatta da Lorenzo Nitoglia nel corso di una delle usuali serate organizzate dal C.I.R. (Club Ittiologico Romano – dedicato a Giancarlo Iocca, il nostro Socio, prematuramente scomparso e mai troppo compianto), Associazione di cui sia Lorenzo che io siamo Soci, mi ha fatto venire una grossa nostalgia per questi stupendi pesci. Pertanto, partendo da quanto raccontato da Lorenzo ai numerosi presenti ed utilizzando al meglio i miei appunti (un po’ datati, visto che ho allevato questi pesci nei primi anni ’80, però certamente autentici perché frutto di esperienza e considerazioni personali) ho deciso di cimentarmi nella stesura di un articolo che possa essere di utilità ed interesse per l’ampia platea degli acquariofili. Il Colisa lalia, originariamente conosciuto come Gourami nano ed oggi denominato Trichogaster lalius, non è solo uno dei “labirintici” (labyrinthfish) più popolari, ma è anche uno dei pesci più frequentemente tenuti dagli acquariofili. La bellezza della colorazione, il costo accessibile e la relativa facilità di mantenimento in vasca sono gli elementi fondamentali che determinano la sua popolarità. In natura, Colisa lalia è autoctono e ampiamente presente nella vasta area palustre costituita dal sistema fluviale Gange – Brahmaputra in India e Pakistan; inoltre ho letto su alcune pubblicazioni che risulterebbe presente anche in Borneo (Baram River). Nella sua relazione Lorenzo Nitoglia segnala introduzioni da parte dell’uomo anche in Florida ed altre aree geografiche asiatiche. Una curiosità rilevata su Internet: nei luoghi di origine sembra essere chiamato ” Lal Kolisha”. Dal punto di vista analitico, Colisa lalia è stato descritto per la prima volta nel 1822 dall’ittiologo inglese Hamilton Buchanan. Da un approfondimento che ho fatto, risulterebbe tuttavia che questo pesce sia apparso per la prima volta in Europa nel 1903. In ogni modo Colisa lalia è ancora oggi un best seller tra gli appassionati. Il dimorfismo sessuale è molto accentuato in quanto il maschio cresce fino a una dimensione di circa 6 cm mentre la femmina rimane significativamente più piccola non superando i 3,5-4 cm; inoltre la colorazione del maschio è estremamente vistosa mentre la femmina ha una colorazione giallo-champagne che mantiene anche durante la riproduzione, pur parzialmente accentuata. A partire dagli anni ’90 gli allevatori orientali hanno cominciato a produrre varietà con diverse colorazioni.
Non ho esperienze specifiche ma leggo nella letteratura specializzata che solo la varietà rossa sembra essere geneticamente stabile nelle generazioni successive allevate in cattività. Dunque si potrebbe dire che solo le forme selvatiche e la mutazione rossa hanno redditività a lungo termine come pesci d’acquario.
In generale il comportamento in acquario non pone alcun problema. Si tratta di pesci con comportamento intraspecifico tranquillo e totalmente compatibile con tutti gli altri pesci normalmente inseriti in acquari di comunità. Le cose cambiano durante la stagione riproduttiva quando i maschi tendono a diventare molto aggressivi verso le femmine e, dopo la deposizione, anche nei confronti dei coinquilini. Dunque per chi volesse dedicarsi alla riproduzione di questa specie in acquari di comunità, dobbiamo considerare 80-100 litri come volume minimo della vasca.
Colisa lalia può essere tenuto in qualsiasi qualità di acqua che abbia valori medi e non estremi, dunque no acque troppo tenere (tipo Discus) e no acque troppo dure (tipo laghi Malawi e Tanganika). L’acqua di rubinetto di Roma va benissimo. La temperatura costituisce un fattore importante, in quanto, per mantenere questo pesce in condizioni ottimali, sia fisiche che di colorazione, è necessario che la temperatura dell’acqua e quella dell’aria sopra la sua superficie si mantengano su valori omogenei; per cui sono sconsigliate le vasche aperte. Il problema della temperatura dell’aria soprastante la superficie dell’acqua trae origine dalla particolare tipologia di apparato respiratorio di cui sono dotati questi pesci.
Il Colisa appartiene alla famiglia Belontiidae, che comprende tra gli altri anche il popolarissimo Betta Splendens, mitico “pesce combattente” Tutti questi pesci hanno sviluppato un organo accessorio al sistema respiratorio chiamato “labirinto” o organo “suprabranchiale”, situato sotto il cranio, alla base delle branchie. Da ciò deriva la denominazione di “labirintidi”. Il labirinto si compone di numerose e sottili membrane cartilaginee contenenti una fitta rete di capillari tramite i quali questa specie di pesci riesce a prendere aria direttamente dall’atmosfera posta sopra la superficie dell’acqua in tal modo ricevendo l’ossigeno necessario a supportare la respirazione. La capacità di respirare anche in questo modo permette ai labirintidi di sopravvivere in acque particolarmente povere di ossigeno, ovvero acque molto calde, lente e stagnanti, dove i pesci “normali” rischierebbero di soffocare a causa della mancanza di sufficiente ossigeno disciolto nell’acqua. D’altra parte i labirintidi dipendono anche dall’ aria esterna all’acqua e potrebbero soffocare se fosse loro impedito di raggiungere la superficie. In natura i Colisa sono frequenti nelle risaie e nelle reti di canali collegate, dunque si può dire che Colisa lalia vive anche in ambienti a stretto contatto con l’uomo. Le acque possono essere molto calde, torbide e carenti di ossigeno. Inoltre, sono soggette a forti sbalzi termici a causa della temperatura dell’aria che può variare stagionalmente dai 14°-15° C fino anche a 40° C a causa del clima. Inoltre la scarsa profondità dell’acqua elimina i benefici dell’effetto termoregolante proprio dei liquidi, cioè la capacità di ammortizzare in modo molto efficace gli sbalzi termici. Facendo un inciso, è un fatto noto che l’acqua del mare si scalda e si raffredda più lentamente della terraferma e quindi le grandi masse d’acqua presenti sulla superficie terrestre, come un’enorme volano termico, riducono le escursioni termiche giornaliere e stagionali, svolgendo un’azione mitigatrice sul clima delle località marine e lacustri. Nelle aree palustri questo effetto si riduce fino ad annullarsi. A causa di questa instabilità delle condizioni dell’acqua, in natura, Colisa lalia vive spesso non più di un anno, sfruttando la stagione delle piogge per la crescita e la stagione secca e calda per la riproduzione. In acquario, in condizioni di maggiore stabilità termica, diciamo a temperature di circa 23°-25° C, può raggiungere una longevità di due o tre anni, ma a temperature costantemente più elevate l’aspettativa di vita si riduce significativamente per l’aumento innaturale della velocità dei processi metabolici. Dunque, anche se i pesci sono molto più attivi a temperature più elevate e spesso mostrano colori più attraenti, le conseguenze sull’aspettativa di vita non sono positive.
Il corpo del Colisa è ovale e fortemente appiattito ai lati. Ciò consente di individuare immediatamente, nelle femmine gravide, il gonfiore prodotto dalle uova. Interessante è la trasformazione delle pinne pelviche in organi filiformi che servono sia come recettori del gusto che come organi tattili. Difatti è abbastanza usuale vedere Colisa utilizzare tali estremità per toccare il cibo prima di mangiarlo oppure toccare altri conspecifici durante il corteggiamento e/o le liti. In generale, Colisa lalia è considerato un pesce per principianti. Infatti, esemplari sani di questa specie sono estremamente attraenti in acquario e non hanno richieste eccessive in materia di qualità dell’acqua e del cibo. In realtà ottenere sistematicamente riproduzioni e crescita degli avannotti costituisce un tema che richiede maggiore esperienza e capacità rispetto a quella che può essere messa in campo da un vero e proprio esordiente nel nostro Hobby. In particolare le vasche devono essere arredate con fitta vegetazione, con adeguati nascondigli che consentano alle femmine di nascondersi, riducendo così i rischi connessi con l’eccessiva aggressività dimostrata dai maschi dopo la deposizione. Inoltre i coinquilini devono essere tranquilli, evitando in particolare la convivenza con ciclidi e barbus che manifestano un grosso interesse verso le due appendici filamentose tattili di cui abbiamo parlato e dopo un po’ le divorano. Senza di esse il Colisa dopo poco tempo deperisce e muore. Brachidanio e rasbore, botia sidthimunki, corydoras, rineloricaria e altri pesci con caratteristiche simili sono idonei a convivere con Colisa. Piante ideali possono essere hygrophila, cryptocoryne , piante galleggianti come cerataphyllum demersum, riccia fluitans e lemna, oltre che vescicularia. Dobbiamo tenere conto che la profondità della vasca deve essere compatibile con le esigenze di respirazione della specie, perciò 30-40 cm rappresentano un livello oltre il quale è meglio non andare. Le piante galleggianti o a foglie larghe sono importanti sia per creare zone d’ombra sia perché usate dai maschi come strutture portanti per i loro nidi di bolle “bubblenests”.
L’acqua deve essere scarsamente mossa, pertanto pietre porose e filtri potenti sono da eliminare perché il movimento d’acqua creato, distruggerebbe i nidi così faticosamente costruiti dai maschi. Colisa lalia non ha problemi a cibarsi dei più comuni alimenti preparati per pesci d’acquario compatibilmente con le dimensioni della bocca. E’ evidente che la possibilità di fornire anche cibo vivo, come Tubifex , larve di zanzara, dafnie e cyclops contribuisce al benessere del pesce. È stato osservato (anche a me è capitato) che questa specie di pesci spesso “sputa” gocce d’acqua su distanze “considerevoli” (anche una decina di centimetri), al fine di rimuovere gli insetti sulle foglie sopra la superficie dell’acqua e farli cadere. In quest’attività è certamente più famoso ed abile il “Toxotes iaculator” di acqua salmastra. Con una buona e variata dieta la femmina raggiunge facilmente il completo sviluppo sessuale e mostrerà chiaramente lo sviluppo delle uova con rigonfiamenti ben evidenti lungo i lati del ventre .Una volta che la femmina mostra lo sviluppo delle uova, il maschio comincerà ad interessarsi a lei e ad iniziare il corteggiamento. A quel punto l’allevatore dovrebbe spostare la coppia in un acquario specifico mentre l’hobbista può tranquillamente seguire le fasi dell’accoppiamento e della riproduzione nell’acquario di comunità. Certamente in tali condizioni la maggior parte delle uova o, successivamente, degli avannotti, andrà perduta. Nel corso del corteggiamento il maschio costruisce un nido di schiuma e bolle d’aria sulla superficie, in un luogo il più possibile protetto e appartato. Per fare le bolle, prende boccate d’aria e pellicola superficiale; il nido, che diventa il centro del suo territorio, può avere un diametro anche di una decina di centimetri ed uno spessore anche di qualche centimetro. Mentre costruisce il suo nido, il maschio diventa estremamente aggressivo mentre la femmina inizia ad avvicinarsi al partner ed al nido sempre più spesso; tuttavia sarà scacciata sino a che il maschio non riterrà il nido terminato. Questo è un momento particolarmente delicato in quanto l’aggressività del maschio è tale da poter provocare il ferimento della femmina. Purtroppo se la femmina viene ferita, questo non è solo conseguenza del naturale comportamento riproduttivo di questi pesci, ma può anche essere dovuto ad errori commessi dall’acquariofilo. È importante infatti che l’acquario sia abbastanza grande e dotato di nascondigli sufficienti che consentano alla femmina un rifugio sicuro quando viene inseguita dal maschio. La femmina infatti continua con i tentativi di entrare nel territorio del maschio fino a quando finalmente viene accettata. Se per caso la femmina non sembra interessata al corteggiamento, una volta finito il nido, sarà il maschio a tentare di attirare la femmina nel nido stesso. Nido di schiuma e bolle visto dall’alto L’ accoppiamento inizia con una serie di tentativi iniziali da parte della coppia che di solito falliscono. I due partner si nuotano intorno a vicenda, tentando l’uno di avvolgere l’altro con il proprio corpo, quasi ad abbracciarsi. Infine la femmina riesce a cingere, con il proprio corpo, il fianco del maschio in un abbraccio a forma di U, contemporaneamente anche il maschio riesce ad “abbracciare” la femmina; a questo punto lo sperma e le uova sono rilasciate, con un leggero tremore del corpo dei due “amanti”. Le uova sono molto piccole e praticamente trasparenti e sono più leggere dell’acqua perciò riescono a galleggiare sulla superficie, dove vengono prelevate dal maschio con la bocca e quindi concentrate nel nido di bolle. La deposizione è costituita da numerosi accoppiamenti come quello descritto e, a seguito di ogni singolo accoppiamento, la femmina è allontanata dal nido da parte del maschio che si concentra poi sul recupero delle uova. Solo dopo che il maschio ha portato tutte le uova nel nido, alla femmina è nuovamente consentito avvicinarsi al nido e si ripete il cerimoniale. Tutta la deposizione delle uova può durare anche 2-3 ore. Una volta terminata la deposizione la femmina non è più gradita e, se in vasca specifica, deve essere tolta, se in vasca di comunità ricca di nascondigli, può essere tenuta. Il maschio è l’unico a prendersi cura delle uova. Al fine di trovare le uova, piccolissime e trasparenti, e posizionarle all’interno del nido, il maschio usa “sputare” un po’ di acqua sulla superficie; ciò provoca una oscillazione delle uova che consente al maschio di vederle, raccoglierle e sputarle nel nido. I giovani si schiudono in circa tre giorni e sono curati dal maschio fino a quando iniziano a nuotare liberamente e a lasciare il nido.
La cura da parte del maschio continua sino a che tutti gli avannotti lasciano definitivamente il nido; in particolare il genitore si occupa di recuperare continuamente le uova e i piccoli avannotti che tendono a uscire dal nido riposizionandoli con la bocca in mezzo alle bolle. Inoltre si dedica alle riparazioni del nido, continuando la produzione di bolle d’aria, ed alla eliminazione degli avannotti morti o delle uova ammuffite. Ovviamente tutti gli eventuali intrusi che tentano di avvicinarsi al nido sono violentemente attaccati. Mentre attacca, il maschio emana piccoli rumori appena percettibili all’orecchio umano. Questo è probabilmente un segnale di avviso per l’indesiderato ospite. Nel buio totale, sempre sconsigliato in acquario, il maschio non può vedere chi si avvicina al suo territorio, così le uova e gli avannotti diventano più facilmente preda di quei pesci che meglio si orientano di notte, ad esempio quelli dotati di baffetti olfattivi. Un accorgimento che può essere utilizzato dopo la deposizione in acquario di comunità, è quello di raccogliere nido e uova con una piccola ciotola (io usavo una padellina da cucina) e poi trasferirli in un altro acquario precedentemente riempito con pochi centimetri della stessa acqua dell’acquario di origine. Le uova possono quindi svilupparsi senza difficoltà e i giovani possono anche essere allevati senza la cura del maschio; certamente è necessario che l’acquariofilo si sostituisca al Colisa maschio eliminando il più possibile le uova che ammuffiscono. Il livello iniziale dell’acqua nella vasca d’allevamento dovrebbe essere solo di 3-4 centimetri, perché nel corso delle due settimane successive all’inizio del nuoto libero, si sviluppa anche il labirinto e l’eccessiva altezza dell’acqua può impedire agli avannotti di arrivare in superficie per “attivare” il labirinto con le prime boccate d’aria. Se invece si è spostata la coppia in una vasca specifica, il maschio potrà rimanere con il nido e le uova, provvedendo a curare come detto la nidiata. Come precauzione, è opportuno rimuovere la femmina dalla vasca e riportarla nella vasca di comunità, dal momento che non prende parte alla cura dei giovani, considera le uova e le larve come cibo ed è a rischio in quanto vista come un intruso dal maschio. Tuttavia quando gli avannotti cominciano a nuotare liberamente, circa 7-10 giorni dopo la deposizione, il maschio può essere rimosso, in quanto, in assenza di “nemici” la sua motivazione a proteggere i piccoli diminuisce fino a terminare del tutto. In natura gli avannotti, pur ancora piccolissimi ed indifesi, riescono a trovare, nella foltissima vegetazione presente nel loro biotopo, un rifugio naturale che consente la sopravvivenza e lo sviluppo delle successive generazioni. In acquario questo è ovviamente sempre abbastanza problematico da ricreare. Per chi volesse proseguire nell’allevamento della nidiata, viene la difficile fase dell’alimentazione degli avannotti, perché si tratta di “bestioline” piccolissime, tra i più piccoli pesci d’acqua dolce giovanili e anche il cibo dovrà essere commisurato di conseguenza. Normalmente tutti gli esperti suggeriscono l’utilizzo di rotiferi, certamente questi piccolissimi animaletti, più piccoli dei naupli di artemia salina, hanno dimostrato di essere una soddisfacente soluzione, ma non sono sempre facilmente disponibili, soprattutto ai meno esperti. La soluzione che ho adottato tanti anni fa quando avevo tempo e motivazione per seguire “costantemente” le nidiate è stata quella di utilizzare “liquifry rosso”, un prodotto per nutrire artificialmente gli avannotti che all’epoca andava alla grande. In realtà c’era ben poco di altro nei primi anni ‘80. Oggi non sono sinceramente al corrente se liquifry sia ancora in produzione o meno, ma certamente esistono prodotti alternativi che, grazie all’evoluzione tecnologica, potranno essere utilissimi allo scopo. Il socio CIR, Lorenzo Nitoglia, ci ha mostrato con un filmato come è riuscito ad allevare gli avannotti partendo inizialmente dalla cosiddetta “acqua verde”, ovvero acqua dell’acquario preparata almeno 7-10 giorni prima dell’inserimento dei neonati, messa al sole ed arricchita con una punta di polpa di banana. L’accoppiata sole+banana provoca una rapida esplosione di flora batterica e microalghe che sono di valido nutrimento per i piccoli Colisa. Ovviamente il metodo funziona solo d’estate. Nel mio caso, rilevo dai miei appunti che la riproduzione è andata a buon fine tre volte. La mortalità è stata veramente alta, ma io mi accontentavo di ottenere la crescita di una decina (nel migliore dei casi) di avannotti. Tenete conto che da una deposizione possono uscire fuori anche un migliaio di uova. Quotidiani cambi d’acqua parziali di circa un terzo del volume totale ed una piccola pietra porosa, con un flusso molto basso di aria, sono a mio parere assolutamente essenziali per garantire la qualità dell’acqua di allevamento. |
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Un “evergreen” per tutti gli acquariofili “Trichogaster lalius” ex Colisa lalia
15/02/20140
5650Giovanni Tertulliani
Giovanni Tertulliani, ingegnere chimico in pensione, nato a Pisa ma residente a Roma ormai da tanti anni. Appassionato acquariofilo ed erpetologo dall'età di 17 anni, esperienze più significative, 5 anni dedicati agli mbuna del Malawi, circa 10 anni dedicati ai ciclidi del Tanganika, poi adozione di vasche monospecifiche per la riproduzione di singole specie di ciclidi nani. Parimenti appassionato allevatore di tartarughe terrestri e piante succulente. Ha scritto numerosi articoli per la rivista Aquarium e Acquaportal. Socio CIR e AIC.